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Mercoledì, 24 Aprile 2024
Lo Stretto necessario

Lo Stretto necessario

A cura di Roberta Pino

L’antimafia per il pm Stefano Musolino e la sua prospettiva di una città immaginata a colori

Il sostituto della Dda reggina Musolino, ospite della rubrica giuridica “Sentiti in diritto”, ideata e condotta dagli avvocati Nancy Stilo e Angela Faraone e in onda in radio e video diffusione su Touring 104

Il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia, Stefano Musolino, ospite d’eccezione alla rubrica giuridica “Sentiti in diritto”, ideata e condotta da due giovani donne e avvocatesse reggine, Nancy Stilo e Angela Faraone, (nella foto in basso), in onda, due lunedì al mese, in radio e video diffusione su Touring 104 e canale 655 del digitale terrestre. 

Stilo Faraone-3La rubrica, all’interno della trasmissione “Voices” con Benvenuto Marra e Adele Briganti, è rivolta al cittadino con finalità meramente informative per dare voce ai diritti di chiunque di chiedere, conoscere, tutelare ed esercitare.
Nata nell’autunno del 2019, grazie alla creatività delle due professioniste Stilo e Faraone, entrambe civiliste e specializzata in mediazione civile e commerciale l’una e in diritto di famiglia l’altra, la rubrica ha trattato i più vari argomenti, dalla perdita del bagaglio in vacanza al body shaming e cyberbullismo, dai sinistri stradali alla modifica delle condizioni di separazione e divorzi, ospitando di volta in volta professionisti e volti noti nell’ambito del sociale, del campo giuridico ed associazionistico.

Lunedì sera on the air il sostituto Musolino, il cui impegno professionale e umano volto alla tutela delle garanzie e dei diritti costituzionali è sotto gli occhi di tutti, in un contesto territoriale, poi, così difficile e impenetrabile come il nostro.

Il Dna della ‘ndrangheta: male assoluto o male sociale? Le risposte dell’antimafia è il tema affrontato ai microfoni di “Sentiti in diritto”, un argomento delicato “che evoca una immagine di per sé grigia ma non priva di un barlume di speranza” come sottolinea l’avvocato Stilo ricordando una intervista di qualche anno fa del magistrato reggino. Trenta minuti di dialogo e confronto a radio Touring, in cui il pm Musolino è stato sollecitato a parlare dei suoi esordi in magistratura presso il tribunale di Bologna, “dove ho ricevuto una educazione a questo lavoro, perché lì il magistrato è concepito come un funzionario qualunque”.

Una professione vissuta con vocazione e servizio alla sua terra “esercitata tenendo ben presente la fragilità e la limitatezza umana, sia propria che degli altri” ha aggiunto Nancy Stilo. Musolino, da figlio della città dello Stretto, si è soffermato sul significato di svolgere la sua attività proprio nella sua terra d’origine e sulla necessità di restare o di andare via.

Video touring Musolino 02-2

“Ci sono tanti che vanno fuori e se ne vanno da questa città perché non hanno la possibilità di lavorarci, hanno talenti inesprimibili per questo posto ed è naturale che li esprimano altrove - spiega il pm - però chi ha la possibilità di manifestarli anche lavorativamente in questa città, deve porsi delle domande su cosa deve fare e come farlo. Non tutti dobbiamo restare, secondo me deve restare in città solo chi ha voglia di viverla e di immaginarsela diversa. La logica del restare è di chi vuole provare a cambiare le cose. L’ho vissuta la città, ho giocato a basket e a calcio e mi sono trovato come imputati ragazzi con cui ho giocato a pallone, faccio indagini su persone che ho conosciuto bene e ciò fa parte della logica del restare”.

Anche il pm Musolino, dopo la laurea conseguita a Messina, ha pensato di andare via dalla sua terra, poi motivi personali l’hanno condotto a rivedere le sue priorità. “Sono rimasto a Reggio, provando a dare una risposta a quella che è la povertà del nostro territorio, una povertà a tutto tondo, culturale, economica, di dimensioni sociali”. Una professione svolta con sobrietà e discrezione, caratteristiche che connaturano la sua attività grazie all’esperienza lavorativa compiuta a Bologna, dove Musolino ha imparato a collocarla nella giusta dimensione.

Ricorda, poi, una figura di magistrato fondamentale per la sua crescita “ho conosciuto una persona straordinaria, un reggino che non c’è più, Carlo Verardi, che mi ha insegnato moltissimo non tanto con le parole ma per come lui interpretava questo lavoro e provo a seguire la sua scia - e aggiunge - posso dire che, vivendo così sicuramente vivo in pienezza, in sintonia con la parte più profonda di me, sento di aver dato delle risposte profonde. A volte faccio bene il mio lavoro, a volte male, i risultati dipendono da tante cose anche dalle mie fragilità, dai miei limiti. Però sto provando a fare qualcosa che risponda a delle domande di fondo e questo mi fa fare questo lavoro con buona voglia e passione”. (foto da Video Touring)

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Entra poi nel vivo dell’argomento, sollecitato dall’avvocato Faraone. La 'ndrangheta è male assoluto o male sociale e questo come influisce sull’azione antimafia? “Non c’è un modo migliore per fare antimafia - spiega - se è fare qualcosa per un contesto solidale in cui tutti hanno la stessa dignità, anzi chi ha bisogno viene aiutato di più, questo è un modo concreto di fare antimafia. Ognuno di noi ha un modo di fare antimafia anche dentro la magistratura, considerata come apparato repressivo a tutto tondo. Alcuni credono che la mafia sia un male assoluto e perciò la vivono come una battaglia epocale in cui lo 'ndranghetista è un nemico e non una persona.

