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Giovedì, 25 Aprile 2024
Lo Stretto necessario

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A cura di Roberta Pino

Pianeta terra tra guerra e pace: a Palazzo Alvaro azioni concrete per il territorio

In un incontro con due relatori d’eccezione, Maurizio Simoncelli e Carlo Cefaloni, illustrate le strategie di pace da mettere in atto per fermare la guerra

Quali azioni concrete possono essere attuate dalla società civile di fronte ad un pianeta in bilico tra guerra e pace?
Mettere in atto delle azioni in direzione della pace è possibile oltre che essere il dovere di una coscienza responsabile e l’incontro che si è tenuto nella sala Perri della Città metropolitana, giovedì scorso, l’ha dimostrato ampiamente.

L’iniziativa, voluta dal laboratorio politico Patto Civico con il patrocinio della Metrocity di Reggio Calabria è stata coordinata da Maria Laura Tortorella che ha esordito ricordando Mahsa Amini, la studentessa vittima della repressione iraniana e tutti coloro che lottano per i diritti senza mai arrendersi.

Due i relatori d’eccezione, Maurizio Simoncelli, cofondatore e vicepresidente dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, storico ed esperto di geopolitica, che ha realizzato numerose ricerche sull'industria militare e sui conflitti, membro del Centro interuniversitario di studi e ricerche storico–militari e Carlo Cefaloni, giornalista e redattore del periodico Città Nuova, che partecipa a diverse reti sociali attive su politiche di pace, ambiente, lavoro e legalità, promuovendo da anni il percorso Economia Disarmata.

Dopo i saluti di Carmelo Versace, sindaco metropolitano facente funzioni, Maurizio Simoncelli ha illustrato lo scenario dei conflitti armati nel XXI secolo: cause, dimensioni e corresponsabilità.

Incontro pace guerra slide 01

"La guerra in Ucraina non era inaspettata. Noi già con l’Istituto di ricerca, nel 2009, abbiamo pubblicato il libro “Terra di conquista. Ambiente e risorse tra conflitti e alleanze”, sulla geopolitica delle risorse per mettere a fuoco il rapporto fra Occidente e Russia, in cui abbiamo messo in evidenza il problema della Georgia e dell’Ucraina.

Annunciato già nel 2009, purtroppo non ha avuto molto riscontro nell’attenzione dei decisori politici. Le guerre non giungono improvvise, ma per motivi ben precisi - sottolinea Simoncelli - interesse, controllo sui territori, ricchezze. La guerra in Ucraina è l’ultima di tante guerre.

Secondo i dati a nostra disposizione, nel 2021 erano in corso oltre 70 conflitti armati in tutto il mondo. Quando Papa Francesco parla di “terza guerra mondiale a pezzi” non sbaglia. C’è un mondo in guerra, dove vanno a finire tante armi vendute da una decina di paesi che detengono il 92% del mercato mondiale. Sono paesi industrializzati, dagli Usa alla Russia, passando per la Cina, Francia e Germania ma anche l’Italia è all’interno dei primi dieci esportatori.

Armi che vanno a rifornire non solo gli eserciti regolari, a volte anche formazioni irregolari, spesso finiscono in mano alla delinquenza organizzata e così via. La guerra attuale è ancora più preoccupante perché la parte russa parla di uso di arma nucleare tattica, o di teatro, che vuol dire primo combattimento su scala limitata da questo teatro europeo.

Poi c’è la guerra nucleare globale che coinvolge tutto il mondo, la guerra nucleare di teatro vuol dire che coinvolge l’Europa, siamo pienamente addentro questa minaccia e bisogna puntare ad arrivare ad un accordo, ad una pace, ad un armistizio tra le due parti, per arrivare a delle trattative.

Pochi mesi fa - ricorda Simoncelli - è stato pubblicato un appello, una road map a firma di una cinquantina di diplomatici italiani in pensione, che proponevano un piano per la sospensione dei combattimenti, con l’avvio di referendum sull’indipendenza dei territori sotto il controllo delle autorità internazionali. Osservando la situazione attuale però, non sembra che abbia avuto buon esito. Si continua, invece, a parlare di inviare armi, come se questo potesse risolvere il problema”.

Qual è l’errore di fondo? “Immaginare che l'Ucraina possa sconfiggere militarmente e completamente la Russia, è, a mio avviso, un errore, un calcolo pericoloso. Lo stesso Kissinger, che non è un pacifista, ha detto che bisogna puntare a tutt’altra prospettiva”.

