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Sabato, 27 Aprile 2024
Dopo la decisione in Cassazione

Caso prof De Lio : "Quella delle assenze è una tesi infondata nella realtà ed è una tesi nuova"

La professoressa reggina replica alle accuse, tramite il suo ufficio stampa, e analizza l'operato della Cassazione

La professoressa Cinzia Paolina De Lio, originaria di Reggio Calabria, ma insegnate di storia e filosofia a Chioggia,  continua la sua campagna mediatica per difendersi dalle accuse, secondo cui sarebbe stata assente dalla scuola per vent'anni e quindi destituita, e sceglie a distanza di pochi giorni dal primo comunicato, di affrontare in un altro comunicato stampa la questione "assente da scuola 20 anni su 24 anni di servizio". 

Analizza i fatti e cita le norme e così la professoressa De Lio afferma:  "Quella delle assenze è una tesi infondata nella realtà, non credibile anche a prima vista e senza conoscere i fatti e gli atti da parte di chiunque sia dotato di pur minimo discernimento ma, soprattutto, è una tesi “nuova” che come tale non avrebbe potuto essere proposta nel ricorso d'appello a pena di rendere lo stesso inammisibile, secondo dottrina e giurisprudenza. Ed invece questa tesi “nuova” il Miur ha introdotto nel suo ricorso in appello, che pur così inammissibile è invece stato ammesso dalla Corte d'appello di Venezia e poi confermato dalla Cassazione".

"È questo il secondo, gravissimo, “nodo” critico dopo quello sulla “destituzione”. Tale nodo inestricabile emerge dalla lettura della sentenza della Cassazione n.17897/2023 comparata con alcuni principi fondamentali del Diritto affermati nel Codice di procedura civile vigente in questa Repubblica. La procedura, si sa e sarebbe banale ricordarlo, non può essere “interpretata” come possono esserlo le leggi ma deve essere rigidamente “applicata”. Secondo il dispositivo dell'art. 342 del Codice di procedura civile “l'appello deve essere motivato, e per ciascuno dei motivi deve indicare a pena di inammissibilità, in modo chiaro, sintetico e specifico: il capo della decisione di primo grado che viene impugnato;  le censure proposte alla ricostruzione dei fatti compiuta dal giudice di primo grado; le violazioni di legge denunciate e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Secondo l'art. 345 primo comma del codice di procedura civile “nel giudizio d'appello non possono proporsi domande nuove e, se proposte, debbono essere dichiarate inammissibili d'ufficio...”. I motivi del recesso, insomma, non possono essere modificati in corso di causa, come invece è stato fatto in danno della professoressa De Lio", si legge nel comunicato.

"La domanda “nuova” in appello consiste nell'esposizione di fatti costitutivi del diritto radicalmente diversi da quelli dedotti in primo grado che comportano un ampliamento del thema decidendum, cioè della questione principale sottoposta al giudice di prime cure, ampliamento inaccettabile in un secondo grado di giudizio perché su di essi non ha avuto luogo un contraddittorio e tale da rendere inammissibile il ricorso in appello con pronuncia declinatoria di rito. Il divieto assoluto di proporre domande nuove ha la funzione di garantire a tutti i cittadini la certezza del diritto attraverso la piena attuazione del principio del doppio grado di giurisdizione. Il giudice veneziano dell'appello ha accolto il ricorso del Miur seppur lo stesso fosse inammissibile ai sensi dell'art 345 cpc, perché fondato su fatti diversi da quelli fatti valere in primo grado. La Suprema Corte ha validato l'operato della Corte d'appello di Venezia emettendo la sentenza Cass Civile lavoro n.17897 di condanna della professoressa De Lio. Dalla lettura congiunta delle sentenze dei tre gradi di giudizio emerge un palese conflitto con il dettato del Codice di procedura civile.
Vi è di più: nella sentenza di Cassazione n.17897 – che conferma la sentenza d'appello della professoressa De Lio accogliendo e replicando la questione “nuova” delle assenze - la Suprema Corte smentisce se stessa creando un corto circuito schizofrenico gravissimo con altre sue sentenze di cui una a Sezioni Unite seppur penali".

"Mentre, dunque, pacificamente la Corte di Cassazione in tutte le sue sentenze in materia di “nuova” introduzione nel giudizio di appello si esprime per l'inammissibilità del ricorso, per la prima volta nella storia della Repubblica la stessa Suprema Corte condanna la prof. De Lio che è stata la vittima dell'introduzione di un tema nuovo in appello", afferma l'Ufficio stampa di Cinzia Paolina De Lio.

"Si ricorda, difatti, che ad avviare l'azione giudiziaria contro la prof. De Lio non è stata alcuna contestazione di presunte “numerosissime assenze” bensì la presunta “incapacità didattica” contestatale dal dirigente scolastico nel 2017 che a sua sola firma ha decretato che la prof. Cinzia Paolina De Lio, “ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 512 del D. Lgs. 297/1994, è dispensata dal servizio per incapacità didattica”. Il primo grado di giudizio, pertanto, si è svolto riguardo all'unico tema contestato dal dirigente, l'“incapacità didattica” e non riguardo “le assenze". Le “numerosissime assenze”, oltre a non essere storicamente esistenti, compaiono dal nulla nel ricorso in appello introdotto dal Miur.
Una sentenza di Cassazione fondata sulla replica di una sentenza d'appello che per la prima volta nella storia della Repubblica ha accolto l'introduzione di un motivo “nuovo” proposto dall'appellante “nonostante” il dettato del Codice di procedura civile vigente in questa Repubblica provoca inquietanti riflessioni e suscita non pochi interrogativi sulla deriva dello “stato di diritto”", conclude la nota.

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