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Lo Stretto necessario

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A cura di Roberta Pino

Centro

Casa Reghellin: una goccia nell’oceano che dà significato alla vita

Casa Padre Guido Reghellin nasce come approdo sicuro per le tante situazioni di povertà e violenza vissute dalle donne in emergenza abitativa

Chiudere gli occhi davanti alla sofferenza, per poi attuare un processo di apparente rimozione o farsi “contaminare”, quando si decide di assumersene, seppure in parte, il pesante fardello?

In entrambi i casi, il male ingiusto, la povertà, la violenza vissuti dalle persone che ci circondano, non lasciano indifferenti, ci interrogano, ci interpellano fortemente, scuotono le coscienze e ciò che fa la differenza è la nostra risposta. La risposta, appunto, a questioni che pesano come macigni, che sanno tanto di disumanità, ma ci sono e gravitano accanto alle nostre ordinarie esistenze.

Casa “P. Guido Reghellin” nasce proprio come reazione alle situazioni di sofferenza consumate in città, condizioni di povertà e violenza vissute dalle donne in emergenza abitativa. E due sono le donne fondatrici di questa esperienza unica nell’ambito territoriale, si tratta di Antonia Dora Restuccia e di Annamaria Abrami, rispettivamente presidente e vice presidente dell’associazione onlus Zedakà, che si sono lasciate interrogare dalla sofferenza circostante e che sono state indotte a rispondere, “in modo parziale”, affermano molto modestamente, alle esigenze di donne, non solo straniere, che non dispongono di un tetto.

Così il 27 ottobre 2015 nasce ufficialmente “Casa Reghellin”, inaugurata alla presenza dell’arcivescovo a seguito della costituzione dell’associazione Zedakà “termine ebraico che indica la carità come atto di giustizia, come condivisione di doni ricevuti con chi non ha avuto le stesse chances”.

Il primo dono condiviso è la casa, in senso fisico, offerta in comodato d’uso gratuito, situata nella zona di Pentimele ed arredata con donazioni di privati. Nove i posti letto a disposizione di donne indigenti e senza tetto, di qualunque paese ed in qualunque situazione familiare siano, anche con figli minori a carico.

“L’accoglienza si fonda sulla assoluta gratuità del servizio - racconta Annamaria Abrami - i proventi per le spese alimentari, mediche, assicurative, per le utenze provengono esclusivamente dall’autotassazione dei membri dell’associazione (formata da 11 membri) nonché dalle libere donazioni di privati”.

Padre Reghellin-2Una casa a tutti gli effetti, quella intitolata a Guido Reghellin, padre gesuita che ha guidato la Compagnia di Gesù a Reggio Calabria presso la storica chiesa degli Ottimati. Padre Reghellin ha vissuto nella città dello Stretto dal 1955 al 1966, nel ruolo di assistente spirituale del Pontificio Seminario “Pio XI”. Dopo un triennio trascorso in Abruzzo, nel 1971 ritorna a Reggio dove, tra i tanti servizi, è chiamato alla guida della Comunità di Vita Cristiana (CVX), dell’Unitalsi ed, infine, diventa Superiore della residenza dei Padri Gesuiti in via Mons. Ferro. “Padre Reghellin era solito accompagnare i ragazzi della CVX in visita al manicomio ed alla casa per i poveri della città - racconta Annamaria Abrami - per far loro conoscere queste realtà più estreme ed educarli ad avvicinarsi alle povertà più gravi”.

Un uomo coraggioso, vicino agli ultimi e la sua eredità non si è persa, grazie all’operato di donne come Annamaria Abrami e Antonia Dora Restuccia che hanno reso “Casa Reghellin” un luogo dell’anima, dove si respira il senso di famiglia e dove vige un mantra fondato sul principio ispiratore “ci sono malattie inguaribili, ma non incurabili”.

La cura è il fil rouge della casa, a partire dalla gestione pratica della quotidianità a quella extra, come, ad esempio, l’assistenza delle donne nei casi necessari di ospedalizzazione. E tanto, tanto altro ancora! E veniamo ai numeri. Nel corso di questo primo lustro di attività, sono state circa 80 le donne ospitate in casa Reghellin, con 23 bambini, provenienti da diversi paesi, Russia, Ucraina, Romania, Polonia, Bulgaria, Albania, Libia, Tunisia, Marocco, Francia, Brasile, Nigeria e naturalmente Italia.

Il periodo di permanenza delle ospiti è previsto per sei mesi, “ma talvolta si è derogato a questo termine - chiarisce la vice presidente - nel caso in cui non si è riusciti a trovare un inserimento dignitoso in società”. E già, perché la finalità principale di “Casa Reghellin” è rendere le donne ospitate il più possibile autonome, sia economicamente, sia soprattutto psicologicamente.

“Sono tutte persone cha hanno ferite profonde, che hanno subìto violenza, che non hanno nessuno, che vivono drammi di qualsiasi natura in famiglia”. Un balsamo per queste ferite, insomma “noi cerchiamo di prendercene cura, tentando di restituire loro la fiducia in se stesse e negli altri”. Ma in tempo di pandemia, come si è evoluta la gestione della casa?

La pandemia, si sa, non guarda in faccia nessuno, neanche la solidarietà. “Da marzo a giugno non abbiamo accolto nuove ospiti - spiega la co-fondatrice Abrami - nel caso fosse necessario, chiediamo di effettuare il tampone”. In assenza delle istituzioni, “Casa Reghellin” rappresenta una ennesima risorsa per la comunità reggina. Non ci sono medaglie o riconoscimenti che possano ripagare l’impegno profuso per alleviare le sofferenze altrui.

“A noi interessa condividere i doni che abbiamo ricevuto con chi è meno fortunato e non solo in senso economico - conclude Annamaria Abrami - certamente non riusciremo a risolvere tutti i problemi delle donne e della povertà, ma siamo una piccola goccia nell’oceano”. Solo una goccia nell’oceano, è vero “ma se non ci fosse quella goccia, all’oceano mancherebbe”. Madre Teresa di Calcutta docet!

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