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Martedì, 23 Aprile 2024

"La famiglia Alvaro vi vota? Sono tutti con noi, stanno facendo l'ira di Dio": le intercettazioni prima delle Regionali |VIDEO

Operazione “Eyphemos” della polizia di Stato contro la potente cosca degli Alvaro

Estorsioni, favoreggiamento, violenza privata, detenzione di armi e droga, voto di scambio, aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta.

Queste le accuse rivolte a 65 persone, finite nel mirino della maxi operazione "Eyphemos", condotta dalla Squadra mobile reggina e coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri.

Gli 007 della Questura di Reggio Calabria e del commissariato di polizia di Palmi, con il coordinamento del Servizio centrale operativo e con il concorso degli equipaggi del Reparto prevenzione Crimine e delle Mobili di Milano, Bergamo, Genova, Vicenza, Novara, Lodi, Pavia, Ancona, Pesaro Urbino, Perugia e Bari, hanno eseguito 53 ordinanze di custodia cautelare in carcere e 12 ai domiciliari.

I nomi degli arrestati

La "guerra fredda" e le fazioni

La complessa attività d’indagine svolta sotto le direttive del procuratore aggiunto Gaetano Paci e del sostituto procuratore Giulia Pantano della Dda avrebbe documentato l’esistenza a Sant’Eufemia d’Aspromonte di una struttura associativa che opera alle dipendenze del locale di ‘ndrangheta di Sinopoli e territori limitrofi facente capo alla potente 'ndrina degli Alvaro. 

In seno al locale eufemiese, in cui coesistono almeno tre diverse fazioni, quella dei Cannizzaro, riferibile a "u diavulu" (Cosimo Idà) e quello riconducibile a Domenico Laurendi, alla fine del 2017 e nel 2018 si registrò una spaccatura interna. 

Due associazioni mafiose, l'una facente capo a Domenico Laurendi e l’altra a Cosimo idà, erano sostanzialmente entrate “in guerra fredda” tra loro, nel tentativo di prendere l'una il sopravvento sull'altra, ricorrendo a continue affiliazioni (soprattutto irregolari, alle quali aveva proceduto la frangia contrapposta a quella di Laurendi) che miravano ad implementare l'organico, con la finalità ultima di imporre ciascuna la propria linea strategica
criminale ed acquisire, pertanto, maggiore peso criminale nell’ambito dello stesso locale.

Secondo gli inquirenti, "la corsa sfrenata ad affiliare nuovi ‘ndranghetisti, oltre a consentire nei fatti l'ingresso nel locale di ‘ndrangheta di persone non sempre ritenute idonee sotto il profilo criminale o, comunque, non dotate dei requisiti di affidabilità necessari, creò non pochi disordini interni e l'insorgere di malumore, soprattutto all'interno dello schieramento capeggiato da Domenico Laurendi.

Quest'yltimo non tollerava non solo l’irregolarità delle affiliazioni effettuate dall'altro gruppo, ma anche il fatto che queste fossero state poi sostanzialmente convalidate dal presunto boss Andrea Luppino (deceduto) e da Francesco Cannizzaro, alias "Canneddha", anch’egli boss di vecchia data che partecipò al famoso summit di Montalto nel 1969".

Il gruppo laurendiano avrebbe esercitato non poche pressioni affinché i vertici del locale, custodi delle regole inviolabili dell’onorata società (tra cui Cosimo Cannizzaro, detto "spagnoletta", Francesco Cannizzaro, detto "Canneddha" e il defunto Andrea Luppino) prendessero una posizione ferma e rifiutassero di ratificare gli irregolari riti di affiliazione operati dalla frangia opposta.

Il compromesso e le affiliazioni

All'interno del locale sarebbe stata fatta  una scelta di compromesso, da una parte, la regolarizzazione dei riti già eseguiti, ma nel contempo il divieto di effettuarne di ulteriori, attraverso la fissazione di una sorta di periodo di sospensione.

La decisione adottata dagli anziani del locale circa le irrituali affiliazioni avrebbe determinato la reazione furibonda di Domenico Laurendi che, sostenuto dai suoi più vicini sodali, come Antonino Gagliostro, Antonio Crea, Vincenzo Carbone, Saverio Napoli, avrebbe officiato alcuni "battezzi" e ne avrebbe programmati altri, pretendendo l'assenso
anche successivo da parte degli altri primari del locale,con lo scopo di restituire equilibrio tra le due frange mafiose, fino a giungere a meditare una scelta ancora più dirompente, come la creazione di un banco nuovo e il rimescolamento delle cariche con equa ripartizione tra le due anime interne della cosca.