Cosa non ha funzionato nei negoziati di pace? “Fin dall’inizio si è parlato dell’Ucraina come paese che deve entrare nella Nato, un errore clamoroso. Chi si occupa di politica internazionale sa che esistono gli stati cuscinetto per questo, l’Ucraina è al confine diretto con la Russia. Piazzare un paese importante di cerniera tra l’Est e l’Ovest, in cui l’industria bellica non è secondaria, è un errore. Non dimentichiamo che l’industria bellica ucraina, anni fa, era la principale esportatrice di armi in Africa, era grande rifornitrice di pezzi di ricambio di armamenti alla Russia. Immaginare che questo paese vada ad allargare la Nato, come sostenuto da vari esponenti politici europei, tra cui Stoltenberg, segretario generale Nato, accentua ancora di più il senso di accerchiamento che il Cremlino ha da anni, perché la Nato si è progressivamente allargata ai confini della Russia. I russi lo vivono come un allargamento minaccioso, e bisogna tenerne conto”.

Incontro pace guerra slide 02

Qual è lo scenario che vivremo a breve?

“Oggi è decisamente preoccupante. La via da percorrere è spingere per arrivare ad un negoziato, da rafforzare in sede internazionale. Abbiamo visto che le Nazioni Unite sono state progressivamente emarginate nel corso di questi ultimi decenni ed oggi ne raccogliamo i risultati. Tra i rischi più grandi vi è l’aumento delle spese militari che hanno un’incidenza sulla crisi climatica. Le Nazioni Unite hanno intimato che fra un paio di decenni, ci saranno alcuni miliardi di persone che non avranno accesso all’acqua potabile. Stiamo lasciando un mondo minacciato dai cambiamenti climatici”, chiosa l'esperto in geopolitica.

E Simoncelli entra nel dettaglio con alcune slides. “Dai dati prodotti da un istituto di ricerche di Stoccolma, emerge che a fine guerra fredda si spendevano nel mondo circa 1500 miliardi per spese militari, per poi scendere negli anni ‘90, con la caduta del muro di Berlino, per poi risalire nuovamente nel 1998, tre anni prima del crollo delle torri gemelle. Da quel punto in poi non si sono più fermate.

L’aumento delle spese militari è indipendente dalla guerra in Ucraina - sottolinea ancora Simoncelli - siamo arrivati nel 2021 con oltre 2 mila e sette miliardi. Interessante poi capire quali siano i paesi più spendaccioni. Al primo posto gli Usa, seguiti dalla Cina, l’Unione Europea è al 3° posto, poi India e Russia.

Adesso ciò che preoccupa è la minaccia nucleare da parte della Russia. Circa 13 mila testate nucleari sono in mano a nove paesi, pronti all’uso e cioè Russia, Usa, Cina, Francia, United Kingdom, Pakistan, India, Israele, Corea del Nord”.

Noi cosa possiamo fare? “Come europei spendiamo i soldi nel peggior modo possibile - afferma l’esperto - abbiamo la legge 185 del 1990 che vieta l’esportazione di armi in paesi con dittature; è stata approvata la legge che vieta la produzione e il commercio di mine antiuomo”. E Simoncelli conclude ricordando anche l’azione dei portuali di Genova che si rifiutano di caricare le armi sulle navi che vanno in Arabia Saudita per la guerra nello Yemen.

Al loro fianco solo il Papa e i movimenti pacifisti. “I portuali si sono presi una denuncia per interruzione di servizi pubblici. La società civile può fare tantissimo, con internet possiamo prendere tante iniziative, per far sentire la nostra voce perché gran parte della classe politica resta sorda e cieca”. E’ il momento poi del giornalista Carlo Cefaloni che illustra il suo intervento attraverso immagini molto significative.

Incontro pace guerra iniziative

Lei è promotore da anni del percorso Economia Disarmata, di cosa si tratta? “E’ una realtà del movimento dei focolari promossa a partire dal 2014 per poter declinare le scelte di pace in scelte di carattere industriale, economico. Vuol dire prendere di mira quelle che sono le misure da parte della politica del nostro paese, produzione e esportazione di armamenti. In Italia c’è la legge 185 del ‘90 che applica l’articolo 11 della Costituzione ponendo il divieto di esportare armi nei paesi in guerra e che dovrebbe finanziare anche i processi di riconversione.

E’ una legge importante promossa dagli obiettori di coscienza, persone che hanno fatto applicare la Costituzione a partire dalla loro vita, ed anche grazie ad una rete di missionari a livello mondiale che hanno fatto vedere gli effetti di quelle armi che venivano prodotte. Non dimentichiamo che l’Italia ha prodotto bombe anti mine e antiuomo che sono state esportate nel mondo ed ha compiuto scelte strutturali, almeno da un ventennio, di conversione dal civile al militare, soprattutto in aziende controllate dallo Stato, come Finmeccanica, adesso Leonardo e Fincantieri ed aziende ad esso collegate.

E’ stata una scelta recessiva, ha eliminato settori di avanguardia nel campo tecnologico, occupazionale ed è stata invece effettuata una scelta con interessi dal punto di vista geopolitico”.

