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Cronaca

La massoneria deviata era la "lavanderia" dei profitti illeciti della cosca Alvaro

Le carte dell'inchiesta "Eyphemos" hanno messo in risalto la figura di Domenico Laurendi: il boss scelto dalla cosca di Sinopoli per gestire i rapporti con i "massoni amici" della 'ndrangheta

Che ‘ndrangheta e massoneria abbiano avuto punti di contatto era cosa notoria. Dalle carte dell’operazione “Eyphemos”: l’inchiesta con la quale la Direzione distrettuale antimafia e la Squadra mobile di Reggio Calabria hanno disarticolato la cosca Alvaro, emerge un altro aspetto inquietante. Dalla ricostruzione degli 007 della Questura di Reggio Calabria e del commissariato di polizia di Palmi, con il coordinamento del Servizio centrale operativo e dei magistrati reggini Gaetano Paci e Giulia Pantano, emerge uno spaccato nuovo di queste “relazioni pericolose”.

La "lavanderia" delle cosche

La ‘ndrangheta, per gli inquirenti della Procura antimafia, poteva contare su “massoni amici” per riciclare i proventi illeciti dei propri affari fuori legge. Le chiavi di questa “lavanderia”, stando alla ricostruzione dei fatti offerta dagli investigatori della Squadra mobile di Reggio Calabria, erano nella mani di Domenico Laurendi: boss emergente della locale di Sant’Eufemia d’Aspromonte. 

Domenico Laurendi punto di contatto

A Domenico Laurendi era stato affidato il compito da parte della cosca Alvaro di mantenere i rapporti con quegli spezzoni della massoneria deviata che non avevano remore nel mettersi a disposizione della ‘ndrangheta. 

Le parole del gip

E’ lo stesso gip che ha firmato l’ordinanza di custodia cautelare a suffragare la tesi degli investigatori. “Per la cosca Alvaro - si legge nelle carte dell’inchiesta - è ancora emerso che è Domenico Laurendi a tenere i rapporti con soggetti appartenenti alla massoneria (quella parte ovviamente legata alla ‘ndrangheta) che riciclavano i proventi illeciti della cosca: Laurendi fungeva da collettore dei proventi illeciti dei vari affiliati e sodali, li consegnava ai "massoni" amici che poi li restituivano, di fatto prestandosi ad operazioni di riciclaggio”. 

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