"L’idea - spiegano gli inquirenti - era anche quella di creare un nuovo locale di 'ndrangheta indipendente dagli Alvaro imperanti a Sinopoli, che potesse ottenere il riconoscimento del Crimine di Polsi".

La potente cosca degli Alvaro e le armi

Gli esiti dell’indagine offrono uno spaccato estremamente chiaro e danno l’immagine concreta dell’esistenza ed operatività in Sant’Eufemia d’Aspromonte di un’organizzazione mafiosa pericolosissima ed efferata, "che ha la disponibilità di un elevato quantitativo di armi anche da guerra, che ha compiuto in passato plurimi omicidi, che compie atti didanneggiamento, dedita nel settore della droga (sia cocaina che marijuana), che controlla capillarmente il territorio, anche attraverso l'imposizione di estorsioni agli imprenditori, che ha una sua propaggine in Lombardia, nel Pavese, dove da tempo si è insediato Domenico Laurendi, coadiuvato da  Giuseppe Speranza e dal cugino Giuseppe Rizzotto, e in Australia dove è presente un locale di‘ndrangheta, dipendente direttamente dalla casa-madre calabrese". 

Il locale e l'Australia

Le intercettazioni hanno  consentito di captare alcuni dialoghi da cui emergerebbe che Attilio Firenzuoli, in passato, sarebbe andato in Australia per risolvere il problema della spoliazione di un suo zio (che aveva commesso una trascuranza) all'interno del locale, ma il progetto sarebbe fallito perché il parente sarebbe stato comunque sanzionato, sebbene non fosse stato espulso dai ranghi della ‘ndrangheta.

È anche emerso dalle indagini che i vertici del locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte partecipavano alle decisioni più importanti da adottare nel locale in Australia, tra questi Cosimo Cannizzaro, anziano ‘ndranghetista, diretto interlocutore dei vertici australiani.

Il controllo del Comune di Sant'Eufemia

Il locale di 'ndrangheta eufemiese che dipende dalla 'ndrina degli Alvaro, alla quale tributa onori e riconoscimento e sottomissione gerarchica avrebbe instaurato forme di utilitaristica interazione con consorterie di diversa matrice mafiosa; avfrebbe infiltrato con propri uomini anche la cosa pubblica, ossia il Comune di Sant'Eufemia d’Aspromonte, sul quale avrebbe esercitato influenza e governato le attività economiche imprenditoriali.

L'inchiesta ha avuto come perno centrale la figura di  Domenico Laurendi, processato per associazione mafiosa e assolto in secondo grado nel procedimento "Xenopolis", (nell’ambito del quale emergeva come uomo di fiducia di Cosimo Alvaro, classe 1964.

I cerimoniali di 'ndrangheta

Le indagini avrebbero verificato come ancora oggi i cerimoniali continuano ad esistere, così come i riti arcaici e la fascinazione del linguaggio dei sodali. Tutto questo continua ad essere a Sant’Eufemia d’Aspromonte punto di forza della organizzazione ‘ndranghetistica, moderna ed antica ad un tempo, dotata di un fortissimo senso di identità, di impermeabilità dall'esterno e di appartenenza, caratterizzata da una rigida gerarchia quasi di tipo militare. 

Gli esiti delle intercettazioni "descrivono l'organizzazione mafiosa in esame come ammantata di sacralità e di rituali". Molteplici, spiegano gli inquirenti "sono le riunioni e gli incontri monitorati, in cui si discuteva di cariche, di gradi, di cerimonie, della formazione di un banco nuovo, della creazione di un nuovo locale autonomo dalla cosca  che necessitava, per la sua costituzione e legittimazione, della benedizione del Crimine di Polsi".

I vari protagonisti discutevano dei gradi della ‘ndrangheta, usando termini quali "santa", "camorrista", "vangelista", “sgarrista", "capo locale", "contabile".  Gli Alvaro al di là della spinta autonomista palesata dai laurenziani nel corso delle attività di indagine, continuano a controllare anche Sant'Eufemia d’Aspromonte e "fanno sentire forte la loro voce".

