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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Le tradizioni della Pasqua / Bivongi

La riscoperta della corajisima, da personaggio pauroso a scacciaguai

A Bivongi un laboratorio ha riportato tra i vicoli le bamboline quaresimali con il ricercatore Andrea Bressi, che racconta come si sta recuperando questa tradizione nella provincia reggina

"Corajisima 'mpenduta si mangiau pani e lattuca, 'a lattuca 'nci fici mali Corajisima e Carnalavari". La filastrocca arriva dalla memoria orale di Caulonia e parla di un personaggio che non molti conoscono, soprattutto se appartenenti alle generazioni successiva a quella dei boomer. La domenica di Pasqua è l’ultimo giorno di vita della bambolina artigianale che in tante zone della Calabria raffigura la Quaresima, nonché moglie di Re Carnevale: resa vedova dopo il martedì grasso, si trasforma in un lugubre segnatempo del periodo di penitenza che termina oggi con la festa pasquale. La realizzazione delle corajisime, che venivano appese a porte e balconi dei paesi per l’intero tempo quaresimale, è una tradizione molto antica che sta scomparendo insieme agli ultimi anziani che la tramandavano celebrando anche il rito delle sette piume da togliere una ad una ogni settimana fino all’ultima, che rappresenta il commiato della pupazza nel giorno della Pasqua.

Una tradizione antica che rischia di perdersi con gli ultimi anziani artigiani

Una famosa corajisima si trova nella casa museo di Leonida Repaci a Palmi, ma il fantoccio dalle fattezze sgradevoli e il velo nero si vede sempre meno nel suo luogo autentico, cioè i borghi dove occhieggiavano queste creature inquietanti di stoffa e legno. Proprio per non far estinguere questo patrimonio culturale del territorio, da alcuni anni gruppi e cittadini stanno portando avanti un’opera di salvezza e recupero della corajisima. In particolare a Bivongi l’associazione “Le radici e le ali”, presieduta da Adele Murace, in collaborazione con l’oratorio della parrocchia e il centro anziani ha organizzato un laboratorio tenuto da uno dei principali studiosi della materia, il cantastorie e musicista Andrea Bressi. “E’ stata una bella esperienza – dice Miriam Panaia – che ha coinvolto persone di varie età e anche i bambini dell’oratorio. Con Bressi sono state create alcune bamboline che poi, come da tradizione, sono state esposte in paese. Abbiamo scoperto – continua – che in alcune case sono conservate corajisime antichissime, realizzate in passato da nonne e nonni, e c’è chi le ha portate al laboratorio, una bambolina che abbiamo visto risale a quarant’anni fa”.

I partecipanti al laboratorio (foto le Radici e le ali)

Il folklore cambia nelle varie province calabresi: ad esempio, nei paesi arbereshe cosentini resiste l’usanza di distruggere la bambola nel giorno di Pasqua, bruciando insieme a lei il dolore e i pensieri foschi del triste passaggio della Quaresima. Ma a Bivongi non accadrà. Spiega Miriam Panaia: “Abbiamo deciso di conservare le bambole per il prossimo anno perché l’obiettivo è salvare questa tradizione e anche per dare una connotazione positiva alla corajisima, che ha fama di figura malvagia. Noi invece vogliamo vederla come un personaggio che scaccia i guai e quindi porta bene”.

Non a caso durante la Pasqua in lockdown pandemico del 2020 le pupattole vestite di nero erano state appese tra i vicoli di Bivongi da alcuni anziani, sicuri che quell’immagine avrebbe tenuto lontano il virus proteggendoli.

Da personaggio spaventoso a riscoperta con un forte senso identitario

La nomea respingente della corajisima è stata smorzata dalla sua rivalutazione culturale ad opera di associazioni e artisti. Non più circonfusa da un alone di superstizione, la bambolina viene realizzata da artigiani (a Pazzano lo hanno fatto con l’associazione “Ricomincio da me”) che poi la mettono in commercio anche verso destinazioni lontane, grazie alla richiesta di emigranti che desiderano ritrovare un ricordo della terra natale o della famiglia. Lo conferma Andrea Bressi, catanzarese e affettivamente legato al territorio reggino perché la moglie è originaria di Cirella di Platì.

Andrea Bressi-2

Bressi ha iniziato a studiare la corajisima - che conosceva dai racconti del nonno - nel 2008, andando in giro per la Calabria alla ricerca di tracce di quella tradizione e poi organizzando mostre, convegni e workshop, fino a diventare referente regionale della rete nazionale delle bambole della Quaresima. “Ho sempre cercato di cogliere il senso più religioso e la semplicità di questa tradizione – dice – e soprattutto quando parlo con i bambini cerco di dissipare quanto possibile i pregiudizi e la paura di un’usanza che ricordava un passato triste, di miseria, fame, sacrifici e restrizioni osservati rigorosamente. Negli anni l'interesse nei confronti della corajisima è cresciuto, non la si odia più e al contrario è percepita come fattore identitario e se ne parla persino nei romanzi, viene riesumata dalle cassepanche e si espone nei musei”. I social fanno la loro parte e una rinnovata curiosità nasce attorno al post di una ragazza che su Facebook raccontava di quella spaventosa pupattola che la nonna ormai vecchia e malata appendeva alla porta di casa nel Mercoledì delle ceneri, per annunciare l’inizio della Quaresima. “In fondo ogni recupero di tradizioni avviene così – continua Bressi – da un giovane che prosegue l’opera di un genitore o nonno che non c’è più, per non farla smarrire”.

