Nel dimensionamento hanno perso tutte le scuole, anche quelle salve
A Reggio Calabria una settimana di passione e proteste, per una causa divisiva e che istituzioni non hanno saputo o voluto sostenere
A Reggio Calabria questa è stata una settimana di passione per studenti e insegnanti. Una Via Crucis di proteste, cortei, raduni in piazza con striscioni dove con l’immediatezza della loro età hanno scritto a grandi lettere colorate un appello corale a non far morire le loro scuole. Come richiesto dal cronoprogramma, oggi la Regione riceverà gli ultimi piani di dimensionamento di province e città metropolitana, e dopo giorni in cui le famiglie hanno combattuto contro i mulini a vento ma con lo stesso incrollabile idealismo del sognatore Don Chisciotte, 17 autonomie del territorio reggino sono state soppresse, nel novero delle 79 tagliate in Calabria.
I numeri imposti dall'alto, a cui nessun ente si è ribellato
Un numero enorme, scioccante per una terra dove le scuole sono linfa vitale e in molte aree rappresentano l’ultimo baluardo prima del deserto non solo educativo ma letteralmente fisico; e in molte altre la loro esistenza è presidio di legalità contro la totale resa al controllo criminale. Quel numero ci è stato imposto dall’alto ma la nostra Regione, a differenza di altre, non si è mai opposta e lo ha accettato con burocratica diligenza, anzi facendosi scudo dell’ordine governativo per respingere ogni addebito. Ed è solo per ribadire questo ("non lo abbiamo deciso noi, siamo tenuti ad applicare la legge statale") che la vicepresidente della giunta con delega all’istruzione Giusi Princi, mentre un po’ ovunque infuriava la mobilitazione e le scuole erano gettate nel tritacarne dello scontro politico, è di rado apparsa attraverso dichiarazioni rigorosamente via comunicati stampa, non avendo mai voluto parlare del dimensionamento con i giornalisti che le hanno chiesto interviste. A lei, ottima dirigente di un prestigioso liceo di Reggio, si è rivolto anche lo scrittore Gioacchino Criaco invitandola a “scrollarsi di dosso il mantello che la rende irriconoscibile da ciò che era” e indirizzandole le proposte di un altro romanziere calabrese, Francesco Pileggi, che ha immaginato una scuola come quella del 'Compito in classe' di Jacques Prevert: lezioni nei luoghi di speranza e in quelli di martirio, gemellaggio tra studenti della costa e dei centri montani, apprendimento degli antichi mestieri. La penna che ridiventa uccello, i banchi che ritornano alberi del poeta francese: libertà e fantasia contro un esercizio di matematica fredda, insenziente.
Princi conosce le scuole ben prima dell’incarico istituzionale, dall’interno. Eppure in questi giorni animosi e disperati non ha avuto parole per l’onda di ragazzi scesi in piazza perché a loro non importa che i plessi scolastici rimangano dove sono – no, loro vogliono le loro scuole, ne difendono il nome e l’identità. I genitori vogliono ritrovare nel prossimo anno scolastico quello che hanno scelto per l’istruzione dei figli, che non ha a che fare con la quotidianità del comodo tragitto da casa a scuola e le rassicurazioni che nei fatti non cambierà nulla. Anche perché non è vero, e dobbiamo dirlo con forza.
Una scuola senza autonomia perde anima e identità
Una scuola senza autonomia non perde soltanto la dirigenza - come dal ministro alle province tutti si stanno affannando a dirci. Perde la sua anima, ciò che è e non esisterà più. Se dovessimo usare una logica economica di investimento e rendimento, dovremmo ammettere che molti piccoli istituti (e non solo quelli, ammettiamolo) in Calabria non funzionano bene. E il calo demografico che li sta spopolando è una verità che non si può nascondere. Dovrebbe essere questo il problema vero a cui trovare una soluzione. Invece il governo parla di riduzione della spesa. Risparmia sulle scuole e sulla sanità, ben sapendo così di condannare il Sud.
