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Giovedì, 28 Marzo 2024
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A cura di AIGA sezione di Reggio Calabria

Danno da perdita del rapporto parentale: tutto quello che c'è da sapere

L'intervento a cura dell'avvocato Antonio Laganà

Gli eredi di un soggetto deceduto a causa del fatto illecito altrui - il caso più frequente consiste nella vittima di un sinistro stradale - hanno diritto a chiedere, iure proprio, il risarcimento del così detto danno da perdita del rapporto parentale.

"Tale voce di danno, facente parte del genus più ampio del danno non patrimoniale, - spiega l'avvocato Antonio Laganà - non viene espressamente prevista dalla legge, bensì è frutto di un'elaborazione dottrinale e giurisprudenziale che negli anni ha valorizzato la sofferenza subita dalle vittime secondarie, ossia i parenti del defunto".

                         

       L'avv Antonio Laganà

Definizione

La Suprema Corte è, nel corso degli anni, giunta alla definizione del danno da perdita parentale, affermando che lo stesso consista in “quel danno che va al di là del crudo dolore che la morte in sé di una persona cara, tanto più se
preceduta da agonia, provoca nei prossimi congiunti che le sopravvivono, concretandosi esso nel vuoto costituito dal non potere più godere della presenza e del rapporto con chi è venuto meno e perciò nell’irrimediabile
distruzione di un sistema di vita basato sull’affettività, sulla condivisione, sulla rassicurante quotidianità dei rapporti tra moglie e marito, tra madre e figlio, tra fratello e fratello, nel non poter più fare ciò che per anni si è fatto, nonché nell’alterazione che una scomparsa del genere inevitabilmente produce anche nelle relazioni tra i superstiti”
(Cass. civ., sez III, ord., n. 9196/2018).

Tale forma di danno non patrimoniale rientra, secondo la Corte di Cassazione, in una nozione unitaria che comprende il danno da lesione di diritti fondamentali della persona costituzionalmente tutelati, tra i quali è primario il diritto all’esplicazione della propria personalità mediante lo sviluppo dei propri legami affettivi e familiari, quale bene fondamentale della vita, protetto dal combinato disposto degli artt. 2, 29 e 30 della Costituzione” (Cass. civ. sent., n. 26972/2008).

Il risarcimento dovuto terrà dunque in considerazione, unitariamente, sia la componente c.d. danno morale, consistente nella cruda sofferenza del congiunto superstite, sia il danno esistenziale, relativo allo sconvolgimento delle abitudini di vita ed alla lesione della sfera dinamico-relazionale della vittima secondaria.

Soggetti legittimati, dalla famiglia nucleare alla prova del rapporto leso

Fino a pochi anni fa, il diritto al risarcimento per la perdita di un prossimo congiunto era riconosciuto esclusivamente ai membri della c.d. “famiglia nucleare”, incentrata su coniuge, genitori e figli, ed eventualmente ad i parenti conviventi (es. nonni).

La ratio del suddetto orientamento si fondava sul “pericolo” di allargare eccessivamente la sfera dei soggetti legittimati a richiedere il risarcimento, il cui diritto non sorge per il fatto in re ipsa di aver perso un parente a causa di un fatto illecito altrui, bensì tende a “riparare” – in via equitativa, s’intende – lo stravolgimento della vita e della sfera affettiva che ne consegue.

Solo di recente è stata riconosciuta la possibilità per i congiunti non appartenenti al nucleo familiare e non conviventi, di richiedere il suddetto risarcimento, sulla scorta del principio secondo cui la convivenza – seppur indice del legame affettivo tra vittima primaria (defunto) e secondaria (parente superstite) – non può essere il presupposto per aver accesso al risarcimento, non costituendo l’unico indice dell’intensità del legame affettivo.

In merito, la Corte di Cassazione nel 2021, ordinanza n. 8218, ha ribadito come la precedente coabitazione del superstite con la vittima primaria possa, sì, essere “elemento probatorio utile, unitamente ad altri elementi, a dimostrare l'ampiezza e la profondità del vincolo affettivo che lega tra loro i parenti e a determinare anche il quantum debeatur” ma va “escluso che possa assurgere a connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l'intimità dei rapporti parentali ovvero a presupposto dell'esistenza del diritto in parola”.

