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Giovedì, 25 Aprile 2024
Lo Stretto necessario

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A cura di Roberta Pino

Antibiotici, la campagna di Aifa per un uso consapevole: i consigli della dottoressa Alessi

Il medico reggino di medicina generale ed estetica, lancia un appello sul territorio aiutandoci a far chiarezza su una tematica importante per ridurre la minaccia rappresentata dall’antibiotico-resistenza

Grande attenzione da parte dell’Agenzia Italiana del Farmaco sull’uso consapevole dell’antibiotico. Si è appena conclusa la campagna mondiale di sensibilizzazione all’uso responsabile di questo medicamento, assurto, ormai, al ruolo di “farmaco conforto”.

La settimana dal 18 al 24 novembre, promossa dall’Aifa, è solo il punto di partenza per diffondere, il più possibile, un corretto messaggio alla popolazione, ma lo sforzo maggiore spetta soprattutto ai medici di base, figure primarie di riferimento per il paziente. Il contatto diretto, approfondito e sistematico avviene, infatti, proprio con loro.

E dell’uso consapevole e responsabile degli antibiotici ce ne parla la dottoressa Caterina Alessi, medico di medicina generale ed estetica, che opera nella città dello Stretto, molto attenta e sensibile, che ci aiuta a far chiarezza su una tematica così importante.

“L’Aifa ha inteso promuovere soprattutto il concetto fondamentale dell’antibiotico-resistenza - sottolinea la dottoressa Alessi - ormai presente da molti decenni, peggiorata negli anni non solo a causa di un uso inappropriato dell’antibiotico, soprattutto nelle infezioni delle vie urinarie e nelle malattie respiratorie stagionali, ma si è aperto un sipario sull’uso improprio degli antibiotici anche per il Covid”.

A ben pensarci a marzo saranno tre anni dall’inizio della pandemia a causa del Covid, un lungo periodo in cui l’antibiotico ha spadroneggiato con conseguenze ai più sconosciute. E la dottoressa Alessi ricorda che nelle linee guida delle terapie, soprattutto domiciliari, l’antibiotico non era previsto tranne che in situazioni in cui la malattia richiedeva necessariamente l’antibiotico.

Cosa si intende per antibiotico-resistenza? “Nel concetto di antibiotico resistenza, i batteri che vengono aggrediti in qualche modo dall’antibiotico, vanno incontro a trasformazioni di tipo genetico, diventano resistenti, perdendo così la sua efficacia. Come nel caso del virus del Covid, l’antibiotico rompe una parte della capsula del batterio, il batterio cambia forma e non è più aggredibile dal farmaco. E’ il caso anche dell’Escherichia Coli, un batterio endemico presente ovunque con alcune varianti assolutamente resistenti agli antibiotici. Si trova senza sintomi nell'urinocoltura, e ormai non ci sono più antibiotici che lo possano debellare.

Si crea, comunque, un equilibrio tra il batterio e l’ospite ed entrambi riescono a convivere. Il problema si pone nei
soggetti immunodepressi, oncologici, fragili, in questi casi possono esserci delle complicanze. Nei soggetti sani, invece, si può convivere”.

La guida del ministero della Salute

Perché l’antibiotico è considerato un farmaco di conforto? “L’antibiotico è una medicina di conforto, per il paziente e per il medico - chiarisce la dottoressa Alessi - per il medico perché pensa di coprire tutti i possibili rischi di una febbre, di una sindrome che può evolvere in una infezione o meno; per il paziente perché si sente di avere la sua copertura antibiotica. Ma dobbiamo uscire da questo concetto o cliché.

E’ questa la novità da proporre, di fronte ad una terapia che va in automatico, cioè con febbre, mal di gola, un disturbo urinario non bisogna ricorrere subito all’antibiotico. Le statistiche dicono che le malattie stagionali respiratorie, nell’80% dei casi sono dovuti a virus, nel 20% a batteri. Quando noi trattiamo cento malattie respiratorie, quelle stagionali, sbagliamo nell’80% dei casi. E’ un dato fondamentale da rilevare.