Perché l’articolo 11 della Costituzione non rimanga solo sulla carta ma diventi un criterio di azione e di conoscenza, cosa bisogna fare? “Grazie alla mobilitazione dei portuali di Genova, alla proposta di una economia alternativa, è stata fondata una rete di imprese chiamate WarFree, che ha fatto una scelta alternativa, siamo riusciti a far sospendere l’invio delle bombe in Arabia Saudita, un evento epocale da parte della società civile. Si tratta di un’organizzazione delle imprese sul territorio in Sardegna che ha promosso un'economia che pone come centralità la promozione della pace e della giustizia”.

L’obiettivo dell’incontro di oggi? “Serve a non osservare le cose da spettatori, a non rimanere inerti e dire che non si possa incidere sulla realtà, ma prendere coscienza delle scelte che compie il nostro paese. In questo momento sta diventando un punto di non ritorno, perché invece di sostenere una politica europea capace di fare la mediazione e il negoziato, fermando il disastro, stiamo entrando in una dinamica in cui l’unico esito previsto e minacciato è quello della guerra nucleare. 

Sembra una cosa così atroce che non se ne vuole parlare, invece capire che o si vive sul crinale apocalittico della storia (cit. Giorgio La Pira) oppure se ne rimane vittime. Per l’Italia vuol dire aderire al Trattato per la proibizione delle armi nucleari del 2017, dove l’Italia, per la sua obbedienza all’alleanza militare a cui appartiene, non ha voluto aderire. Però è entrato in vigore nonostante tutto, perché è stata la voce dei popoli che si è ribellata alla logica delle armi nucleari, del terrore che viene veicolata e presentata come se fosse una sicurezza.

Non c’è sicurezza nelle armi nucleari, ormai sono fuori controllo, ce lo dice anche l’ultima rilevazione della federazione degli scienziati americani, l’orologio dell’apocalisse, siamo a 90 secondi dalla mezzanotte nucleare. Quindi o si prende coscienza per una azione di consapevolezza che nasce concretamente a partire dal nostro paese, dalla realtà o altrimenti dobbiamo accettare l’ineluttabile. Questa carenza di visione, di responsabilità ci fa essere partecipi di una visione, quella dell’idolo della bomba come se fosse la nostra certezza” sottolinea Cefaloni.

Una realtà per cui la chiesa italiana ha preso una posizione esplicita. “Abbiamo oltre quaranta associazioni che hanno fatto una scelta di questo genere, un appello che rilancia la campagna Italia, ripensaci, la rete italiana Pace e Disarmo, Senzatomica, per lo stop alle armi nucleari, l’abbiamo rilanciata, in modo particolare, durante la marcia della pace promossa dalla chiesa l’ultimo dell’anno e la stiamo riproponendo anche a livello politico per farne una base di dibattito politico serio, vero che non sia semplicemente una presa di posizione retorica.

Prendere una posizione esplicita che sia centrale nel dibattito pubblico e politico - è l’appello del giornalista Cefaloni - e la società civile deve avere un ruolo altrimenti si è inerti e sottomessi alle logiche della guerra. O la nostra scelta per la pace passa attraverso la capacità di incidere sulle cose per cambiarle o altrimenti non serve a nulla, è pura retorica, non serve a niente la marcia”.

E Cefaloni cita Federico Caffè, il grande economista scomparso nel nulla, punto di riferimento di un’economia che mette al centro la persona e Federico Rampini, giornalista de la Repubblica, secondo il quale investire sulle armi è giusto se vogliamo avere un ruolo internazionale. “Aver dirottato una parte importante degli investimenti a favore delle armi, il risultato è quello che è successo ad Ischia, non abbiamo investito in quello che serviva” chiosa Cefaloni.

Incontro pace guerra poesia

Un tema forte e divisivo, una frattura che impone una domanda, che significa starci dentro come uomini e donne di pace? Una poesia intitolata “Operaio in una fabbrica d’armi”, scritta nel 1957 da un autore polacco con lo pseudonimo Andrzej Jawin, il futuro papa Giovanni Paolo II ci fornisce la strada da percorrere:

Non influisco sul destino del globo,
non son io che incomincio le guerre.
Sono con te o contro di te - non lo so.
Non pecco.
E proprio questo mi tormenta:
che non influisco, non pecco.
Tornisco minuscole viti
e preparo frammenti di devastazione,
e non abbraccio l’insieme,
non abbraccio il destino dell’uomo.
Io potrei creare un altro insieme,
altro destino (ma come farlo senza frammenti)
di cui io stesso, come ogni altro uomo,
sarei la causa integra e sacra
che nessuno distrugge con le azioni,
né inganna con le parole.
Il mondo che io creo non è buono
eppure non sono io che lo rendo malvagio!
Ma questo basta?

Incontro pace guerra 02

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