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Domenica, 28 Aprile 2024
La scoperta / Riace

Reperti rinvenuti a Riace, da ulteriori esami emergono scenari diversi

Braghò, Arcudi e Laratta fanno chiarezza dopo le illazioni scatenate dalla presentazione degli importanti ritrovamenti

Continua a suscitare un animato dibattito il ritrovamento di alcuni reperti nei fondali di Riace, a poca distanza dal punto in cui furono ritrovati i Bronzi di Riace. L'indiscutibile rilevanza della scoperta fatta dal giornalista freelance esperto di arte antica Giuseppe Braghò ha però generato anche teorie poco attendibili, e ora, a circa tre settimane dalla presentazione in anteprima mondiale alla stampa  presso l’Hotel Federica di Marina di Riace, dei rinvenimenti effettuati da Braghò lo scorso agosto durante una immersione, lo stesso scopritore insieme ali archeologi Francesco Laratta e Antonio Arcudi, fa chiarezza su alcuni punti con una nota congiunta. 

La premessa è che "alcune illazioni speculative e le più disparate ipotesi hanno solo generato polemiche e critiche, relegando ad un basso livello di discussione l’importante scoperta del signor Braghò". Nella conferenza stampa di Riace i tre relatori avevano invece dissertato intorno ai reperti in questione "senza lasciarsi andare ad inutili iperboli sensazionalistiche, che avrebbero sicuramente avuto una risonanza mediatica più eclatante, ma consci dell’importanza scientifica dei manufatti rinvenuti, hanno semplicemente esposto ciò che si poteva evincere al momento, secondo le specifiche competenze". 

Nonostante l'equilibrato profilo scientifico dell'incontro, "con sommo rammarico, si registrano fin da subito reazioni contrastanti che da un lato hanno steso ombre sulle modalità di rinvenimento da parte del signor Braghò e dall’altra, ricamando sulle parole dei relatori scientifici, hanno costruito ad arte affermazioni che non sono mai state espresse, se non per avanzare preliminari ipotesi ricostruttive".

Nella nota Braghò, Laratta e Arcudi, ribadiscono con assoluta convinzione i concetti enunciati durante la loro presentazione, respingendo al mittente qualsiasi dubbio sulle modalità di rinvenimento dei reperti recuperati a Riace Marina. Mentre per quanto riguardal le speculazioni scientifiche seguenti, affermano: "Lasciano il tempo che trovano, in quanto le ipotesi avanzate dal dottor Arcudi e dal dottor Laratta sono state fatte vagliando una notevole quantità di confronti e facendo numerose consultazioni bibliografiche, soppesando in modo adeguato ogni singola parola. Cosa che probabilmente, non è stata fatta da altri sedicenti studiosi".

In attesa dei dati che saranno messi a diposizione delle Soprintendenza, gli studi fatti dagli scriventi hanno portato ad ulteriori riscontri, illustrati nella nota. In particolare sui reperti metallici si spiega che le dimensioni dei chiodi rimandano certamente ad un’unità navale di notevole tonnellaggio, come è facilmente deducibile in base a numerosi confronti riferibili al contesto del mar Jonio calabrese.

Si cita il relitto della “navis lapidaria” - comunemente noto come “Punta Scifo D” - nei pressi del promontorio di Capo Colonna, dalla stazza stimata di 357 tonnellate e dalla lunghezza di circa 40 metri. Proprio nel contesto di questo relitto è stato rinvenuto un chiodo in lega di rame della lunghezza di 33,5 centimetri. Si legge nella nota: "Tutti gli elementi di fissaggio strutturale della nave presa in esame sono a sezione quadrangolare con testa sferica, al pari del materiale recuperato a Riace. Quindi, facendo le necessarie comparazioni di questi stessi materiali si può azzardare una datazione da porre a cavallo del III sec. d.C".

Proseguendo nell’analisi dei reperti riacesi, si nota la presenza di un chiodo a sezione circolare, anch’esso di notevoli dimensioni, circa 22 centimetri. "Dalla casistica generale si nota come questa tipologia non sia così frequente, tanto che di esempi accertati se ne conoscono solo due: il relitto greco di Kyrenia del IV sec. a. C. e la barca di Kinneret, in Israele, datata fra il I a.C. e il II sec. d. C. Quindi è possibile ipotizzare che l’utilizzo di chiodi a sezione tonda, possa provenire da una specifica area geografica, tanto da poter indurre ad avanzare non tanto una possibile provenienza della nave, ma l’ipotesi che la stessa possa aver toccato quelle coste e necessitato di piccoli interventi di manutenzione, abbia avuto necessità di utilizzare materiali diversi da quelli di costruzione".

E concludono ribadendo quanto detto in conferenza stampa: "Premettendo che la giacitura di questi reperti sul fondo del mare non restituisce nessuna informazione relativa alla rotta seguita dell’unità, non è possibile escludere a priori che si trattasse della nave che trasportava i due bronzi A e B".

La nota si sofferma poi sul reperto più eclatante tra quelli rinvenuti da Braghò, un manufatto di forma semisferica dal diametro di circa 1 centimetro, che rappresenta un’iride apparentemente in pasta vitrea o calcite con pupilla circolare a rilievo in lega di rame. Spiegano gli esperti: "La parte posteriore è caratterizza dalla presenza di due piccole alette di fissaggio in bronzo di cui una è conservata solo parzialmente. Il manufatto si presenta in buone condizioni generali, mostrando labili segni di deteriorato dovuto al rotolamento sul fondale marino a seguito del movimento ondoso. L’iride mostra leggere tracce di pigmentazione sbiadita, mentre la pupilla evidenzia segni di ossidazione verdastra tipiche delle leghe di bronzo".

Potrebbe essere l'occhio mancante di uno dei Bronzi? Gli scriventi smentiscono che sia possibile pur ammettendo che in sede di presentazione si era detto che questo reperto, per tecnica costruttiva modulare, fosse assimilabile ad un occhio di una statua di bronzo di dimensioni compatibili con quelle dei famosi guerrieri di Riace. Ulteriori analisi hanno però portato in una direzione opposta.

Si legge nella nota: "Contrariamente a quanto ipotizzato in sede di presentazione, sebbene un confronto con le immagini del volto della statua A inducevano ad avanzare un possibile riferimento con le cavità delle sclere di questa, gli ultimi elementi emersi in fase di studio hanno smentito totalmente questa preliminare ipotesi ricostruttiva". Infatti i nuovi dati ricavati dallo studio delle sclere dei bronzi A e B, propendono decisamente per l'ipotesi che "questo manufatto possa appartenere ad un’altra statua ancora sconosciuta", eventualità che aumenta notevolmente l’importanza dei rinvenimenti fatti da Giuseppe Braghò. 

Commentano i tre esperti: "Queste scoperte evidenziano in modo significativo come l’area di Porto Forticchio sia ancora meritoria di attenzione scientifica. La necessità di effettuare scavi sistematici sia in acqua sia sulla prospicente linea costiera, imporrebbe decisamente un nuovo impulso alla ricerca archeologica".

E ribadiscono quanto detto da Braghò in un altro incontro pubblico a Reggio, cioè che l’intera area andrebbe messa immediatamente sotto tutela dalle autorità competenti. Concludono Braghò, Arcudi e Laratta: "Salvaguardare l’integrità del contesto archeologico di Riace Marina, sicuramente preserverà dati che amplierebbero decisamente le conoscenze diacroniche del territorio, focalizzando l’interesse non solo sullo studio delle celebri statue rinvenute ormai più di cinquant’anni fa in circostanze mai troppo chiarite, ma su tutta la costa ionica calabrese". 

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