L’altro rischio da far emergere è l’uso degli antibiotici nell’alimentazione degli animali, l’uso veterinario ha peggiorato maggiormente l’antibiotico-resistenza. La ricerca scientifica ormai è talmente vasta e copre talmente tanti campi che la possibilità di creare nuovi antibiotici è difficile. E’ chiaro che, oggi, la ricerca si concentri sull’oncologia, sui farmaci per patologie più gravi.

La comunità scientifica ha deciso, ad un certo punto, di non dedicarsi alla ricerca di nuovi antibiotici e adesso non ci aspettavamo che si presentasse questa resistenza nel corso degli anni. Le cause? Uso improprio in campo veterinario e negli uomini” ripete l’esperta.

La guida del ministero della Salute

E la dottoressa Alessi ritorna sul concetto di farmaco-conforto. “C’è una pressione che il paziente può fare sul medico, pensiamo alla popolazione pediatrica, quanti genitori hanno bisogno di dare l’antibiotico ai propri figli alla comparsa della prima febbre? Tornando al discorso virale, batterico, la maggior parte delle infezioni stagionali, delle vie aeree, otiti, sinusiti, faringiti, tonsilliti, bronchiti, sia virali che batteriche, se noi le lasciamo al loro decorso, vanno a guarigione grazie al sistema immunitario, ovviamente nei soggetti sani. In situazioni particolari, un paziente defedato, con malattie di base gravi, un bambino molto piccolo, l’anziano fragile può essere invece utile,
ma nella maggior parte dei casi non è necessario, addirittura anche nelle infezioni batteriche”.

Cosa succede se si somministra subito l’antibiotico in casi non necessari? “In realtà non sappiamo, se con l’intervento immediato dell’antibiotico, dove sarebbe arrivato il sistema immunitario da solo. Nei soggetti in stato di salute, a volte l’antibiotico non sarebbe necessario neanche in quelle forme batteriche in cui di regola viene dato, perché il nostro sistema immunitario è in grado di farci guarire da queste forme. Da qui deriva anche l’espressione “uso consapevole” utilizzata per un fattore temporale.

Si consiglia l’uso di antibiotico dopo tre giorni in caso di malattia febbrile, si valuta, in quarta giornata come la malattia febbrile, respiratoria si possa evolvere in un senso o nell’altro. Usciamo dai cliché, dagli automatismi - è l’appello della dottoressa Alessi - valutiamo singolo paziente caso per caso, non ci affidiamo ad un uso che è diventato ormai abuso.

Si dovrebbe cercare di mantenere un rapporto di fiducia col medico, che conosce il suo paziente. Per noi è diventato complicato suggerire al paziente di rinunciare all’antibiotico, perché fa paura, è un uso, forse, che proviene dal periodo in cui non c’era e quindi, a quei tempi, una malattia faceva tanta paura”.

La guida del ministero della Salute

Adesso cosa è cambiato? “Sono cambiate le condizioni di salute della nostra popolazione, estremamente più sana, il sistema immunitario è più evoluto. Pensiamo all’influenza, alla vaccinazione antinfluenzale, sono tantissimi i soggetti che si vaccinano”.

Cosa dobbiamo fare per scongiurare la paura delle malattie respiratorie? “Intervenire sullo stile di vita, ridurre l’esposizione allo smog, al fumo di sigaretta, fare attività fisica, migliorare l’alimentazione, questo ci porterà a far evolvere sempre di più il nostro sistema immunitario e le terapie saranno meno necessarie.

E’ inutile intervenire con farmaci impropri come può essere l’antibiotico perché non c'è l'indicazione. L’Aifa è molto attenta da anni alla diffusione di un uso responsabile dell’antibiotico. Quest’anno l’attenzione è stata più ampia perché il messaggio è dedicato alle tre malattie fondamentali, attualmente presenti nelle stagioni autunnali ed invernali, raffreddori, influenza e Covid.

