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Venerdì, 29 Marzo 2024
Lo Stretto necessario

Lo Stretto necessario

A cura di Roberta Pino

Mi limitavo ad amare te: dalla lirica di Sarajlic al romanzo di Postorino

La giornalista Anna Mallamo ha presentato a Palazzo Alvaro l’ultima opera della scrittrice che narra il dramma degli orfani di Sarajevo

Di separazioni, di sradicamenti e di ricongiungimenti parla l’ultimo libro di Rosella Postorino, la scrittrice originaria di Reggio Calabria, cresciuta ad Imperia e, attualmente, romana di adozione. Il titolo è poetico “Mi limitavo ad amare te” Feltrinelli Editore, i cui protagonisti sono dei ragazzini che vivono a Sarajevo nel momento in cui divampa il conflitto armato che ha interessato la terra bosniaca negli anni ‘90.

Lo scenario richiama purtroppo immagini di oggi, città sventrate, macerie ovunque, mancanza di cibo ed acqua. E, all’interno della cornice storica, sono tre i bambini al centro del romanzo della bravissima autrice, già vincitrice del Premio Campiello nel 2018 con “Le assaggiatrici” che narra un aspetto della storia del nazismo totalmente inedito. In comune con la penultima opera di Postorino, vi è una accurata e documentata ricerca storica, frutto di mesi di studio dell’autrice di origine calabrese.

A presentare “Mi limitavo ad amare te” a Palazzo Alvaro, venerdì 24 febbraio (ad un anno esatto dall’invasione russa all’Ucraina), è stata la giornalista di Gazzetta del Sud, Anna Mallamo. Una combine al femminile di assoluta eccellenza culturale. Insieme, Rosella ed Anna, hanno sviluppato la trama del libro attraverso la loro chirurgica narrazione, consentendo ai presenti di entrare con potenza in quelle pagine che sanno di dolore e di bellezza.

La storia

“E’ la storia di Omar, di Nada e di Danilo ma anche dei loro fratelli e sorelle, dei loro compagni all’orfanotrofio di Sarajevo, compagni di viaggio verso l’Italia, dove vengono mandati per mettersi in salvo e dove si trovano ad affrontare lo spaesamento dei profughi, che è il modo per raccontare – come sempre fa Postorino, con una lingua esatta eppure infinitamente evocativa – lo spaesamento dell’umano, le trame roventi di amore e ripulsa, di cura e conflitto che ci tengono assieme” racconta la giornalista Mallamo.

Sono bambini che partono da una condizione svantaggiata, vivono in un orfanotrofio ma non tutti sono orfani. “Omar è il più piccolo, la madre lo ha lasciato lì, Nada è una bambina, pensate al nome - sottolinea - in spagnolo significa “niente”, nella sua lingua vuol dire “speranza”, due significati entrambi veri.

I personaggi di Rosella non sono mai il buono o il cattivo assoluto, c’è sempre un impasto di umanità di un bene che sembra banale, prima ci sostiene e poi ci fa cadere. Anche l’amore, a volte, ha totale mancanza di sincronia tra le persone che, tuttavia, in quel sincrono riescono ad incrociarsi, a salvare se stessi, il mondo. Sono orfani, sventurati in un conflitto che Postorino ha studiato, c’è un lavoro di documentazione che viene fuori dall’ossatura del romanzo”.

La genesi della storia

“Nel 2019 leggo un articolo che raccontava dei bambini di Sarajevo all’inizio dell’assedio che furono portati in Italia per salvarsi dalle bombe. La maggioranza stava in orfanotrofio anche se non erano tecnicamente orfani. Molti erano stati lasciati lì perché le madri non avevano le condizioni per crescerli o per varie altre ragioni.

Quando questi bambini sono stati portati in Italia, per tutto il periodo della guerra, ed anche dopo, non hanno saputo niente dei loro genitori. Sono cresciuti senza sapere se fossero vivi o no. Ed anche i genitori non hanno saputo più nulla di loro. Questi bambini si sono salvati la pelle ma hanno pagato un prezzo enorme, hanno perso tutto quello che era il loro mondo. Sono stati strappati dal luogo d’origine e, soprattutto, dalle loro madri” racconta ancora Postorino.

Un’attrazione particolare verso questa storia porta l’autrice a scrivere il romanzo e, come per “Le assaggiatrici”, cerca i protagonisti. “Sono miei coetanei, li ho trovati e sono riuscita a parlare con loro. Alcuni si sono rifugiati nel silenzio, altri sono stati felici che il loro dolore possa aver trovato una voce. Volevo capire cosa si prova nell’essere sradicati, è qualcosa, che in modo diverso, ho vissuto anch’io. Sono nata a Reggio ed ho cambiato varie città, so che esiste lo strappo. Tutti per nascere siamo strappati dal corpo di nostra madre.

La prima dimensione dell’esistenza è lo strappo e questa è la contraddizione: per vivere, per esistere al mondo noi dobbiamo strapparci da nostra madre. E’ un’esperienza universale. Parlare di questi ragazzi, per cui lo strappo è tragico, in un contesto di tragedia collettiva quale è la guerra, ha a che fare con la condizione umana”.

