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L'operazione / Platì

La cocaina e i rapporti solidi fra le due sponde dello Stretto: "Siamo una famiglia, siamo tutti una cosa”

Telefoni criptati e "giustificazioni" per schermare il traffico di stupefacenti agli occhi degli investigatori della Guardia di finanza

Telefoni criptati e “giustificazioni” per proteggere i corrieri e schermare il lucroso business della cocaina. Il gruppo criminale smantellato all’alba di oggi dalla Guardia di finanza di Palermo, che ha chiuso l’indagine Cagnolino, usava chat anonime e cercava di coprire gli spostamenti di cocaina dalla Calabria verso la Sicilia ricorrendo a richieste di visite mediche negli ospedali palermitani.

Sono questi alcuni particolari che emergono dalle carte dell’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore Vittorio Coppola, che è stata condensata nell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip palermitano Lirio Conti.

Un’indagine, portata a compimento durante il periodo più duro della pandemia da Covid-19, che ha preso lo spunto dal ritrovamento di uno zainetto, al cui interno c’era oltre un chilo di cocaina, presso un terminal bus siciliano.

Uno zainetto, sequestrato dalle fiamme gialle, che aveva preoccupato i corrieri tanto da spingerli, per evitare come pensano gli inquirenti il rischio di venire ritenuti responsabili del “danno economico”, ad effettuare una telefonata alla Guardia di finanza chiedendo conto della mancata pubblicazione della notizia.

Il riscontro sulle celle agganciate dalle schede telefoniche ha portato i finanzieri ad aprire una lente d’ingrandimento sulla sponda calabra, tracciare un traffico di sostanze stupefacenti e ricostruire solidi rapporti di affari fra il gruppo facente capo ai due fratelli palermitani, figli di uno storico esponente del mandamento mafioso di Villagrazia/Santa Maria di Gesù, e alle persone tratte in arresto in provincia di Reggio Calabria.

Un rapporto tanto solido da far dire ad una delle persone indagate dalla Guardia di finanza ed intercettate durante l’indagine: “Per me noi altri siamo una famiglia, siamo tutti una cosa”. Una famiglia disarticolata dall'intervento delle fiamme gialle e della Direzione distrettuale antimafia di Palermo.

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