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A cura di Roberta Pino

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La facitrice: il potere della creazione nella poetica di Ilda Tripodi

Lo sguardo intenso sulla dimensione dell’anima alla ricerca della verità nell’ultima silloge della scrittrice e giornalista reggina

“Il poeta è colui che crea, che fa, che inventa, che compone”. Che la poesia abbia a che fare con la creazione e con la creatività è un dato di fatto visto il suo significato etimologico ed enciclopedico. Ed il senso della parola “poeta” è stato scelto da Ilda Tripodi come copertina della sua ultima raccolta di liriche dal titolo “La facitrice” Rubbettino editore, pubblicata lo scorso marzo e presentata, tra l’altro, anche nell’ambito degli incontri culturali della stagione estiva del Rhegium Julii, svoltosi nella consueta cornice del Circolo del tennis Polimeni.

Insegnante di Lettere, scrittrice, giornalista e poetessa, Ilda Tripodi è stata definita dal presidente Pino Bova “una nuova luce” nel campo della letteratura al femminile, al pari di Ermelinda Oliva, Alba Florio e Gilda Trisolini. Ospiti dell’evento, il poeta e scrittore Dante Maffia, designato al premio Nobel per la Letteratura e Marco Onofrio, noto saggista e critico letterario.

Tripodi La facitrice libro 03-2Ad introdurre la silloge “La facitrice” è Mafalda Pollidori, con la quale l’autrice condivide, da sempre, il percorso culturale e umano del Rhegium Julii. “Le poesie non vanno spiegate, vanno lette perché muovono sensazioni differenti in ciascuno di noi” è il commento di Pollidori ed, anche, il leit motiv dell’incontro stesso. “La facitrice” è la seconda pubblicazione di Ilda Tripodi dopo “L’anima gioca” (Città del Sole), “che riassume in sè ciò che idealmente vorremmo trovare in un libro di poesie - esordisce il critico Marco Onofrio - e mette la parola in dialogo con l’esistenza tra natura e cultura nella cornice universale della storia. Considero la poesia come la quintessenza della letteratura, ai poeti è demandato il valore della parola, la capacità di custodirne il senso”.

Per Onofrio, quattro sono le parole chiave che emergono dalla silloge di Ilda: coscienza, conoscenza, libertà e verità. “In questo quadrante - prosegue il critico - c’è una parola pulsante e miracolosa per certi versi, che è la grazia, la capacità, cioè, di aderire al mistero che si nasconde per scaturire nel miracolo della sua imprevedibile rivelazione. La grazia si manifesta al tempo giusto e l’arte del poeta è cogliere quel momento di rivelazione. La poesia, come l’amore - sottolinea ancora il critico citando l’autrice - è il luogo della verità che non tollera la violenza, è la capacità di rispettare il sacro che si rivela anche nelle cose più semplici, ed è quello che fa Ilda”.

E Marco Onofrio si sofferma sulla potenza della creazione della poesia, “i poeti diventano facitori, cioè terminali estremi e supremi della creazione cosmica, un pò allievi, un pò maestri. Più si approfondisce il mistero, più le parole sono inefficaci. Questo succede al poeta: vede qualcosa di enorme ma poi la parola è inefficace, è una forma che non aderisce completamente alla vita. La poesia, nell’ottica di Ilda Tripodi, è quel fenomeno che favorisce il transito agli assoluti, è un’eco che parte dalla vita reale e ci trascina all’origine profonda delle cose”.

Tripodi La facitrice libro 01-2“La poetica degli strati” di Ilda Tripodi contempla così versi profondi, archetipi pieni di nostalgia, il mistero, il vuoto, il sud “la dimensione dell’anima”, in essa si trovano figure come Antigone, Medusa, Odisseo “che tocca porto ma prende di continuo il largo” scrive Ilda, quindi il destino dell’uomo novecentesco, l’erranza, di non potersi mai fermare in modo definitivo, “perché la conoscenza è un circolo che va sempre avanti”, come sottolinea Onofrio che conclude “la speranza, la magia della parola poetica di Ilda è la potenza sorgiva che le consente di esplorare sia il dialogo con l’anima, la profondità, sia il dialogo con gli abissi, l’umanesimo che abbiamo perso ma che dobbiamo ricostruire anche attraverso la poesia”.

