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Lo Stretto necessario

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A cura di Roberta Pino

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Frammenti di realtà: laboratorio creativo a Spazio Open per trovare sintesi e unità

Pensato da tre donne esperte in narrazione, musicoterapia e psicologia, il laboratorio intende "ricucire" i frammenti dell’essere umano

Il potere della scrittura, della musica, della mente e dell’anima, forze differenti ma univoche, è stato il leit motiv del laboratorio “Frammenti di realtà”, svoltosi per tre incontri consecutivi in un’area dedicata alla cultura e all’incontro per eccellenza, Spazio Open di via dei Filippini.

Il laboratorio è stato pensato e coordinato dalla narratrice Ida Nucera, dalla già docente di musica e musicoterapista Francesca Sottilotta e dalla psicologa Francesca Mesiano per un’esigenza di mettere in pratica desideri, competenze e momenti di vita di tre donne che spendono il loro tempo, a vario titolo, per aumentare la consapevolezza di se stesse e degli altri.

“Avevo desiderio di mettere in atto una esperienza fatta in un master di counseling qualche anno fa - racconta Ida Nucera - e con le altre esperte ci siamo immerse in questa avventura dove scrittura, musica e psicologia potessero curare ciò che è frammentato dentro di noi. E’ stato un esperimento di soli tre incontri, uno diverso dall’altro. Ognuna di noi si è messa in gioco con grande rispetto e profondo ascolto”.

Scrittura, psicologia e musica insieme per guardare al nostro essere frammentati, alla ricerca di un'unicità perduta e/o ritrovata. Un’esperienza che consente di “uscire dal guscio”, dalla gabbia di costrizione che ha rappresentato la pandemia e da altre situazioni personali. Un punto di partenza per la creazione di questo laboratorio è stato anche l’approfondimento delle letture di Duccio Demetrio, filosofo dell’educazione e fondatore della Libera Università dell’Autobiografia.

Musica

Per approfondire l'aspetto della musica in termini di consapevolezza, la musicoterapista Sottilotta ha portato, a Spazio Open, diversi strumenti a percussione molto particolari. L’Ocean drum, ad esempio, ispirato ai suoni del Mar Mediterraneo, ricchi di inimitabili sfumature, il Kalimba, antichissimo strumento a percussione africano, formato da un numero variabile di lamelle metalliche.

Ed ancora le maracas, i tamburelli, il djembé. “Siamo qui per noi stesse, corpo, mente, spirito, anima - ha detto Francesca Sottilotta - il suono prescinde da noi, il suono viene prima della parola e questo muove tanto di più”. A seguito della vibrazione di questi strumenti, c’è chi ha ricevuto risonanze positive, chi, invece, ha avvertito un senso di angoscia. “Abbiamo sperimentato la magia delle mani che esplorano suoni, echi, parole, connessioni”, chiosa Ida Nucera.

Psicologia

Le lacrime come perle è il concetto spiegato da Francesca Mesiano. E cita una frase della scrittrice Storace Vivi come l’ostrica, quando entra dentro un granello di sabbia, una pietruzza che la ferisce, non si abbatte, ma giorno dopo giorno trasforma il suo dolore in una perla. “Le lacrime sono il canale attraverso il quale sviscerare il dolore, ogni tentativo di sopprimere rischia paradossalmente di prolungarle, Robert Frost affermava che “se vuoi venirne fuori devi passarci nel mezzo, toccandone il fondo per riemergere”.

Gli urti della vita, le ferite a cui spesso siamo sottoposti lacerano l’anima. Le lacerazioni a cui siamo sottoposti
influenzano i ricordi che immagazziniamo: i ricordi relativi alle esperienze dolorose non sembrano codificati dalla memoria “dichiarativa” o “esplicita”, di tipo biografico o cognitivo, che registra le esperienze rievocabili volontariamente, ma sembra smembrata e immagazzinata come stati emozionali e come senso- percezioni separate dalle altre esperienze percettive; per questa ragione i ricordi traumatici non vanno incontro a un’elaborazione e a un continuo rimaneggiamento come gli altri ricordi, sono spesso frammentari e pieni di lacune. La scrittura in questi casi rappresenta l'atto di “ricucitura”, come con ago e filo mettono insieme scampoli di stoffa smembrati, così con la scrittura i frammenti ritrovano l’unità”.

Scrittura

“Attraverso la scrittura, ho parlato della differenza che passa tra l’autenticità, la sincerità dello scrivere e l'aspetto liberatorio, catartico della scrittura stessa - riferisce Ida Nucera - partendo dall’assunto che la narrazione non è mai
confessione, non siamo costretti a dire la verità, che blocca in genere le personea partecipare ad eventi del genere, abbiamo lasciato la libertà di scrivere e di non rileggere ad alta voce niente di se stessi se non per volontà espressa.

Quando scriviamo dobbiamo essere consapevoli, sia che teniamo un diario, un’annotazione eccetera. L’importante è che lo facciamo. Nella battaglia fra la morte e l’amore, ha vinto l’amore alla fine - prosegue la narratrice - perché
anche se pensiamo di aver attraversato deserti, solitudini, abbandoni, se qualcosa si muove dentro, significa che ancora c’è amore e cura per noi stessi. Non è narcisismo, ma dare spazio ad un progetto più grande dove non ci sono solo io ma chi nella mia vita mi ha fatto del bene.

Il consiglio degli autori di scrittura autobiografica è di lasciare la pagina bianca. Io propendo più per quello che dice la terapia strategica breve, e cioè, di scrivere le cose più dolorose e poi di stracciarle, non devono andare a finire necessariamente dal terapeuta. Se si riesce a fare questo lavoro che è doloroso, quell’esperienza di dolore non ha più potere su di noi. Dei dolori ce li portiamo dentro per decenni, non riusciamo ad elaborarli, occorre fare un passaggio dalla scrittura terapeutica alla narrazione”.

Perché un laboratorio

“Laboratorio fa pensare all’artigianato che si fa con le mani - sottolinea Ida Nucera - strumento di qualcosa che connette il mondo interiore, ciò che si agita dentro con la mente e trova finalmente uno sbocco partendo dal dare un significato, un senso a delle esperienze che riguardano la memoria anche recente.

La prima cosa è stata la libertà e la seconda non era richiesta alcuna conoscenza specifica, non è stata un’esperienza performativa. Lì dovevamo essere liberi. Si sarebbe potuto chiamare Laboratorio dell’anima”, perché l’anima riesce a cantare quando la mente non la guarda - sottolinea ancora Nucera citando Paul Claudel - abbiamo avuto un feedback molto positivo, è stato bello incontrare persone desiderose di esprimere la propria memoria, realtà interiore attraverso la musica, la parola scritta. C’è tanto desiderio di uscire dal guscio e ritrovarsi in una realtà più leggera che non sia la solitudine, le ombre che a volte attraversano le nostre vite. E crediamo, con le altre esperte, di essere riuscite in questo intento”.

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