Il laboratorio di Bivongi e le corajisime di Placanica a grandezza umana

Il ricercatore ha visto tante iniziative del genere nei suoi viaggi e racconta di quello che è successo a Placanica, dove a collaborare con la signora Carmela (le cui bellissime bambole erano state immortalate anche da fotografi professionisti) sono stati i maestri falegnami Vincenzo e Giuseppe Franco, che per la concittadina creavano il fuso e la conocchia che la corajisima tiene tra le mani, e nel 2019 hanno realizzato due fantocci in legno a grandezza umana: seduta a filare tra i vicoli, quest’anno una di loro è stata affiancata a un alieno in un’originale rappresentazione del dialogo tra passato e futuro.  “Ho avuto modo di notare come la tradizione prenda forme diverse nelle varie province – spiega ancora Andrea Bressi – nel Reggino le bambole hanno subìto pochi cambiamenti nei colori e nella tipologia, e forse per questo quando scompaiono gli anziani si fatica a tramandarle e scompaiono. Ad esempio a Pazzano e Bivongi mi hanno fatto vedere corajisime che avevano non solo l’abito ma anche il viso completamente nero e questo è coerente con il fatto che dovevano fare paura. Per spaventare i bambini si diceva che a chi mangiava la carne in Quaresima la bambola avrebbe ‘scaddatu u cannarozzu’ , cioè bruciato la gola”.

Corajisima a Placanica (foto Fb Vincenzo Franco)

A Caulonia superiore l’ultimo custode della corajisima è stato Mimmo “pistirdu", morto nel novembre del 2020, mentre a Cittanova la realizzava Totò Santoro e di divulgare la tradizione si occupa oggi l’ingegner Francesco Politi con la documentazione fotografica e testuale nel blog Cittanova on line. La bambola apotropaica ha un’ossatura costituita da un bastoncino nel quale è conficcato un frutto - che può essere una patata, un limone o un’arancia, purché morbido abbastanza da essere trafitto dalle sette piume che verranno sfilate ogni settimana fino alla domenica di Pasqua. Ma la conformazione di frutto e piume rappresenta anche i due sessi e l’astinenza dall’alcova che insieme alla rinuncia della carne dovrebbe essere osservata durante la Quaresima. Anche per questo durante il periodo di lutto si richiedeva alle donne di non pettinarsi e non rassettare il letto, accortezze che avrebbero dovuto scoraggiare l’intraprendenza dei mariti. “E’ molto difficile trovare chi continui a rispettare gli obblighi quaresimali – commenta Bressi – anche per questo il rito che si concludeva con la distruzione della bambola non ha più senso perché era legato alla fine di quel periodo di penitenza con l’arrivo della gioia pasquale. Spesso le corajisime non hanno neanche le piume perché le donne che si occupavano di realizzarle oggi lavorano e hanno poco tempo per cercare tutti gli elementi che costituivano in origine la bambola”.

Cambia la percezione della Quaresima e anche le bamboline segnatempo

Nel mutamento del rito ha un peso anche la cristianizzazione della corajisima, che secondo molti ricercatori deriva dalle Parche (la pupazza fila il tempo con un fuso) ma anche mito di Persefone: a suggerirlo è il suo ruolo nella scansione che conduce all’avvicendarsi tra inverno e primavera. Nasce insomma come una bambola magica, che accompagnava il risveglio della natura e veniva sacrificata per scacciare gli spiriti maligni. “Questa funzione – conferma Andrea Bressi – motivava il fatto che venisse distrutta, non sempre bruciandola ma con diverse modalità. In alcune zone era seppellita sotto terra, oppure i bambini, che l’avevano temuta per tante settimane, quando finalmente il suo monito di non mangiare carne non era più valido la stracciavano e poi la lanciavano per strada perché fosse fatta a pezzi dai cani. Le comunità calabresi arbereshe continuano a bruciarla nello stesso forno in cui si cuociono i dolci pasquali”.

A Bivongi però le corajisime che hanno decorato i vicoli del paese oggi torneranno negli armadi per restare in letargo fino alla prossima Pasqua, con l’idea di trasformare il laboratorio in un appuntamento fisso e avere sempre più bambole consegnate ai futuri abitanti del paese, nuovi depositari della tradizione. “Abbiamo lavorato per ore – conclude Bressi – e adesso che le corajisime sono state ritrovate non le brucerà nessuno”.

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