Di madri e di salvezza

Il libro richiama chiaramente il rapporto tra madri e figli. E Anna Mallamo pone delle profonde riflessioni sulla salvezza da una guerra che impone scelte drammatiche. “Il romanzo è un catalogo di madri e di figli diversi, di separazioni diverse. Omar si separa dalla madre ma si sente un escluso. Che salvezza è quella che non contempla i fragili? Abbiamo visto in questi mesi famiglie ucraine divise, madri con alcuni bambini. Ma qualcuno vuole salvarsi se le persone a loro care non sono al sicuro? Sono in grado di sostenere il peso di questa salvezza? Chi ci salva dalle madri? (una bellissima frase di Elsa Morante).

Il venire al mondo è un atto d’amore o di egoismo? E come gli altri libri di Rosella, c’è una cornice storica dentro un’enorme guerra, in questo caso quella bosniaca, ma in realtà sono studi sulla natura umana. L’autrice non ci espone tesi, non ci consegna soluzioni, lei ci racconta il divenire di queste situazioni umane, come se lei stessa si interrogasse su cosa succede quando si prendono questi corpi per salvarli. Le madri hanno un ruolo chiave nel romanzo e ci sono anche le suore dell'orfanotrofio, madri e non madri ed ancora le madri adottive, come quella di Omar, che si distingue per un amore per questo figlio non suo, ma non è detto che basti amare per essere madri”.

L’esistenza senza retorica

“A me interessa la contraddizione della condizione umana, dell’esistenza, di qualunque comportamento se analizzato senza retorica, con una tensione verso la verità - chiarisce Rosella Postorino - scrittore è uno che cerca di pensare in maniera onesta, come ha detto un premio Nobel bielorusso in un articolo. Uno scrittore che cerca di guardare le cose in maniera onesta è come se le guardasse per la prima volta, rinunciando alla retorica delle cose.

“La vita è un dono” è una frase retorica per me. Come fai a donare qualcosa a qualcuno che non c’è? E’ una contraddizione logica ed io sono nevroticamente logica. Per me è interessante raccontare l’esistenza, che tutti noi siamo sostanzialmente orfani. Nel libro di Emil Cioran “L’inconveniente di essere nati”, c’è questa retorica della vita come dono, della creazione come atto di amore, io non credo in questo.

Chi è credente pensa che esista un disegno, che tutti noi siamo il risultato di un progetto con una meta. Io sono agnostica, formata da filosofi esistenzialisti, non riesco a vedere nessun disegno nella vita. Vedo gli esseri umani come orfani, orfani di un Dio, se esiste, che dopo l’atto di creazione si è esiliato. L’atto di creazione non lo considero un atto d’amore, perché prevede comunque la morte. Nel momento in cui metto al mondo qualcuno, l’ho già condannato alla morte.

Voglio andare oltre la retorica di chi fa figli per altruismo o per egoismo, di solito si fa un figlio per coronare un atto d’amore che viene prima di fare un figlio. Allevare è l’amore, prendersi cura è l’amore anche per riparare che la vita è pericolosa, sempre. In ogni istante si può morire e non c’è soluzione a questo. Il dolore dell’essere umano viene dalla possibilità della perdita, noi soffriamo perché possiamo perdere le persone che amiamo. Questo mi ha interessato molto per il romanzo, la possibilità di salvarsi se non si salvano gli altri. Omar non vuole salvarsi.

Omar e Nada non vogliono andare via da Sarajevo. Anche adesso che sono adulti e che hanno fatto la loro vita in Italia, credono di essere stati strappati dalla loro terra. E’ incredibile pensare questo forte senso di identità più del senso della salvezza. Ma soprattutto perché se ne erano andati senza sapere che fine avevano fatto le madri.

Omar, nel primo capitolo, lo vediamo passeggiare con sua madre e ad un certo punto scoppia una granata e lui questa madre non la vede più, non sa se è viva o morta, e quindi non se ne vuole andare, a cosa serve salvarmi se non so più nulla di mia madre? Se mi salvo io da solo?”.

E c’è il senso di colpa del superstite di Omar e il percorso di riscatto di Danilo che non proviene dall’orfanotrofio, ha una famiglia e i suoi genitori lo mettono su un pullman perché arrivi a Spalato, per arrivare a Milano perché possa salvarsi dalle bombe ma non vuole separarsi da sua sorella che rimane a Sarajevo.

“Lui sa che questo viene fatto per il suo bene, ha gratitudine nei confronti dei suoi genitori ma è come se gli fosse rimasto un retropensiero che i suoi genitori si sono voluti separare da lui e non da sua sorella. Lui non sa cosa voglia dire la guerra, però sa cosa voglia dire essere uno sradicato, essere un rifugiato”.

