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Venerdì, 19 Aprile 2024

Il dibattito

Isabella Marchiolo

Giornalista

Verga non si tocca, ma a scuola dovremmo leggere anche Alvaro e Repaci

La polemica innescata dalle parole di Susanna Tamaro può riaprire il dibattito sugli autori calabresi sconosciuti ai giovani di questa regione

Secondo la scrittrice Susanna Tamaro i romanzi di Giovanni Verga sono “brutti” e troppo difficili da leggere per gli studenti delle scuole. Le parole tutt’altro che provocatorie e anzi convintissime della scrittrice al Salone del libro di Torino (con colpo di coda ammiccante alla possibilità di proporre tra i testi scolastici il tuo “Va’ dove ti porta il cuore”) toccano un nervo scoperto che ha pure qualcosa a che fare con la Calabria. Verga è uno degli autori italiani fondamentali, un gigante del Novecento e nel contempo un simbolo della letteratura siciliana, che nell’isola è considerato intoccabile.

A quelle latitudini nessuno oserebbe immaginare di non leggere nelle scuole i Malavoglia, Mastro don Gesualdo o la novella di Rosso Malpelo, anche se davvero qualcuno con potere decisionale una mattina si svegliasse con l’idea di eliminare dai programmi di italiano alcuni classici bollati come vecchiume. In Sicilia, piuttosto, scoppierebbe la rivoluzione.

Attraversando lo Stretto le cose – e gli animi – cambiano: che si tratti di dissenso al ponte o difesa del proprio patrimonio culturale, qui la ribellione è smorzata, forse resa molle dal languore di quell’afa assolata che l’artista Mimmo Rotella individuava nell’ora canicolare delle lucertole. Un’ignavia tutta calabra, in una terra che non ha mai rivendicato la sua antichissima tradizione letteraria già apparsa con Cassiodoro di Squillace, ha ceduto ai salernitani la dibattuta origine di Pomponio Leto e non è cosciente del posto onorifico che alcuni scrittori oriundi meriterebbero a titolo pieno nei programmi scolastici.

Alvaro e gli altri grandi calabresi a scuola, una proposta di legge mai applicata

Un nome su tutti è quello di Corrado Alvaro, che nella sua opera racchiude il racconto di un genius loci aspromontano selvatico e duro, e lo sguardo aperto dell’intellettuale europeo. Per valorizzare gli scrittori calabresi e soprattutto farli conoscere agli studenti della regione (che spesso non li hanno mai sentiti nominare) qualche anno fa la scrittrice Giusy Staropoli Calafati aveva portato avanti una battaglia culturale per chiedere a Ministero e Regione Calabria l’adozione dei loro testi nelle scuole. Alvaro ma anche Saverio Strati, il romanziere di Sant’Agata del Bianco riscoperto negli ultimi anni della sua vita e poi postumo, e poi Mario La Cava e Leonida Repaci.

Da parte dell’ente regionale c’era stato accoglimento di quella proposta, ma nei fatti questi autori continuano ad essere fantasmi tra la cattedra e i banchi. Spesso sotterraneamente invisi agli stessi docenti: non pochi insegnanti, a mezza voce, hanno ammesso che il suggerimento di Susanna Tamaro è fondato su un’amara verità, cioè lo scarso appeal di alcuni classici tra i giovani. Detto in modo crudo, non sanno più come presentarli, farli leggere, farli amare - e hanno perso la voglia di insistere. E per la letteratura meridionale, ammantata di vittimismo e presagi tragici, l’impresa è ancora più ardua.

La gente d’Aspromonte di Corrado Alvaro si possa addosso uno stigma di miseria, ignoranza, isolamento, ritualità mafiose: un contesto respingente per i ragazzi nati e cresciuti qui, che considerano quelle storie e quei personaggi come un marchio minoritario, il reminder del proprio atavico svantaggio culturale. Non conoscono, va da sé, le suggestioni della montagna descritta da Gioacchino Criaco, che nel “Custode delle parole” tramanda quell’appartenenza da nonno a nipote, stringendo un legame tra generazioni fondato su luoghi e linguaggio.

I loro coetanei siciliani però non lo direbbero mai di Verga o Pirandello – di sicuro non i loro professori. E servirebbe anche riflettere su quante scuole intitolate ad Alvaro esistono fuori della Calabria. E quante invece, anche oltre i confini siciliani, portano il nome del drammaturgo di Agrigento.

Se la cancel culture è situata nella sinistra radicale (i suoi strali qualche anno fa si erano diretti contro una presunta propaganda risorgimentale nel “Cuore” di De Amicis), l’autopromozione con pretese giovanilistiche di Tamaro, che va a screditare proprio un grandissimo scrittore del Sud, è vagamente federalista?  

Il rifiuto dei nostri studenti è riflesso condizionato di uno stereotipo appreso. Per loro sarebbe una rivelazione scoprire l’Alvaro giornalista inviato a Berlino e in Russia o scrittore di fantascienza (il suo romanzo distopico “L’uomo è forte”, una versione esistenzialista del grande fratello orwelliano) e le pagine erotiche del “Deserto del sesso” di Repaci e “Ricordati di dimenticarla” di Corrado Calabrò.

A proposito di contemporaneità, ci sarebbe da citare un’altra assurda assenza nelle scuole calabresi, quella di Rocco Carbone. Spigoloso come il suo nome e la natura della natia Cosoleto, geniale e maledetto dal destino per la tragica fine a 46 anni e senza aver mai scritto il romanzo a cui aspirava per far pace con se stesso e la sua natura. Se i libri che ci ha lasciato siano più o meno facili da leggere del best seller di Susanna Tamaro sarebbe bello farlo decidere ai ragazzi. Impariamo dai nostri dirimpettai dello Stretto. Anche questa è rivoluzione: forza, possiamo farcela anche noi.    

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