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Dalla letteratura al set / Brancaleone

Pavese a Brancaleone, dalla scrittura e le memorie al film di Alessandro Preziosi

La Fondazione di Santo Stefano Belbo darà supporto scientifico per l'opera tratta dal romanzo "Il carcere", e il direttore Pierluigi Vaccaneo ricorda l'importanza dei mesi trascorsi in Calabria dallo scrittore confinato

“Brancaleone è uno dei luoghi cruciali nella vita e la letteratura di Pavese, i mesi del confino segnarono uno spartiacque nella sua opera. Qui è nato l’interesse per il classicismo ed è iniziata la scrittura del diario Il mestiere di vivere, mai abbandonata fino alla morte”. Pierluigi Vaccaneo, direttore della Fondazione Cesare Pavese, ha visitato Brancaleone in occasione dell’edizione 2022 del Pavese Festival - che ha previsto un’estensione di iniziative anche fuori dalla città natale dello scrittore, Santo Stefano Belbo - e ancor prima per il progetto “Io vengo di là”, un viaggio nei luoghi pavesiani documentati da una serie video su YpuTube che ha consentito di continuare l’attività della fondazione anche durante la pausa obbligata della pandemia. Nei prossimi mesi tornerà nella cittadina ionica dove nel 1935 lo scrittore torinese fu condannato a trascorrere tre anni da confinato che sarebbero stati ridotti a nove mesi dopo la grazia dal Duce: l’occasione è la realizzazione del film che Alessandro Preziosi, al suo esordio nella regia, adatterà dal romanzo “Il carcere”, che racconta quell’esperienza dolorosa e rivelante, dalla quale Pavese uscì profondamente cambiato.

Vaccaneo, Verduci e Politi a Brancaleone (foto Fondazione Pavese)

Possiamo anticipare che la sceneggiatura del film è costruita con un rimando tra la narrazione romanzesca (nel libro l’ingegnere Stefano è un personaggio letterario sebbene la storia sia autobiografica) e il vero Pavese con la sua solitudine, la difficoltà di affrontare la vita e quella riflessione universale sull’umanità sua imperitura eredità intellettuale. La Fondazione sta collaborando al progetto cinematografico con un supporto scientifico di materiali e ricerche sul confino a Brancaleone. “Non siamo coinvolti nelle scelte artistiche del film – dichiara Vaccaneo – ma la scelta di un dialogo tra il protagonista del romanzo e l’autore sarebbe del tutto coerente con l’opera di Pavese e si ritrova nei suoi principali romanzi, che presentano sempre suoi alter ego che spesso transitano dalla giovinezza all’età adulta. E’ come – continua – se volesse far vivere ai suoi personaggi quella vita nella quale lui faticava tanto. A proposito di ‘La bella estate’, dove i personaggi sono donne, l’identificazione è tale che Calvino gli disse che si aspettava che fumassero persino la pipa come lui”.

Il rapporto con i luoghi e la gente di Brancaleone e l'impatto del romanzo "Il carcere"

Sono tanti i ricordi del confino a Brancaleone custoditi dalla Fondazione. Nella puntata di “Io vengo di là” dedicata al soggiorno calabrese dello scrittore, il vicesindaco Giovanni Alessi ricorda lo sdegno che accompagnò l’uscita del romanzo “Il carcere”, dove il paese era descritto nell’oggettività dell’arretratezza e la miseria del tempo: “Per un po’ i brancaleonesi hanno avuto un rapporto di amore e odio verso Pavese, ma nel libro c’è soltanto la reale fotografia di un’epoca e non mancano gli aspetti positivi, come la grande ospitalità della gente, che lo scrittore vedeva come un retaggio della Magna Grecia”.

Scriveva così Pavese nel romanzo che vedremo sul grande schermo: “Qui una volta la civiltà era greca”, e raccontando del modo in cui le donne, vedendolo prendere il sole per conto suo lo additavano come ‘u confinatu’, immaginava quelle parole pronunciate con una cadenza ellenica. “E io mi sento Ibico – fantasticava - e sono contento”.

Preziosi ha scelto di ambientare il set del film a Brancaleone dopo essere stato affascinato dalla casa in cui lo scrittore trascorse il confino, che il proprietario, l’avvocato Tonino Tringali, ha avuto la lungimiranza di preservare e rendere fruibile al pubblico. “L’amministrazione di Brancaleone ha progetti ambiziosi legati al turismo culturale attorno alla figura di Pavese – dice ancora Pierluigi Vaccaneo – e la gente considera il suo passaggio qui come un pezzo della loro storia che merita di essere raccontato con un forte senso di appartenenza. Nella nostra prima visita siamo stati inizialmente guardati con diffidenza, ma quando abbiamo spiegato cosa cercavamo le persone hanno quasi fatto a gara per condividere con noi i ricordi, gli episodi e persino qualche pettegolezzo di quel periodo, che a loro volta avevano ascoltato da genitori o parenti che conobbero Pavese”. A qualcuno, come l’amico Oreste Politi, lo scrittore continuò a scrivere lunghe lettere da Torino manifestando il desiderio di tornare a Brancaleone per rivederlo. Dieci anni dopo, ironizzando su questa promessa mai mantenuta diceva: “Mi sembra di essere ora qui in un nuovo confino”.