Testimonianza di questo sarebbe fornita dagli incontri tra Domenico Laurendi e Cosimo Alvaro, leader indiscusso degli Alvaro che continuano ad essere fortemente coesi tra loro e uniti in un’unica grande cosca, nel rispetto del comune vincolo di appartenenza, nonostante i diversi sottogruppi familiari ("Carni i cani", "Pajechi", "Merri", "Pallunari", "Testazza" o "Cudalunga") godano di una certa autonomia programmatica e di azione.

Da costui Lurendi si recava a precise cadenze temporali, seguendone le direttive, sostenendolo economicamente e gestendone gli affari economico-imprenditoriali criminali.

La cosca sarebbe riuscita a collocare i propri rappresentanti ai vertici dell’Amministrazione Comunale. Con il
ruolo di capo, promotore ed organizzatore dell’associazione mafiosa è stato colpito dalla misura cautelare della custodia in carcere il vice sindaco, Cosimo Idà, alias "u diavulu", artefice di diverse affiliazioni che avevano determinato, "un attrito molto forte con le altri componenti del locale di ‘ndrangheta eufemiese e l’alterazione degli equilibri nei rapporti di forza tra le varie fazioni interne allo stesso".

I politici asserviti alla 'ndrangheta, la vicenda di Creazzo

Domenico Creazzo, sindaco del comune di Sant’Eufemia d’Aspromonte, secondo gli investigatori per   "realizzare il progetto di candidarsi e vincere le ultime elezioni regionali (gennaio 2020)", si sarebbe rivolto a  Domenico Laurendi "prima attraverso il fratello  Antonino Creazzo, in quanto capace di procacciare voti grazie alle sue aderenze con figure apicali della cosca Alvaro e poi direttamente a Laurendi, per sbaragliare gli avversari politici".

Dalle parole captate di Antonino Creazzo emergerebbe uno spaccato professionale del fratello Domenico Creazzo "non limpido", anche in relazione alla sua funzione di presidente del Parco dell'Aspromonte nel cui svolgimento, risulterebbe avere assecondato varie richieste a fini puramente clientelari. 

Dalle indagini emergerebbe inoltre che per motivi di strategia e di opportunità, Domenico Creazzo avrebbe dovuto evitare frequentazioni o anche il semplice accompagnamento con persone vicine agli ambienti della criminalità organizzata in modo da portare avanti una sobria campagna elettorale.

L'intento non era quello di chiudere le porte alla ‘ndrangheta, il cui bacino di voti avrebbe potuto fare la differenza con gli altri candidati, quanto di delegarne la richiesta ad intermediari che, meno esposti pubblicamente, avrebbero potuto relazionarsi, dando meno nell'occhio, con gli ambienti mafiosi. 

Il sostegno al senatore Marco Siclari

Prima delle ultime elezioni regionali, emergerebbe l’operatività della cosca eufemiese, con Domenico Laurendi in testa, in vicende strettamente politiche, in particolare durante le elezioni politiche del 2018, quando venne eletto senatore della Repubblica Marco Siclari. In quella campagna elettorale, sostengono gli inquirenti "veniva raggiunto tra Marco Siclari e gli Alvaro un accordo illecito funzionale allo scambio di utilità corrisposte dai candidati con il sostegno offerto dalla famiglia mafiosa". 

Il 28 febbraio del 2018 ci sarebbe stato un incontro, pure tenuto riservato, tra Laurendi e l’allora candidato al Senato Siclari, mediato dal medico  Giuseppe Galletta. L’incontro, durato circa mezz’ora, si era svolto a Reggio Calabria, presso la sede della segreteria politica di Siclari.

Nel corso delle intercettazioni, Domenico Laurendi avrebbe chiesto al sodale Natale Lupoi "di appoggiare politicamente il candidato Siclari ed emergeva inoltre che il giorno delle elezioni lo stesso Laurendi si era impegnato a dare indicazioni ad alcuni elettori affinché esprimessero la loro preferenza per Siclari al Senato, definendolo 'amico nostro'". 

Le analisi del dopo voto evidenziano che Marco Siclari era stato eletto senatore della Repubblica nel collegio uninominale n. 4 della Calabria con una percentuale del 39,59%, riuscendo ad ottenere a Sant'Eufemia d'Aspromonte 782 voti, pari al 46,10%, mentre nel limitrofo Comune di Sinopoli 435 voti, pari al 63,41%. In pratica, nei comuni di Sinopoli e Sant'Eufemia d’Aspromonte, Siclari aveva conseguito una percentuale di voti ben più alta della media provinciale.

