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Cronaca

Dentro la 'ndrangheta degli "invisibili" i boss "laureati" in contatto con le istituzioni

Il racconto del collaboratore di giustizia Diego Zappia sull'evoluzione criminale delle cosche calabresi durante il processo "Ndrangheta stragista", per il pentito ci sarebbero solo 7/8 doti in tutto il mondo per la "super associazione"

ZAPPIA-Diego-classe-1985-2Nella ‘ndrangheta degli invisibili, a stretto contatto con pochissimi boss di prima grandezza disseminati in giro per il mondo, ci stanno avvocati, dottori, professionisti.  Anche questi insospettabili, sui quali il collaboratori di giustizia Diego Zappia si è intrattenuto durante l’udienza del processo “Ndrangheta stragista”, erano state assegnate le doti sconosciute ai più di “tredicesimo apostolo”, “infinito” e “super associazione”. Queste doti apicali, secondo il racconto del giovane ndranghetista pentito, sarebbero state “assegnate a 7, massimo 8 persone in tutto il mondo”.

"Invisibili" e istituzioni

A questo gruppo ristrettissimo di “uomini d’onore”, capaci per le loro qualità di ricoprire doti superiori a quella di “mammasantissima”: l’ultima carica fra quelle “visibili”, sarebbe consentito di avere rapporti con rappresentanti delle istituzioni, di piegarle ai propri desiderata.  Diego Zappia , rispondendo alle domande del Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha quali siano le fonti della sua conoscenza, approfondite durante la permanenza nel carcere di Siracusa ed il rapporto “privilegiato” con l’ottantenne Domenico Focà, figura di rilievo della ‘ndrangheta di Grotteria.

Il rapporto con Focà

“Lo aiutavo durante la carcerazione - ha detto Zappia - per i suoi problemi di salute. Lo accudivo come fosse un mio parente anziano. Lo rispettavo e lui mi rispettava e, durante il passeggio, mi raccontava la storia della ‘ndrangheta”. Un racconto particolareggiato, impreziosito da conoscenze particolari, notizie sconosciute ai più. “Focà - ha detto il collaboratore di giustizia - era completo, era laureato, aveva la dote di super associazione”.

La conoscena di Filippone

Ritornando all’essenza del processo in corso presso il Palazzo di giustizia di Reggio Calabria, poi, Diego Zappia ha avuto modo di chiarire il suo grado di conoscenza di Rocco Filippone: uno degli imputati di “Ndrangheta stragista”. “Personalmente - ha detto Zappia - non ho mai conosciuto personalmente i soggetti che componevano la mia copiata per la dote di trequartino, (Filippone per la tirrenica, Stillitano per il centro e Paviglianiti per la jonica aveva detto precedentemente il collaboratore di giustizia), mai cognomi non erano sconosciuti. Posso dedurre che Filippone della mia copiata fosse Rocco Filippone che era una persona molto conosciuta negli ambienti criminali”.

"Ho pensato fosse lui"

Diego Zappia, poi, ha detto di aver conosciuto Rocco Filippone presso il carcere di Reggio Calabria dopo l’arresto seguito all’indagine sull’omicidio Canale consumatosi a Gallico nell’estate del 2011. Un’occasione durante la quale il giovane collaboratore di giustizia ebbe modo di parlare con Filippone in diverse occasioni senza, però, mai soffermarsi sull’appartenne alla ‘ndrangheta. “Ho pensato - ha ricordato Zappia - fosse il componente della mia copiata ma non mi ricordo di aver mai parlato con lui in carcere della copiata”.

Il processo

L’interesse del pubblico ministero, poi, si è spostato sui capi d’accusa del processo “Ndrangheta stragista” e il Procuratore aggiunto Lombardo ha chiesto al collaboratore di giustizia se Filippone gli raccontò di quale processo che lo riguardava e di parenti che collaboravano con la giustizia. La risposta di Diego Zappia è stata veloce e sicura. “Si - ha detto - mi disse che era stato arrestato per l’omicidio di due carabinieri e che il nipote dopo essere stato arrestato era diventato collaboratore e che aveva ritrattato e non era più collaboratore”.

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