Gli ermellini, pertanto, hanno affermato che non possa essere condivisa la visione per cui la “società naturale” della famiglia, tutelata dall’art. 29 Cost., sia limitata alla cerchia ristretta identificata nella “famiglia nucleare”. Tra l’altro, secondo la Corte, "ben possono ipotizzarsi convivenze non fondate su vincoli affettivi ma determinate da necessità economiche, egoismi o altro e non convivenze determinate da esigenze di studio o di lavoro o non necessitate da bisogni assistenziali e di cura ma che non implicano, di per, sé, carenza di intensi rapporti affettivi o difetto di relazioni di reciproca solidarietà".

Tale apertura ha consentito, ad esempio, ai nipoti che avessero perso la nonna o il nonno di richiedere il risarcimento per il danno subito, indipendentemente dalla convivenza con questi ultimi. È stato altresì riconosciuto il diritto al risarcimento in favore del figlio nato successivamente la morte del genitore, in quanto privato della costituzione del rapporto e dell’affetto di cui avrebbe potuto godere.

Tuttavia, nonostante la possibilità di adoperare un meccanismo presuntivo in favore dei parenti della vittima primaria, la prova non può basarsi esclusivamente sulla dimostrazione del legame di parentela, essendo necessario che il congiunto superstite fornisca elementi idonei ad accertare la reale e concreta dimensione affettiva del rapporto leso, nonché la qualità e la stabilità dello stesso.

Tale prova può essere raggiunta attraverso testimoni, documenti e finanche, come si è detto, attraverso presunzioni, purché concerna fatti specifici, circostanziati e precisi, non potendosi ritenere raggiunta la prova qualora vengano utilizzate mere enunciazioni generiche ed astratte.

Il risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale: le tabelle a punti

La liquidazione del risarcimento dovuto, trattandosi di danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c., spetta al giudice investito della questione, il quale dovrà effettuare una valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. del danno tenendo in considerazione determinati criteri al fine di individuare l’effettiva entità del pregiudizio subito.

Nel silenzio totale del legislatore – già “chiamato in causa” dalla Cassazione con la pronuncia n. 184 del 1986 –, per garantire uniformità di trattamento in situazioni analoghe, da più di dieci anni i Tribunali hanno adottato due tabelle, con il benestare della Corte di Cassazione, una elaborata dal Tribunale di Roma e l’altra dal Tribunale di Milano che ha approvato quelle redatte dall’Osservatorio della Giustizia Civile.

La Suprema Corte con Sentenza n. 12408 del 2011, pur non riferendosi al danno da perdita del rapporto parentale, ha indicato le tabelle milanesi come punto di riferimento in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di garantire l’uniformità di giudizio in casi analoghi. La ragione per cui, in passato, furono preferite le tabelle meneghine a quelle elaborate dal Tribunale della capitale consisteva nel fatto che le prime erano quelle maggiormente applicate nei fori di tutta Italia.

Fino al 2021, le due tabelle per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale presentavano le seguenti peculiarità:

  • Tribunale di Milano 2021 – era previsto un sistema a “forbice” in cui veniva previsto un valore minimo e massimo del risarcimento dovuto per ognuno dei rapporti ritenuti, presuntivamente, risarcibili. Ad esempio, a favore di ciascun genitore per la morte di un figlio e viceversa, del coniuge/convivente sopravvissuto per la morte del coniuge non separato o del convivente era previsto un risarcimento minimo di € 168.250,00 e massimo di € 336.500,00. La forbice consentiva al giudice di personalizzare, ossia adattare al caso concreto, il risarcimento dovuto in base alle circostanze di fatto che, di volta in volta, si presentano. Gli indici di valutazione rimessi al giudice consistevano, tra gli altri, nell’entità del legame affettivo leso, la sopravvivenza di altri congiunti e la convivenza con questi ultimi.
  • Tribunale di Roma 2019 – prevedevano un diverso sistema a punto variabile per cui il risarcimento andava calcolato moltiplicando il valore base del punto (nel 2019 quantificato nella somma di € 9.806,00) in base alla ricorrenza di determinati requisiti come la convivenza, la presenza di altri congiunti, l’età della vittima, etc. Tale sistema, permetteva una maggiore oggettività nella valutazione delle circostanze inerenti al singolo caso, consentendo una semplice operazione matematica al fine di quantificare il risarcimento dovuto ai superstiti.