Dopo il successo elettorale, tra maggio e giugno 2018,  Domenico Laurendi avrebbe presentato, "il primo conto", sollecitando un intervento del senatore affinché una persona di suo interesse, parente di Natale Lupoi, ottenesse il trasferimento presso la sede di Messina di Poste Italiane. Il trasferimento è stato ottenuto (con decorrenza 17.2.2020) attraverso un articolato stratagemma emerso nel prosieguo delle indagini. 

Nel 2019 il posto di lavoro a Messina per la dipendente di Poste Italiane che interessava a Domenico Laurendi sarebbe stato creato ad hoc, come "contropartita all’appoggio elettorale, non essendoci alcun bisogno di personale [come emerso dalle indagini) per la qualifica ricoperta da quel soggetto prima che lo stesso presentasse domanda di mobilità".

Le accuse contestate

Ad Angelo Alati, Cosimo Alvaro, Domenico Alvaro Cl. ‘77, Salvatore Alvaro, Giuseppe Bagnato, Antonino Borgia, Cosimo Cannizzaro, Francesco Cannizzaro, Domenico Carbone, Vincenzo Carbone, Vincenzo Condina, Antonio Crea, Emanuele Crea, Giuseppe Crea, Emanuele Crea Detto “Ciccellino”, Giovanni Crea, Pasquale Cutrì, Nicola Delfino, Rocco Graziano Delfino, Attilio Firenzuoli, Diego Forgione, Domenico Forgione, Antonino Gagliostro, Cosimo Idà, Giasone Italiano, Antonino Laurendi, Domenico Laurendi, Rocco Laurendi Classe ‘44, Natale Lupoi,

Domenico Luppino, Pasquale Modaffari, Bruno Modaffari, Domenico Modaffari, Francesco Modaffari, Vincenzo Modaffari, Carmine Napoli, Giuseppe Carmine Napoli, Giuseppe Novello, Carmine Quartuccio, Giuseppe Rizzotto e Giuseppe Speranza, è stato contestato il delitto di associazione mafiosa, per aver fatto parte della cosca
Alvaro (suddivisa in vari rami familiari), attiva in Sinopoli, San Procopio, Cosoleto, Santa Eufemia di Aspromonte, Delianuova e in zone limitrofe, a sua volta inserita nel territorio compreso nella fascia tirrenica della provincia reggina.

I presunti ruoli 

Cosimo Alvaro, alias "pelliccia”, con il ruolo di capo ed organizzatore della cosca, "sovrintendeva alla complessiva gestione del sodalizio e assumeva compiti decisionali, regolando in tutto o in parte l’attività collettiva, con posizione di superiorità; a lui venivano rapportate tutte le attività illecite e para lecite svolte dalla cosca ed era ilboss a dare disposizioni e ordini, anche con il sistema delle 'mbasciate', decidendo in ordine ai singoli delitti, agli investimenti e al riciclaggio dei proventi delittuosi"; Salvatore Alvaro, "Turi u pajecu", con il ruolo di capo ed organizzatore, in contatto con le figure apicali tra cui Domenico Laurendi e Pasquale Cutrì, operativo nel settore dei traffici di droga;

Giuseppe Bagnato “Pinuccio”, appartenente alla frangia dei Cannizzaro, con il ruolo di capo ed organizzatore, ed in quanto tale con il potere di attribuire doti e disporre nuove affiliazioni, nonché di attivare le procedure per l’apertura e il riconoscimento di Polsi;

Natale Lupoi, alias "beccaccia", con il ruolo di capo ed organizzatore, con compiti operativi nel settore delle estorsioni, del traffico di stupefacenti e dell’usura; Francesco Cannizzaro, "canneddha", storico ‘ndranghetista che partecipò al summit di Montalto del 1969, con il ruolo di capo, promotore ed organizzatore;

Cosimo Cannizzaro, "spagnoletta", con il ruolo di capo, promotore ed organizzatore, con il potere in ordine ai soggetti da affiliare; manteneva i rapporti con i referenti mafiosi degli Alvaro, insediatisi a Milano, dove esiste una propaggine; "partecipava alle riunioni dei vertici del locale australiano per decidere della 'spoliazione' di un affiliato che aveva commesso una grave trascuranza";

Attilio Firenzuoli, "Nino u testuni", capo ed organizzatore, deputato a risolvere i conflitti tra le due fazioni di Cosimo Idà e Domenico Laurendi; "poteva interloquire con i vertici degli Alvaro insediatisi in Australia"; Diego Forgione "u peones", con il ruolo di capo ed organizzatore, in contatto con Domenico Laurendi;

Domenico Laurendi, "rocchellina", capo, promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa del locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte, con compiti di decisione, pianificazione ed individuazione delle azioni delittuose da compiere.

