Interno 51: l’avventura poetica di Eleonora Scrivo con la sua nuova silloge che rivela una nostalgia per il futuro
Pubblicata l’ultima raccolta della poeta Scrivo, tra ricordi del passato e l’esigenza di farne memoria, con uno sguardo scabro ed essenziale sulla nostra città
La poesia è un’opera fissa nel tempo, eppure così mobile da arrivare ovunque. E “Interno 51”, editore Controluna, ultima raccolta di Eleonora Scrivo, operatrice sociale con l’anima da poeta, “è una riflessione su una esperienza poetica ma con un movimento”. E’ la terza pubblicazione dopo la silloge “(R)umori sinistri: taccuino liquido di trambusti mancini dell’anima” ed i racconti “La cura provvisoria dei tratti fragili”, scritti con Tiziana Bianca Calabrò.
Un titolo evocativo che apre una stanza di ricordi con la nostalgia verso il futuro. 51, tuttavia, è l’età dell’autrice ed il numero delle composizioni contenute nella silloge, una pura casualità.
Genesi di Interno 51
“E’ un muoversi dal dentro verso il fuori, un’apertura del mio racconto nei confronti della collettività, maturata nel periodo successivo alla pandemia, che si sta sviluppando proprio adesso”. Eleonora parte da lì, dall’evento epocale che ha cambiato le vite di tutti, seppur a diversi livelli. Un periodo che è occasione di riflessione per la poeta Scrivo, un alert che la conduce a porsi delle domande.
“Come diceva Rilke, dobbiamo amare le nostre domande, non cercare le risposte. Io credo che una seria riflessione da parte di chi ha più responsabilità, di chi scrive, degli artisti, di chi fa una produzione creativa più o meno importante, non ci sia stata e quel momento sia un tabù. E’ come se avessimo vissuto la seconda guerra mondiale e non ne avessimo più parlato per un tempo enorme. C’è stato un grande cambiamento nelle relazioni e lo si nota più adesso che durante la pandemia stessa”.
Un’intera generazione di anziani falcidiata e quella dei giovani che ha patito di più. “Con gli anziani se ne va via una memoria, che nessuno racconta. Noi stiamo nel mezzo e cosa abbiamo imparato? Cosa dobbiamo fare? Da una parte per il ricordo, il contrario della rimozione, dall’altra per una spinta alla costruzione delle relazioni. Insistere su ripresa e resilienza senza ricordo e relazione, è una grande ipocrisia - sottolinea l’autrice - E chi lo deve fare se non quelle persone che hanno un occhio diverso per sensibilità, per talento artistico?
Eppure noto molta ritrosia e si rischia di cadere nella retorica. Me ne sono accorta quando ho messo insieme i testi. Per me il covid non è stato un trauma, non mi ha toccato né personalmente né familiarmente, mi ha intaccato dal punto di vista della sensibilità civile e sociale. Mentre scrivevo però mi sono accorta di un mondo cambiato in maniera incredibile, imprevedibile, ma se ne parla poco”.
La memoria e la nostalgia del futuro
Le poesie nascono in pandemia ed in post pandemia, e Interno 51 è passato da un respiro interiore ad un respiro di collettività, di relazione, che riguarda ad esempio il tema della “sororità” - afferma Eleonora - mi piace questa parola che si riferisce alla sorellanza ma richiama “sonorità”, la capacità delle donne di sostenersi, di mettersi insieme, un elemento molto presente nelle mie poesie, così come quello della memoria.
Un’urgenza di memoria, perché non possiamo fare altro per chi non c’è più se non raccontare. La religiosità della permanenza sta nel ricordo di chi non c’è più. E poi la parola è al futuro, non credo che chi scrive, chi viene definito un intellettuale abbia un compito di guida. Il compito è semplicemente quello di porsi delle domande. Allora, sia per una mia esperienza personale che per uno sguardo sul mondo giovanile, cosa stiamo facendo a questi giovani?
Ho nostalgia del futuro, non rimpiango il passato, ma il futuro. Combattiamo per delle cose che davamo per acquisite invece ci troviamo a combattere per le stesse cose. Io mi sento in colpa perché il progresso estremo che viviamo va di pari passo con il ripetersi di certi attacchi ai diritti di base, una erosione di qualsiasi sicurezza che può essere data ai giovani”.
Farsi soglia
“E’ un libro in cui parlo di cose intime, mi sono posta sulla soglia, dal racconto intimo del mio primo periodo di poesia sono passata a guardare intorno cosa era successo. Credo che la nostra funzione sia quella di farci soglia, di far passare le domande”. Composizioni che rivelano un carattere collettivo, di comunità, di cura. “C’è questa urgenza di collettività nelle mie poesie. Quando un libro viene pubblicato smette di essere nostro ed amo incontrare i lettori e le lettrici perché mi raccontano qualcosa del libro che non so nemmeno io. C’è chi ci trova la nostalgia, alcuni il senso del tempo e delle persone che si sono perse. Sicuramente è cambiato il mio sguardo, si è sollevato da me e si è rivolto all’esterno”.
La poeta Scrivo e il suo sguardo su Reggio Calabria
“Ho osservato la città. In particolare ci sono due poesie in cui si ritrovano tutti i personaggi della nostra infanzia, dai matti ai poeti a persone più conosciute. Stravaganti che hanno fatto parte del nostro immaginario giovanile. Mi sono resa conto che io non abito Reggio ma è Reggio che mi abita.