Se le scuole in Calabria non funzionano non è colpa di quei dirigenti oggi umiliati perché - come si è sentito da qualche ente che voleva scacciare via come una mosca dal naso l’ennesima protesta - non sono stati capaci di fare 'risultato', di attrarre iscrizioni. Di chi è la colpa lo sanno tutti. Nelle nostre scuole ogni giorno una finestra rischia di uscire dai cardini e finire addosso a un allievo; i ragazzi devono portarsi da casa ventilatori per sopportare aule-sauna o imbacuccarsi con piumini, sciarpe e cappelli nei plessi di montagna; le lim si elargiscono col contagocce e le famiglie degli istituti comprensivi fanno collette per dotare le classi di materiale didattico e persino alcol e carta igienica. La provincia di Reggio ha il record del minor numero di palestre per gli studenti e un’edilizia scolastica vetusta mai accatastata e di cui si può scoprire all’improvviso che, in caso di terremoto, le mura potrebbero crollare su chi fino a poco prima lì dentro ha trascorso ore abituali. E’ successo un anno fa in un altro luogo che dovrebbe essere sicuro, un ospedale: a Scilla la nascitura casa della salute è stata evacuata con urgenza dall’oggi al domani, perché pericolosa per chi aveva sempre lavorato in quell’edificio con gravissime carenze strutturali. In compenso, nelle scuole abbiamo ancora grandi stock di sedie girevoli anti-Covid arrivate fuori tempo massimo.
La settimana di passione a Reggio senza vincitori ma solo vinti
In attesa del sigillo definitivo della Regione, nei territori provinciali oggi c’è qualcuno che ha avuto una sentenza spietata e altri che restano a guardare sulla sponda dell’autonomia, salvi. E' una riforma divisiva, come se il resto non bastasse. Ma in questo dimensionamento non ci sono vincitori, ma soltanto vinti. Tutti hanno perso e nessuno è davvero certo del futuro. A Reggio si è creato un accorpamento mostruoso tra una scuola sotto la soglia numerica e una che aveva una popolazione ritenuta inattaccabile: dal prossimo anno diventeranno un’istruzione con oltre venti plessi e geograficamente srotolata per lunghissimi chilometri, dalla città all’area pedemontana, affidata a un’unica dirigenza che dovrà garantire l’offerta formativa di utenze molto distanti territorialmente e per aspetti sociali.
Soprattutto, in questo dimensionamento perde l'istituzione scuola nella sua missione di educazione e formazione. Chiediamolo a insegnanti e dirigenti, che da almeno un decennio sono costretti ad andare a caccia di allievi come necessaria strategia di sopravvivenza. Sono cose che non si possono dire, non ufficialmente. Ma si fanno. La razionalizzazione della rete scolastica non è iniziata con il governo Meloni, è già in atto da molto tempo. E si è trasformata in una contesa tra gli istituti per l’iscrizione in più, quella che per alcuni farà la differenza e per altri consoliderà un regno aziendale a prova di tagli (bisogna accumulare, eccedere, per mettersi al riparo da problemi futuri). Facciamoci raccontare di quei docenti a cui la funzione dell’orientamento è affidata come a imbonitori che devono vendere la propria scuola e si comportano davvero da commercianti: con la persuasione di allievi che ben sanno non essere adatti a quell’indirizzo di studi; magnificando laboratori e attrezzature all’avanguardia che poi molti ragazzi scopriranno esistere solo sulla carta, dietro porte chiuse a chiave e non utilizzabili; persino facendo quadrare il conto giocando il jolly degli allievi con disabilità. Servono i numeri e sono più importanti del ptof - che fa parte nel piano di dimensionamento ma è derubricato ad appendice perché senza numeri si muore e finisce tutto lì. Facciamoci caso: in queste settimane di fibrillazione dell’offerta formativa si è parlato pochissimo, dandole appena il rilievo secondario di una voce che dev’essere inserita nei piani, un semplice allegato.
I tagli al Sud e l'inerzia delle amministrazioni e forse anche dei calabresi
A Reggio, dove siamo allo stadio surreale dell’accorpamento di istituti già accorpati, le autonomie soppresse annunciano una stagione di ricorsi, ma non sappiamo se sarà davvero così o ci si arrenderà a un declino inarrestabile. Incontrando il ministro Valditara in visita nella città dello Stretto e i suoi territori di 'confine', nessun dirigente gli ha chiesto conto dello stato della scuola calabrese. Il Sud senza scuole e ospedali, una condanna a morte che senza la reazione delle amministrazioni può essere evitata solo dalla protesta del popolo. Ma in Calabria abbiamo scrittori e artisti apprezzati ovunque tranne che qui, eppure l’unico idolo da migliaia di clic è un concorrente del Grande Fratello – simpatico per carità, balla pure la “tarantella”. Forse pensiamo che quelle scuole in trincea tra sedie rotte e docenti che la testa se la rompono per togliere un ragazzo dalla strada non sia davvero necessaria, e ai nostri figli, abbassando la testa davanti a questo ennesimo scippo, che in fondo possono farne a meno.