"Era deputato a presiedere i riti di affiliazione, aveva il potere per attivare le procedure per l’apertura ed il riconoscimento a Polsi di un nuovo locale; statuiva in ordine agli imprenditori da sottoporre a richieste estorsive; a lui i componenti della sua frangia mafiosa dovevano rendere conto per le attività illecite; coordinava le attività di spaccio degli affiliati ed effettuava investimenti nel settore del traffico di stupefacenti; aveva il potere di decretare e vietare omicidi; provvedeva a mantenere i rapporti con i massoni che svolgevano nell’interesse della cosca attività di riciclaggio dei proventi delittuosi; si occupava di mantenere i rapporti con il mondo politico;
aveva compiti operativi nel settore delle armi";

Cosimo Idà, "u diavulu", con il ruolo di capo promotore ed organizzatore di una fazione mafiosa all’interno del locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte; Domenico Alvaro, con il ruolo di capo ed organizzatore, in contatto con le figure apicali della ‘ndrangheta, in vista della competizione elettorale regionale, deputato a stringere accordi elettorali con il candidato Domenico Creazzo; Carmelo Napoli, "Carminazzu", con il ruolo di capo promotore ed organizzatore.

Sono partecipi dell’associazione mafiosa e con vari compiti Antonino Gagliostro “u mutu”, Vincenzo Carbone “Ceo”, Domenico Carbone “ciacio”, Antonio Crea “spatola”, Emanuele Crea “ciccellino”, Giovanni Crea, Giuseppe Speranza, Emanuele Crea, Pasquale Cutrì, Antonino Borgia, Giuseppe Rizzotto, Giuseppe Novello, Vincenzo Modaffari "u ruggiatu", Nicola Delfino "Cola", Angelo Alati "u marucchino", Bruno Modaffari “u filiciuni”, Rocco Graziano Delfino, Giuseppe Crea, Antonino Laurendi "Ninareddhu u pistolu", Domenico Modaffari, Francesco Modaffari, Pasquale Modaffari, Giuseppe Carmine Napoli "mpizza", Vincenzo Condina "u russu", Carmine "Carmelo Quartuccio, Domenico Luppino, Giasone Italiano, Rocco Laurendi classe ’44, e Domenico Forgione "Dominique u peones".

Le armi

L’associazione mafiosa è armata perchè dispone di numerose armi pistole e fucili, anche ad elevato potenziale offensivo, in parte sequestrate nel corso delle indagini. L’ala militare del gruppo di Domenico Laurendi disponeva anche di un bazooka, al quale gli indagati facevano riferimento durante le intercettazioni. 

Con l’accusa, a vario titolo, di detenzione e porto in luogo pubblico e di cessioni ed attività di compravenditadi armi comuni da sparo, da guerra e munizioni, sono colpiti da misura cautelare Domenico Laurendi, Giovanni Crea, Antonio Crea, Emanuele Crea cl. 1994, Giuseppe Speranza, Cosimo Laurendi, Michele Romeo, Giorgio Spaliviero, Antonino Gagliostro, Rocco Iannì, Domenico Carbone, Emanuele Crea cl. 1933, Antonino Borgia, Rocco Laurendi, Antonio Luppino, Diego Orfeo e Giuseppe Rizzotto.

Le estorsioni

Le indagini avrebbero consentito di portare alla luce diversi episodi estorsivi di cui si sarebbero resi responsabili, a vario titolo, i componenti della cosca, anche al fine di infiltrarsi negli appalti pubblici e nell’economia locale.

I delitti di estorsione sono stati contestati a: Domenico Laurendi, per aver costretto con minacce il titolare di un’impresa edile, in relazione ai lavori aggiudicati dal Comune di SanProcopio per il ripristino ed adeguamento di un edificio scolastico, a versare una somma di denaro imprecisata, sicuramente non inferiore a 1.000 euro.