Questa città mi ha invasa per tutta una serie di motivi. Quando un luogo è talmente coinvolgente da abitarti, da entrare dentro di te non è una cosa positiva, non ho quell’amore conclamato, non ho quella retorica né dell’identità, che non esiste, né del senso di appartenenza. Reggio è molto stratificata, contraddittoria, è la città dello Stretto e del terremoto, è la città delle inquietudini sommerse, mi ha influenzata.
Reggio è una città potente ed esercita un potere sulle nostre vite di cui spesso non ci rendiamo conto. Ho rovesciato la prospettiva di quella debolezza, di quel vittimismo, perché io invece la vedo in tutta la sua potenza, senza un'accezione positiva, ma neutra, che esercita un potere invasivo. Il potere maggiore credo sia quello di far sembrare che tutto resti identico.
Mentre in realtà, sotto questa parvenza modifica molto la postura dell’umanità che la vive perché ha anche un ecosistema sociale e relazionale complesso, è capace di torpori estesissimi e generalizzati che coinvolgono tutti e poi di improvvisi ed imprevedibili sprazzi di vitalità. Contrariamente a quello che si dice, in questo momento c’è quello che viene definito un fermento culturale interessante. Ciò mi incuriosisce molto, mi mette in attesa, però nel libro ho anche trasferito l’estrema faticosità di essere abitati da questa città. E’ come se noi portassimo sempre uno zaino pesantissimo sulle spalle, quando stiamo qui. La poetica è questa”.
Ed ecco apparire nelle liriche di Scrivo, Maria Ciaciola, il poeta Balia, Caramella, ma anche Gilda Trisolini, Renato Nicolini, Emilio Argiroffi, “poeti dell’epoca, perché anche i nostri matti erano poeti, i simboli veri dell’umanità. Tre cose uniscono il popolo reggino, la Reggina, i Bronzi e Tony (Marino, ndr).
Tony è trasversale, è un genius loci, non c’è confronto con alcun personaggio di spessore. Mi ha incuriosito come queste figure, sia nel passato che adesso, siano state adottate dalla comunità. Reggio ha questa capacità inclusiva di certe diversità, è molto capace di assorbirle e le ho viste come nel passato, i simboli di qualcosa che poi in realtà non si è realizzata.
Nella visione di quella composizione, loro erano le latrici ed i latori di una rivoluzione mai realizzata, si sa che ci sono i pazzi, i poeti, i visionari, sono loro che fanno la rivoluzione. E parlando di loro ho immaginato di raccontare queste rivoluzioni. Rivoluzioni sospese, rimandate non saprei. E’ complicata ed anomala la storia di questa città che non si può ridurre ad un vittimismo di comodo, ma il problema grave è che Reggio è una città vecchia. Questa cosa ci fa preoccupare e mi incuriosisce al contempo, dove andremo? Chi scrive, chi interpreta attraverso l’arte la realtà è sempre un po’ proiettato ad una visione del futuro ad anticipare quello che può accadere”.
Terza produzione letteraria con una predilezione per la poesia
“Non c’è risposta, c’è una attitudine mentale a tradurre poeticamente una percezione, spesso ascolto un pezzetto di dialogo per strada, mi restano delle parole, una suggestione e poi si compone sotto forma di poesia. Credo che c’entri molto la musica.
Io sono molto stonata, non sono una grande fruitrice musicale però penso che c’entri il senso del ritmo che la composizione breve mi dà. Poi sono una consumatrice onnivora di narrativa, oltre che di poesia. La struttura del romanzo mi spaventa, richiede molto tempo, non lo si può fare nei ritagli, in maniera dilettantistica. La poesia, è qualcosa che ti dà movimento, come diceva la poeta Cavalli, senti che è riuscita se provoca un cambiamento”.
Prefazione di Anna Segre
“Ho conosciuto Anna Segre grazie ai social, poi l’abbiamo invitata al Cartoline Club, dove tornerà il 26 luglio per presentare insieme i nostri libri. Le ho chiesto di leggere le mie poesie, se la convincevano ed ha scritto una prefazione bellissima ed anticipatoria, ha annunciato delle cose che sarebbero avvenute da lì a poco.
Si è stabilita un'amicizia ed è una guida poetica, ha una facilità unita ad una precisione, ha il mestiere ma anche la prontezza e la prolificità. E’ un furetto geniale, lei cova poete e poeti più giovani, è molto curiosa delle realtà, ha voglia di fare performance scambiando, ed è la bellezza della poesia moderna che mescola questa tensione tipica della jam session, del lavoro insieme ed anche della teatralizzazione.
La poesia ha bisogno di strumenti altri, di musica, di teatro, dei social per uscire da una nicchia, che non c’entra nulla con la poeticità dell’agire. Penso che ci siano azioni, sguardi poetici che non si traducono per forza nella strofa, quindi si fa una distinzione inutile. Invece con la contaminazione, la poesia sta diventando un mezzo interessante e sta dando anche tanto spazio alla capacità di relazione. Non vedo il poeta solo, chiuso. Nel momento in cui scrivi, ti stai contaminando e devi accettare di contaminare gli altri”.