Il messaggio fondamentale è questo, in caso di covid, di influenza, di raffreddore comune, l’antibiotico non è indicato, tranne nei casi in cui il medico valuta un paziente particolarmente fragile che ne richiede l’uso in caso di una sovrainfezione”.

Quali sono le difficoltà a cui si affaccia quotidianamente nel diffondere questo messaggio? “Dire di no ad un paziente decuplica la fatica del medico nel fidelizzare. Il medico diventa colui che non vuole prescrivere un farmaco di cui si ha bisogno. Diventa più difficile scardinare le abitudini.

Per un medico di base che quotidianamente affronta tante patologie, e nelle cosiddette malattie stagionali, oggi, anche con il Covid, c’è un carico del 50% in più di lavoro. Occorre dare, per ogni paziente, queste indicazioni e diffondere che esiste l'antibiotico-resistenza. Probabilmente tra qualche anno non avremo antibiotici che possano funzionare sulle nuove infezioni, non abbiamo antibiotici nuovi e questo può essere un problema. Ciò non significa che non bisogna usarlo più. 

L’antibiotico non sempre necessario, un uso improprio anche in campo veterinario sono informazioni scientifiche ormai diffuse da tanto tempo. Il Covid ha amplificato il problema. Chi si occupa di questo, l'Aifa, gli scienziati stanno cercando di lanciare il messaggio, usare bene l’antibiotico quando è necessario ma soprattutto lasciare la scelta terapeutica al medico curante”.

La guida del ministero della Salute

E la dottoressa Alessi rilancia un concetto fondamentale. “La cosa più importante è ricordarsi sempre che non esiste la malattia ma esiste il malato, ogni malattia che viene indossata da una persona diventa una malattia diversa. Come l’esempio del soggetto sano e fragile, sono situazioni cliniche differenti, non lasciarsi prendere dall’ansia e dalla paura della malattia.

Nelle condizioni di benessere sociale, economico, fisico e mentale dell’epoca attuale, la malattia infettiva dovrebbe fare meno paura. Stiamo curando malattie impensabili, l’epatite C, l’immunodeficienza acquisita eccetera e quindi la malattia non deve suggestionare così tanto.

Le malattie respiratorie poi non devono fare paura, le nostre condizioni di salute sono molto migliorate come il nostro sistema immunitario, possiamo paradossalmente guarire da soli, anche senza antibiotici. Possiamo ridurre la pressione della paura che ci porterà ad essere meno interventisti, sia il paziente che non ricorre all’antibiotico, sia il medico che si prende il tempo di valutare il paziente, di fare una diagnosi singola sul malato e non sulla malattia, e in questo caso si può arrivare ad un uso più consapevole e responsabile dell’antibiotico”.

Stop anche a farsi segnare l’antibiotico per tenerlo a casa. “E’ un errore - sottolinea Caterina Alessi - un’infezione è diversa dall'altra, o addirittura intervenire quando non ce n’è bisogno. Lanciare dei messaggi, scardinare un’abitudine è difficile. Ci sono farmaci che fanno simpatia e antipatia, l’antibiotico è invece molto popolare.

Oggi, poi, la medicina è diventata colloquiale, tutti parlano di medicina, di complicanze, di vaccini, non è così facile diffondere questi messaggi. Ma occorre riflettere sull’uso dell’antibiotico, fare un lavoro di sensibilizzazione, di ripresa dell’autorevolezza che ci hanno un po’ depredato. Spesso manca il tempo per fare campagne di diffusione di una corretta informazione, ma sono convinta - conclude la dottoressa Alessi - che anche se arriva ad una sola persona, la comunicazione possa essere comunque efficace, scongiurando il rischio dell’automedicazione”.

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