A Domenico Laurendi e Vincenzo Carbone “Ceo”, per aver costretto con violenza e minacce il titolare di una società ad assumere maestranze indicate dalla consorteria criminale e a pagare un’imprecisata somma di denaro, in relazione a lavori di ristrutturazione di un edificio a Sant’Eufemia d’Aspromonte, aggiudicati con appalto
pubblico.

A Domenico Laurendi, per partecipare agli utili derivanti dall'esecuzione dell'appalto di risanamento dissesto idrogeologico di un'area all'interno del centro abitato di Sant’Eufemia d’Aspromonte di circa 700 mila euro, avrebbe costretto con minacce (ambientali]), il titolare di un'azienda di altra regione, ad inserire nell'Associazione Temporanea di Imprese la ditta “Costruzioni Flores”, riconducibile a Saverio Napoli, e a concedere in subappalto
opere per l'ammontare di 100 mila euro alle ditte di Domenico Laurendi.

Domenico Laurendi e Carmine “Carmelo” Quartuccio, avrebbero invece costretto con violenza e minacce un imprenditore reggino ad affidare parte dei lavoridi adeguamento, di riqualificazione tecnologica e di miglioramento dell’efficienza finalizzati al risparmio energetico degli impianti di pubblica illuminazione - che con la ditta di cuiera titolare si era aggiudicato per l'importo di euro 81.802,90 - ad assumere maestranze ed impiegare i mezzi della ditta di Carmine Quartuccio, acquisendo la disponibilità di euro 20 mila euro (prezzo della tangente).

Domenico Laurendi, Natale Lupoi, “beccaccia”, e Carmelo Napoli, avrebbero poi costretto il titolare di un’impresa esecutrice di lavori di completamento di una strada pubblica, aggiudicati per un importo complessivo di euro 330 mila euro, a versare una somma di denaro a titolo di “tassa ambientale”, progettando atti minatori o di danneggiamento per indurre la vittima, che stava indugiando a prendere contatti con i referenti mafiosi sul territorio, a rivolgersi all'organizzazione mafiosa per comprare “la tranquillità”.

A Francesco Crea si contesta la tentata estorsione, perché, dopo aver concesso a un soggetto un prestito di euro 57 mila euro ed avere ottenuto la restituzione di euro 65 mila euro, avrebbe compiuto, con metodo mafioso, atti diretti a procurarsi un ingiusto profitto consistente nella disponibilità di una ulteriore somma di denaro pari ad euro 35 mila euro, senza titolo alcuno, con "correlativo danno per la persona offesa". 

Il metodo mafioso si concretizzava nella simulazione di appartenenza alla nota famiglia mafiosa Crea di Rizziconi, di cui spendeva comunque il nome, accompagnata alla richiesta di corresponsione di denaro, e nell'effettuazione di continue telefonate dal contenuto minatorio alla vittima e nel portarsi fin sotto l'abitazione della vittima. 

L'evento "non si realizzava per cause indipendenti dalla sua volontà, ovvero perchéla parte offesa, pur non denunciando, decideva di rivolgersi a Antonino Creazzo, di cui conosceva le amicizie mafiose, perché intervenisse in suo favore per fare cessare le pretese estorsive ai suoi danni".

Violenza privata

A Domenico Alvaro, 43 anni, è stato contestato il delitto di violenza privata perché, con minacce e con metodo mafioso, spendendo il nome della cosca di appartenenza e prospettando un male ingiusto per sé e per i suoi familiari, avrebbe costretto Francesco Crea a non chiedere somme di denaro alla vittima di una tentata estorsione.

In particolare avrebbe mandato, tramite di terzi, “un'ambasciata” mafiosa a Francesco Crea contenente un ordine di cessare ogni forma di prevaricazione e vessazione nei confronti della vittima e di non chiedere la corresponsione di altre somme di denaro, lasciando intendere che, diversamente, avrebbe avuto contro sia la ‘ndrina degli Alavro che dei Crea.

Fabbricazione e detenzione di esplosivo

Il reato di fabbricazione e detenzione di materiale esplodente è stato contestato a Giuseppe Speranza, Domenico Restuccia, Francesco Romeo e Carmelo Castagnella perché, secondo gli investigatori avrebbero fabbricato e detenuto un ordigno esplosivo, che intendevano utilizzare perprovocare l'esplosione dell'abitazione storica, confiscata ai componenti della cosca Gallico, di via Concordato di Palmi, destinata ad ospitare i nuovi uffici del Commissariato di polizia, quale atto ritorsivo all'ordinanza di sgombero adottata nei confronti dei componenti del clan Gallico.

