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Martedì, 23 Aprile 2024
Lo Stretto necessario

Lo Stretto necessario

A cura di Roberta Pino

"Opera": l’arte contemporanea che dialoga col paesaggio

L’esigenza di un nuovo sguardo sull’installazione di Tresoldi secondo la visione dello storico dell’arte Pasquale Faenza

L’arte sta alla contemplazione come la fede sta allo spirito. Sembrerebbe, al primo sguardo, che in questa proporzione non ci possa essere spazio per la ragione, in particolare per la definizione, che ha la funzione di delineare un concetto e di indicarne l’area d’azione, comunque di stabilirne un confine. L’arte, infatti, non si presta ad essere circoscritta, incasellata o meglio imprigionata all’interno di una qualsiasi definizione, perché, detto
semplicisticamente, è in grado di suscitare emozioni diverse in chi ne trae nutrimento.

Ebbene, questa premessa serve a introdurre un argomento che ha tenuto banco sulle pagine delle cronache locali per un lungo periodo. Voglio parlare delle colonne di Edoardo Tresoldi che, dal 12 settembre scorso, ingentiliscono il lungomare Falcomatà, nell’antica via dei Giunchi.

Tresoldi colonne 02-2Da allora “Opera”, così si chiama l’ultima creazione dello scultore e scenografo milanese, ha generato una serie infinita di critiche. “Colonne infami e inutili”, “l’opera vale i soldi spesi?”, “i fondi per le opere d’arte potevano essere destinati diversamente”, “non era il luogo adatto per l’installazione” sono solo una parte infinitesimale dei giudizi espressi a ridosso dell’inaugurazione.

“Nulla quaestio”, avrebbero detto i latini, ed ancora “de gustibus non est disputandum”. Perfetto, aggiungo io, ma etichettare un’opera d’arte, incastrarla dentro una definizione è un modo di volgarizzare e banalizzare tutto ciò che d’inafferrabile e sfuggente possa sorgere dalle mani e dalla mente dell’uomo. L’arte, credo, deve essere libera da vincoli e costrizioni.

Può essere intesa, quindi, come percezione criptica e non immediatamente intuitiva. Come libera espressione senza alcuna finalità, perché non si deve domandare mai se possa piacere agli altri! Detto questo, cerco di comprendere le critiche piovute addosso ad Opera, di capire perché una parte di reggini non abbia gioito di fronte ad un ulteriore segno di identificazione che ha contribuito a far assurgere la città dello Stretto alle cronache nazionali per una buona notizia, e non per un fatto di criminalità organizzata.

E’ prevalso il desiderio di un maggiore pragmatismo? Del tipo: “siamo sommersi dai rifiuti, non abbiamo l’acqua potabile a casa, le strade sono crateri a cielo aperto” e roba di questo genere. Potrebbe essere stata l’espressione palese di una opposizione “a prescindere” sull’operato dell’amministrazione attualmente in carico? Oppure devo dare ragione al poeta reggino per eccellenza, Nicola Giunta, le cui liriche dialettali sono l’emblema delle contraddizioni sociali che campeggiano in una collettività che vive tra incudine e martello, tra depressioni e disastri annunciati e speranze di sviluppo per un futuro migliore?

La saggezza popolare di Giunta è sempre attuale e i suoi versi rivelano una indignazione poetica che sollecita, senza dubbio, molti spunti di riflessione. Ma torniamo a Tresoldi e alla sua installazione. Voglio, questa volta, “scomodare” un esperto d’arte perché esprima la sua visione su Opera e sulle critiche piovute attorno ad essa.

Faenza Pasquale-2“Le voci dei reggini, amplificate dai social, non erano tutte consapevoli dell’opera d’arte nè della filosofia che c’è dietro questo scultore e scenografo italiano - esordisce Pasquale Faenza, (nella foto) - storico dell’arte e direttore del museo Rohlfs di Bova- la cui scultura nasce dal desiderio di raccontare il dialogo che si instaura tra l'architettura e lo spazio circostante.

A mio avviso le proteste erano dirette contro l’amministrazione comunale, a causa delle problematiche oggettive in cui versa la città. In quel momento, poi - prosegue Faenza - Reggio era in piena campagna elettorale. Sarebbe stato tutto diverso se Opera fosse stata inaugurata all’inizio del mandato Falcomatà, i reggini, magari si sarebbero concentrati unicamente sull’installazione”.

Quindi potrebbe essere che una poca consapevolezza delle caratteristiche dell’artista, legata al momento elettorale, abbia prodotto quelle critiche feroci. “Le opere di Tresoldi hanno un linguaggio che è sempre molto chiaro - spiega l’esperto - lui intreccia fili di maglia metallica trasformando un materiale comune industriale in un elemento artigianale. La sua tecnica è molto riconoscibile. Non è difficile leggerlo, per questo credo che si sia trattata di una protesta contro l’amministrazione comunale più che contro l’opera. L’artista è alla portata di tutti. La gente, in quel momento, ha detto no, volendo ribadire un no politico”.

Non solo critiche su l’installazione di Tresoldi, ma anche tanta ammirazione davanti alla bellezza di Opera. “Opera in sé incarna perfettamente la filosofia artistica di Tresoldi ed è integrata nel contesto del paesaggio. L’artista ha cercato di instaurare una interazione tra un'architettura immaginaria e lo spazio - spiega ancora Faenza - Opera è alla ricerca di un dialogo antropizzato della Reggio Calabria del terzo millennio.

L’installazione riassume, così, le contraddizioni e gli inganni della contemporaneità - prosegue Faenza - imita un colonnato antico ma è fatta con materiali moderni, simula un elemento strutturale solido ma l’aria lo attraversa. Opera è architettura finita ed infinita, compatta e allo stesso tempo leggera. Un fantasma del passato che riappare nel presente”.

Architettura effimera nella poetica di Tresoldi, che prescinde dall’identità magnogreca, “lui usa la colonna perché è un elemento strutturale architettonico che serve per creare dialogo con lo spazio, ma se guardando Opera io riconosco quella identità, vuol dire che quel concetto di effimero arriva a contemplare anche i miei desideri”.
E per ritornare alle critiche, ecco un suggerimento. “Avrei fatto un cantiere aperto- dichiara lo storico Faenza - con cui l’artista poteva spiegare l’opera passo dopo passo. Un esempio di arte per la collettività: diffondere quale fosse la sua concezione, per comprendere l’arte contemporanea, che non è accessibile a tutti. Questo avrebbe attutito il no lapidario e secco”.

Restituire dignità all’arte in qualsiasi forma essa si esprima, è il messaggio intenzionale di questo scritto. Ma qual è l’approccio giusto all’arte contemporanea? “L’approccio, oggi, deve essere educativo. L’arte contemporanea deve essere funzionale alla collettività, quanto più vicina ad essa - conclude Faenza - una sorta di fusione tra creatività artistica, libertà di pensiero ed elementi educativi rappresentati, in questo caso, dall’importanza del bello in una terra che è stata tanto martoriata. Ed Opera possiede tutti e tre gli elementi. Io credo che molti si ricrederanno nel tempo, rapiti dalle atmosfere che regala ogni giorno”.

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