Sceso appositamente da Roma per presenziare all’incontro, Dante Maffia racconta del “seme della rinascita” avvertito leggendo “La facitrice” e lancia una riflessione: a che serve la poesia? “La poesia allarga la dimensione della nostra anima, ci fa entrare nella verità di qualcosa che ci appartiene da sempre, nella dimensione umana che deve darci la possibilità di sentirci uomini. Nel libro di Ilda ci accorgiamo che c’è un groviglio dentro al sua anima, c’è la rabbia di voler ridisegnare il senso della vita, perfino il senso dell’amore e della morte, c’è dentro di sé la volontà attraverso le parole, che sono carne e sangue”.

La poesia è l’insieme di un sentire, di un percepire lieve delle cose e di una diluizione della cultura che diventa pane quotidiano. Maffia ricorda una citazione di Borges tratta dal libro “Che cos’è la poesia?” e rilancia “se fosse soltanto citazione filosofica - spiega - perché dovremmo leggere il libro di poesie di Ilda?

La poesia va letta con calma. L’autrice vuole capire lei stessa a cosa serva la poesia, cosa c’è dietro la sua anima che si appiglia a quelle parole per dimostrarci che il suo groviglio interiore ha bisogno di qualcosa per districarsi, per trovare una via verso cui andare. C’è nel libro il dubbio costante di non farcela, di qualcosa di inespresso, di irrisolto. C’è anche, dal punto di vista musicale, un’astrazione che oscilla momenti di jazz e momenti di musica
sinfonica.

Una discordanza, in apparenza, invece l’ansia che la sorregge crea una sorta di unione perfetta in questa musica che possiamo dire “la musica di Ilda”. Dare una definizione ad un libro di poesia è come limitarlo - sottolinea ancora Dante Maffia- io lo chiamerei surrealismo mediterraneo in cui c’è un accavallarsi di immagini che improvvisamente diventano categoriche, precise, poi si dissolvono e tornano a dire qualcosa di straordinario. E’ una lirica pura che, attraverso le immagini, vuole comunicare grandi emozioni, grandi tematiche anche quelle di carattere civile”.

“So cos’è la poesia, so cosa voglio dire con la mia poesia ma non lo so spiegare - afferma Ilda Tripodi - voglio porre l’accento sul valore della parola, che oggi ha perso potere ma ha acquistato valore. Mi rifaccio a Maria Corti, che ebbi l’onore di recensire quando venne a Reggio Calabria. Lei ci metteva di fronte alla grande urgenza di far capire che la poesia non è un super linguaggio dei sentimenti ma piuttosto un sentimento che si fa intelligenza.

E’ solito pensare che chi fa poesia è un sentimentale, che si fa prendere dal vento emozionale, mentre il poeta è colui che osserva, colui che fa, che sta dentro la storia, in medias res e che la guarda compiendo quasi una scrutatio. Borges afferma la poesia sono tutte le cose, e la mia poesia è l’urlo delle cose, è il mettermi in ginocchio ad ascoltare questo urlo. Questa è la facitrice. Mi sono rifatta al mito greco, soprattutto al mito della caverna di Platone, volevo arrivare ad una semplificazione dei concetti e soprattutto alle grandi verità che muovono il mondo”.

E sempre ricordando Borges con la citazione tutte le cose nutrono l’anima del poeta, Ilda si avvia alla conclusione “la poesia è un genere letterario che consente al lettore di diventare co-autore dell’opera stessa, quindi c’è un rapporto empatico fortissimo, leggere una poesia è come compiere una risonanza per l’anima”.

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