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Lunedì, 29 Aprile 2024
L'ordinanza

'Ndrangheta, il registro dell'imprenditore vessato per la messa a posto con il pizzo

Dalle carte dell'inchiesta Atto quarto emergono i rituali criminali delle richieste estorsive da parte delle cosche reggine

Un foglio bianco di quelli che si custodiscono dentro i quaderni cartonati con i ganci. Era questo il registro del pizzo che un imprenditore reggino, uno che ha deciso di collaborare con la giustizia e le cui dichiarazioni sono finite nell'ordinanza di custodia cautelare che ha compendiato il lavoro investigativo denominato Atto quarto, ha consegnato ai magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria.

In quel foglio ci sono riportati gli oboli che l'imprenditore, attivo nel settore edile, ha dovuto versare agli emissari delle cosche per garantirsi protezione, per non avere più problemi dopo i primi, inequivocabili, "messaggi" - come il danneggiamento mediante incendio di un locale della ditta - che gli erano stati recapitati.

Pressioni dei clan che l'imprenditore ha raccontato al pubblico ministero Walter Ignazitto che lo ha ascoltato. Come quando gli venne presentato Totò Libri, quello che era ritenuto "il fulcro di tutte le famiglie di Reggio", quello a cui l'imprenditore avrebbe dovuto "dare conto" di tutto quello che faceva. Da quel momento in poi, come scrivono gli investigatori della Squadra mobile nelle carte dell'ordinanza, l'imprenditore avrebbe versato a titolo di "messa a posto" somme variabili fra i 500 e i 1000 euro che veniva richieste, "secondo il più tipico canovaccio di 'ndrangheta", per il sostentamento dei familiari dei detenuti.

"Iniziai a vederlo - racconta l'imprenditore vessato - in corrispondenza di alcune... che poi sono le date di mietitura classiche, quindi a Pasqua e a Natale. E in queste circostanze lui formalizzava la sua richiesta che, per quello che potevo, insomma cercavo di corrispondere proprio per smorzare questi problemi. Parliamo di somme di 500 euro, di 1000 euro mi venivano chieste, proprio a titolo di eh, allora venivano finalizzate all'aiuto delle famiglie dei carcerati. Questa era la frase classica, erano finalizzate al fatto che questo mi consentiva di poter lavorare senza avere... la classica messa a posto".

Una trama sviluppatasi almeno dal 2015 e fino al 2021, quando l'imprenditore ha deciso di interrompere l'erogazione del pizzo in favore delle famiglie di 'ndrangheta, "suscitando - scrive il giudice - i malumori e la freddezza di chi mal tollerava i dinieghi opposti".

"Dal 2020 in poi - racconta l'imprenditore - ho cominciato a tagliare questi rapporti, o cominciato a ragionare sul futuro dell'azienda e ho compreso che dovevo giocoforza cambiare, cambiare interpretazione per come gestire questi problemi e quindi ho incominciato ad allontanarli, proprio ad allontanarli fisicamente nel senso a non accettare neanche il caffè. Questa cosa ovviamente ha comportato un poco di irrigidimento da parte loro, no perché hanno capito che non ero più disponbile al dialogo".

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