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L’impatto con quella cittadina così diversa dal capoluogo piemontese fu scioccante. Per Pavese la lontananza forzata dai suoi affetti fu lancinante. Forse da Brancaleone volle sempre soltanto andarsene, sin dal primo momento, ma, come accade a Stefano nel romanzo Il carcere, “era felice del mare: venendoci, lo immaginava come la quarta parete della sua prigione, una vasta parete di colori e di frescura, dentro la quale avrebbe potuto inoltrarsi e scordare la cella".

La suggestione del mare e la nascita dell'interesse per il classicismo

La scoperta delle suggestioni del Mediterraneo aprì in lui un orizzonte nuovo. “Nel mare trovava un legame con le origini dell’umanità – spiega Vaccaneo - e questo ispirò la sua indagine sulla mitologia. Lo vedeva come un limite infinito, che gli faceva pensare a come l’uomo può superare i suoi limiti fisici, e io stesso ho provato questa sensazione a Brancaleone. Un percorso che poi porterà ai Dialoghi con Leucò, in cui Pavese avrebbe lasciato il suo ultimo messaggio prima del suicidio”.

Sulla relazione umana con i brancaleonesi dice ancora il direttore della Fondazione: “Di lui sapevano che era stato mandato al confino e pensavano di trovarsi davanti un militante di sinistra, non sapevano neanche che fosse uno scrittore. Invece si accorsero che Pavese non parlava mai di politica ma era semplicemente un uomo che soffriva moltissimo quella situazione. Furono forse delusi o spiazzati, ma poi compresero la sua condizione esistenziale, il suo animo inquieto e anche la sua indole gentile e disponibile. Lo accolsero con calore. La sua detenzione fu privilegiata: gli si consentiva di uscire la sera, fare il bagno, andare in paese dove partecipava a feste con cibo e vino che apprezzava molt eo, dove conobbe il ballo della tarantella. Il maresciallo gli permise persino di imbracciare il fucile in una battuta di caccia con amici, perché quell’uomo mite ispirava fiducia”.

In una lettera alla sorella Maria, lo scrittore raccontava come i calabresi fossero ingiustamente etichettati come sporchi, essendo in realtà di pelle scura perché “cotti dal sole”. E invidiava la destrezza delle donne che portavano le anfore in bilico sulla testa: “Imparerò anche io e un giorno mi guadagnerò la vita nel cabaret di Torino”.

Brancaleone fu mito primigenio, umanità e soprattutto paesaggio. Come racconta nel video girato dalla Fondazione il presidente della Pro Loco Carmine Verduci, lo colpirono le rocce lunari che si tingevano di rosso e volendone fare materia letteraria, per sentirle familiari e provò a collocarle nel contesto noto delle Langhe, ma poi capì che solo lì avrebbero potuto parlare al suo animo.

Nel film il paesaggio calabrese avrà un ruolo centrale come lo ebbe per Pavese

Il film tratto dal libro Il carcere avrà il sostegno di Calabria Film Commission e Alessandro Preziosi, ospite della Regione Calabria all’ultima Bit di Milano, ha sottolineato questa centralità dei luoghi nel progetto. Lettore appassionato di Pavese, ha detto: “L’ultima volta in cui ho letto romanzo è stata 15 anni fa e ho confermato la capacità che ha di unire letteratura, cinema e un paesaggio i cui bellissimi scorci corrispondono a uno stato d’animo. Il mio compito sarà raccontare un’esperienza terribile e la responsabilità dell’essere lasciati soli, come è accaduto per molto tempo in Calabria, una terra rappresentata spesso male. Nel Carcere c’è l’incontro straordinario tra un uomo del nord e il mondo calabro, e credo che possa permettere agli stessi calabresi di riconciliarsi con i loro luoghi”.

Conclude Pierluigi Vaccaneo: “Nel forte legame con la natura che Pavese sperimentò a Brancaleone c’era quello che l’autore cercava nella scrittura. Lì la vita era semplice ed era per lui più facile vivere”.

Alla sorella lo scrittore parlava della luna sul mare del paese reggino come di un’immagine fastidiosa che gli evocava il pesce fritto. Ma Stefano appena arriva sulla spiaggia riempie un fazzoletto di ciottoli e conchiglie. Il mare è l’oracolo a cui chiedere risposte sull’esistenza, è l’interlocutore segreto a cui nella poesia “Lo steddazzu”, epiteto calabrese della stella di Venere, ultima luce della notte, dedica la sua pena: “Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno in cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara che l’inutilità”. 

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