In particolare, Domenico Restuccia e Francesco Romeo, esponenti del clan Gallico, avrebbero commissionato la fabbricazione dell'ordigno ai referenti del locale di ‘ndrangheta di Sant’Eufemia d’Aspromonte con cui intercorrevano interessenze economiche ed alleanze.

Giuseppe Speranza, ricevuta la commessa, dava incarico per la fabbricazione a Carmelo Castagnella, che provvedevaa realizzarlo verso un corrispettivo di 2 mila euro, e a detenerlo in luogo sicuro.

Traffico di droga

Pregnanti elementi indiziari sono stati acquisiti anche in ordine al coinvolgimento di alcuni indagati in fattispecie criminose legate agli stupefacenti. Con l’accusa, a vario titolo, di cessione, acquisto, coltivazione, tentata importazione, offerta in vendita di sostanze stupefacenti, prevalentemente cocaina e marijuana, sono colpiti dal provvedimento cautelare Giuseppe Speranza, Giuseppe Rizzotto, Girolamo Macrì, Giuseppe Scicchitano, Domenico Laurendi, Luca Docente, Domenico Carbone “Ciacio”, Natale Lupoi “Beccaccia”, Emanuele Crea, Antonino Borgia, Sarino Antonio Carbone, Domenico Restuccia, Francesco Romeo, Mauro Fedele e Giuseppe Orfeo.

Scambio elettorale

Giuseppe Antonio Galletta, Domenico Laurendi e il senatore Siclari Marco sono indagati per scambio elettorale politico mafioso, perché Marco Siclari avrebbe accettato, tramite Giuseppe Antonio Galletta, la promessa di procurare voti da parte di Domenico Laurendi, in cambio della promessa di erogazione di utilità ocomunque della disponibilità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell'associazione mafiosa; tra i primi vantaggi ottenuti, su richiesta del clan, una parente di Natale, veniva trasferita da una sede di Poste Italiane a quella di Messina.

Domenico Laurendi, Antonino Creazzo, Domenico Creazzo perché in concorso tra loro avrebbero stipulato un accordo relativo ad uno scambio elettorale politico-mafioso;  Domenico Creazzo, attuale sindaco di Sant’Eufemia d’Aspromonte, intenzionato a candidarsi alle competizioni elettorali per il rinnovo del Consiglio della Regione Calabria, avrebbe accettato tramite Antonino Creazzo, la promessa di procurare voti da parte di  Domenico Laurendi, in cambio della promessa di erogazione di utilità o comunque della disponibilità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell'associazione mafiosa.

Antonino Creazzo, Domenico Creazzo, Domenico Alvaro, Francesco Vitalone (non destinatario di misura per tale capo di imputazione), Cosimo Alvaro, perché in concorso tra loro avrebbero stipulato un accordo relativo ad uno scambio elettorale politico-mafioso. 

Domenico Creazzo, ottenuta la candidatura nel partito “Fratelli d’Italia” per le competizioni elettorali per il rinnovo del Consiglio della Regione Calabria avrebbe accettato, tramite  Antonino Creazzo, la promessa di procurare voti da parte di Domenico Alvaro, Cosimo Alvaro e Francesco Vitalone in cambio della promessa di erogazione di utilità o comunque della disponibilità a soddisfare gli interessi e le esigenze dell'associazione mafiosa; tra le varie utilità era contemplato il reperimento di attività di lavoro presso ditte del Nord Italia, e messa a disposizione di immobili per incontri illeciti in favore di Domenico Alvaro e reperimento di occupazione lavorativa al Parco di Gambarie per Cosimo Alvaro.

Vitalone e Creazzo, in concorso tra loro, e con metodologia mafiosa, minacce o comunque con mezzi illeciti atti a diminuire la libertà degli elettori avrebbero esercitato, direttamente ed indirettamente, servendosi di soggetti incaricati, pressioni per costringerli a votare in favore del candidato alla Regione Domenico Creazzo.

I fratelli Domenico e Francesco Modaffari, 26 e 28 anni, localizzati ad Hannover in Germania, sono stati arrestati, in esecuzione di un M.A.E. emesso dal gip, su richiesta della Dda di Reggio Calabria, dal collaterale organo di polizia tedesco nel quadro di una proficua attività di cooperazione internazionale.

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