Con le pronunce n. 10579 e 33005 del 2021 la Corte di Cassazione ha stravolto quello che per anni è stato l’orientamento dominante, che vedeva preferite le tabelle meneghine, identificando le caratteristiche necessarie affinché possa applicarsi una determinata tabella. In tal senso, ha enunciato il seguente principio di diritto: “al fine di garantire non solo un’adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, il danno da perdita del rapporto parentale deve essere liquidato seguendo una tabella basata sul sistema a punti, che preveda, oltre l’adozione del criterio a punto, l’estrazione del valore medio del punto dai precedenti, la modularità e l’elencazione delle circostanze di fatto rilevanti, tra le quali, da indicare come indefettibili, l’età della vittima, l’età del superstite, il grado di parentela e la convivenza, nonché l’indicazione dei relativi punteggi, con la possibilità di applicare sull’importo finale dei correttivi in ragione della particolarità della situazione, salvo che l’eccezionalità del caso non imponga, fornendone adeguata motivazione, una liquidazione del danno senza fare ricorso a tale tabella”.

Con le succitate sentenze, dunque, gli ermellini hanno affermato che qualsiasi tabella di liquidazione dovrà non solo prevedere un sistema a punti, ma dovrà altresì tenere in considerazione tutte le circostanze puntualmente specificate dalla stessa Corte.

Dato che all’epoca le uniche tabelle integrate a punti erano quelle elaborate dal Tribunale di Roma, conseguentemente alle sopracitate pronunce, nella giurisdizione di merito si è ritenuto in un primo momento di disapplicare le tabelle meneghine in quanto non rispondenti ai requisiti indicati nel dictat della Corte.

Tabelle di Milano 2022 integrate a punti

Sulla scorta delle indicazioni dettate dalla Cassazione, l’Osservatorio della Giustizia Civile del Tribunale di Milano, si è subito messo al lavoro per elaborare una nuova tabella che prevedesse, innanzitutto, la valutazione del danno
partendo dal punto base.

Dopo più di un anno di lavoro, attraverso il metodo Osservatori consistente nel dialogo tra avvocati e magistrati e nell’analisi di oltre 600 precedenti giudiziari, sono state pubblicate a maggio 2022 le nuove tabelle del Tribunale di Milano, in conformità con le caratteristiche richieste dalla Corte di Cassazione. Queste, proprio in virtù del metodo di redazione adoperato, appaiono preferibili rispetto a quelle redatte dal Tribunale della capitale.

Le nuove tabelle, infatti, prevedono il richiamato sistema a punto base, pur partendo dal vecchio sistema a forbice, i cui minimi e massimi restano invariati. La peculiarità delle tabelle 2022 consiste nella determinazione “automatica” di una parte del risarcimento liquidato in misura del 70%, relativo a circostanze oggettive – quali l’età della vittima primaria e delle vittime secondarie, il rapporto di parentela e la convivenza– ed un 30% che attiene al “gioco delle parti”, consistente nell’allegazione e prova dei fatti e delle circostanze che dimostrino la particolare qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava lo specifico rapporto parentale perduto.

Dunque, il giurista chiamato a rappresentare la vittima secondaria dovrà essere abile nel “mettere sul tavolo” del Giudice quell’insieme di elementi idonei a provare e dimostrare la particolare sofferenza (danno morale), nonché il maggior sconvolgimento delle proprie abitudini di vita (profilo dinamico-relazionale) rispetto all’ id quod prelumque accidit.

Tuttavia, il totale monetario della liquidazione non potrà superare il cap, ossia il massimo importo, previsto dalla tabella per ciascun rapporto (es. € 336.500,00 in caso di perdita del genitore, figlio, coniuge non separato, parte dell’unione civile o convivente di fatto), fatta salva la ricorrenza di circostanze eccezionali nel singolo caso di specie per cui il Giudice potrà discostarsi dal massimale previsto dalla tabella, motivando adeguatamente le ragioni della sua decisione.

Con una recentissima pronuncia del 16 dicembre 2022, n. 37009, la Suprema Corte ha esplicitamente “approvato” le nuove tabelle meneghine, affermando che le stesse ben si conformano, come quelle romane, ai criteri dettati dalle pronunce del 2021.

La Corte di Cassazione, infine, chiude la propria valutazione circa l’idoneità delle tabelle adottate dal Tribunale di Milano auspicandosi “nel perdurante quanto assordante silenzio del legislatore” che possa costruirsi una tabella unica a livello nazionale per poter garantire ancor più certezza ed uniformità nella liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale.

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