E questo determina un approccio assolutizzante per cui i problemi si risolvono con un’azione repressiva. Io non credo che sia questa la soluzione e non solo per ragioni etico-morali, ma proprio perché non credo che funzioni, anzi alimenta dei miti. Gli 'ndranghetisti sono più scarsi di quello che immaginiamo, non a caso la città è ridotta così, la 'ndrangheta è anche un fattore produttivo e, se è scarsa, gli esiti sono quelli che vediamo intorno, cioè mediocri. Non soltanto il mito non rende vera e reale la percezione di ciò che viviamo tutti ogni giorno, molte di queste persone le conoscevo prima, aldilà dell’arroganza supponente, si tratta di gente scarsa.

Credo che queste persone debbano essere recuperate, lo credo intanto perché lo dice la Costituzione. E questo significa intendere la mafia come problema sociale, inserirla in un contesto, percepire che la repressione non è tutto, che è solo una parte e non la più importante del sistema antimafia”.

Una visione ampia e strutturata quella del sostituto Musolino, sostenuta anche dal costante confronto extra territorio. “Temo di essere soffocato dal provincialismo della nostra città - continua a raccontarsi ai microfoni di Sentiti in diritto - e provo a tenere un dialogo con persone di fuori. Con un professore di Palermo commentavamo i fatti accaduti a Vibo, paragonati alla primavera siciliana, il moto di ribellione che c’è stato in Sicilia, in cui la società civile ha mostrato segni di crescita. Da un punto di vista etico-morale in città stiamo registrando questo, proviamo a fare un lavoro importante di credibilità dell’ufficio, stiamo ricevendo tante persone che ci raccontano storie”.

L’ufficio della Procura ci sta provando ad ascoltare il territorio, attraverso l’analisi del tessuto sociale e delle dinamiche che ne conseguono. Ma un ruolo imprescindibile è e rimane quello della società civile, di ciascun cittadino che deve mettersi in gioco e rischiare. Nessun rischio ha la garanzia della risposta positiva ma restituisce energia e movimento emotivo, il rischio dell’inerzia è, invece, la stagnazione.

“Perché ci sia veramente una rivoluzione, un rilancio autentico dell’economia, della cultura, della politica - stigmatizza Musolino - occorre mettersi in gioco. Siamo tutti addormentati su questi clichè della mafia come male assoluto, della repressione, che non c’è più niente da fare. La gente ha paura, sta chiusa dentro casa e non si impegna in niente perché tanto c’è la mafia. Ma così siamo già morti, abbiamo perso prima di iniziare. Io spero invece che qualcosa cambi, che le persone abbiano voglia di mettersi in gioco, di rischiare un pochino. Quello che non voglio è che passi il messaggio che sia pericoloso fare politica o impresa, è un alibi che faccio fatica a tollerare, perché abbiamo dato dimostrazione di capacità di comprensione dei fenomeni, cercando di capire le dinamiche, senza pregiudizi. Perciò spero che ci sia la voglia di fare passi avanti”.

Ed arriviamo, così, alla domanda chiave posta dalle professioniste Stilo e Faraone. Come può contribuire ciascuno di noi come cittadino al cambiamento rispetto ad un fenomeno sociale così radicato?
“Cominciando ad immaginare una città diversa. Credo che noi reggini non possiamo limitarci neanche al nostro dovere, perché la realtà in cui viviamo ci chiama a fare qualcosa di più, il nostro dover essere non può limitarsi ad essere mediocri, ad accettare un compromesso banale, dobbiamo immaginare di fare qualcosa di più, andare oltre anche quello che vediamo. Mi pare che l’immaginazione si sia annichilita, si sia addormentata la fantasia delle persone, perché forse ci raccontano, ci sentiamo raccontati come degli sfigati, gente persa e che non cambierà mai nulla. Dobbiamo ribellarci a questa etichettatura, altrimenti si vivacchia con mediocrità”.

E’ il messaggio visionario e al contempo concreto di Stefano Musolino che ogni reggino, ogni calabrese deve cogliere e interiorizzare; una visione, quella del pm reggino, che abbraccia con forza la spiritualità ignaziana e il suo essere membro della Comunità di Vita Cristiana guidata dai gesuiti. Una prospettiva che è una immagine a colori, come sottolinea l’avvocato Stilo, “perchè se anche la mafia evoca il grigio, basterebbe pensare a far fiorire ciascuno il proprio orticello, portare colore nelle realtà in cui viviamo, saper scindere il grigio dai colori”.

“Ci siamo immaginati una città a colori, - si avvia alla conclusione Musolino - per tanto tempo non ci siamo resi conto della povertà in cui vivevamo c’è stato un tempo in cui abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità, spendendo i soldi pubblici senza criterio ed oggi ne stiamo pagando le conseguenze. Perciò, immaginare una città a colori, nuova, diversa, passa necessariamente dal prenderci cura delle cose, anche delle piccole cose”.

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