E Rosella Postorino si sofferma molto su cosa significhi essere rifugiati, essere in un luogo sconosciuto, dove non si capisce la lingua, dove non poter esprimere la profondità delle proprie emozioni. “C’è una lacerazione dell’intimità dei rifugiati. Ciò che mi interessa è come la Storia irrompa nelle esistenze dei singoli individui e li fa deragliare, come modifica i loro sentimenti, la loro intimità. A me interessano quelli che non vanno nei libri di storia ma coloro che ne hanno fatto parte che siamo tutti noi. Ognuno ha la dignità di esistere per essere raccontati”.

Di lingua e di corpi

L’unico integrato sul piano linguistico è Danilo che è in una situazione socio economica diversa, proviene infatti da una famiglia di intellettuali, è abituato ad avere una gestione più razionale delle cose. “Lui prende subito possesso dell’italiano - racconta Anna Mallamo - e Nada pensa a questo come ad un tradimento, lo vede come un atto di sottomissione. Anche l’uso della lingua, come tutto il resto, contiene delle separazioni, delle lacerazioni. Il corpo è un altro elemento importante del libro.

I personaggi di Rosella sono tutti corpi, sono il primo confine con gli altri, con gli oggetti e spesso i gesti che uniscono i personaggi possono essere gesti di violenza o di amore. Mi colpisce un punto del romanzo come la violenza e l’amore abbiano gli stessi gesti” chiosa la giornalista.

“Ho immaginato cosa possa voler dire per dei bambini piccoli stare in un luogo da soli senza qualcuno che li protegga, dove non conoscono nessuno, tantomeno la lingua - spiega l’autrice- rispetto ai corpi, credo che sia impossibile parlare di esseri umani senza parlare di corpi. Io non credo all’anima perché non sono credente, credo nel corpo, nel cervello, nella scienza.

La guerra si fa sui corpi con i corpi. Nel romanzo ci sono anche dei brani che sono fuori dalla narrazione, scritti in corsivo, che riguardano la guerra dove ci sono delle voci che non sono i personaggi del romanzo. Una di queste voci parla di una ragazza che ha subito una violenza, le donne subiscono sempre violenza durante la guerra, e si chiede quale sia la differenza fra uno stupro e l’amore.

La differenza è l’intenzione con cui ti avvicini ad un corpo - sottolinea l’autrice - il gesto del fare l’amore e dello stupro è lo stesso, è l’intenzione nei confronti di quel corpo che è differente, se vuoi umiliarlo o valorizzarlo. Anche se sono agnostica, ho una formazione cattolica. Per diventare umano, Dio si fa corpo. Tutto il corpo è la condizione per parlare dell’umano, non si può parlare degli esseri umani senza parlare dei corpi.

Il tipo di narrazione che prediligo, sia nella scrittura che nella lettura, è la narrazione che racconta attraverso i soggetti, i comportamenti e anche le storie dei personaggi vengono raccontate attraverso i gesti ed i corpi”.

Significato del titolo

“Mi limitavo ad amare te” è un verso della poesia di Izet Sarajlic, un poeta bosniaco che rimase a Sarajevo durante la guerra. E questo verso è ricordato in un brano del libro “che richiama una delle scene d’amore più belle che abbia mai letto”, dice Anna Mallamo.

“Un libro il cui titolo è un omaggio ad un altro poeta, trovo che sia un atto di estrema generosità da parte di un autore, il titolo è il segno più forte di una narrazione. Rosella ha scelto il verso di un poeta, di un altro potente cercatore di bellezza”. E ricorda la scena del libro. Cosa facevi tu mentre accadeva la storia? Mi limitavo ad amare te e questa ultima parte del verso è pronunciata dal personaggio quando l’altro si è già allontanato. Una scena potentissima, perché manca il sincrono dell'amore, lui non l’ha detto a lei, l’ha detto al cielo o non si sa a chi. Il romanzo è pieno di bellezza e di queste asincronie”.

Di amore orizzontale

“Quando la Storia ci travolge, tutto quello che noi possiamo fare è limitarci ad amare - sottolinea ancora Postorino - per continuare a sopravvivere, ci si aggrappa alle relazioni. Ed è quello che fanno i personaggi di questo romanzo perché nel momento in cui loro rimangono soli, tre creature indifese scagliate verso l’ignoto, instaurano un legame fortissimo l’uno con l’altro. Quando si crea una specie di buco all’origine, dove non è possibile una protezione di tipo verticale, questi ragazzini si salvano da soli, non salvano il mondo, ma si salvano l’uno con l’altro, è una forma di protezione orizzontale fondata sull’amicizia e sulla fratellanza.

E secondo me è quello che accade agli esseri umani, scagliati verso l’ignoto e non c’è una protezione all’origine. Se Dio esiste o no, non abbiamo le prove, all’origine manca un tipo di protezione verticale, e l’unica cosa che gli esseri umani possono fare è riparare alla mancanza di senso all’origine dell’esistenza con la fratellanza degli esseri umani. E l'unico modo che noi abbiamo per riparare questo destino senza disegno, è riconoscere il dolore dell’altro così simile al nostro che vogliamo lenirlo. E questo accade in piccolo ai personaggi del mio romanzo”.

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