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Cronaca

Il Coronavirus da vicino, un infermiere del Gom: “Dobbiamo farcela a tutti i costi"

Tra sforzi e consapevolezza di dover guardare in faccia la pandemia, Giovanni Romeo è intervenuto a ReggioToday. “State a casa e aiutateci in questo modo", il suo appello

Il tempo passa inesorabile e la paura aumenta. Le giornate si susseguono come nulla fosse e distinguerle appare impossibile. La gente a casa trema nell’apprendere notizie sempre più tragiche e negative. Negli ospedali si tocca con mano la gravita di un termine, “pandemia”, solo qualche mese fa ampiamente considerato utopico. Si soffre a denti stretti, consapevoli che la guerra da combattere è disseminata di incognite, a cominciare da un nemico invisibile quanto letale.

In tali circostanze il flusso dei pensieri è incessante. Angoscia, preoccupazione, paranoia, ansia. Poi la luce, un piccolo, grande e forte barlume di speranza. É proprio lì, in quegli ospedali elevati a campi di battaglia che paradossalmente troviamo un modo per non scoraggiarci. Ci sono medici, infermieri e operatori socio sanitari che onorano la propria missione, perché di lavoro non si tratta, e danno forza all’Italia intera. Loro lottano in prima linea, cercando di arginare il problema e aiutare tutti, nessuno escluso. Ci si rialza così, rimboccandosi le maniche e spingendo al massimo. Mollare è un termine che nei loro vocabolari non esiste. Chiara l’attitudine degli operatori della sanità, veri e unici esempi per ognuno di noi.

Romeo Giovanni 1-2ReggioToday ha deciso di esplorare le sensazioni che si vivono all’interno del Gom di Reggio Calabria, vissute attraverso gli occhi di uno degli infermieri in servizio. Ai nostri microfoni è Giovanni Romeo (in foto con altri colleghi) a raccontare cosa si prova a dover svolgere il proprio delicato compito in piena emergenza Coronavirus.

“Non è un momento facile - spiega l'infermiere - per tutti noi operatori sanitari per affrontare questa emergenza. Non ci siamo mai trovati di fronte ad una cosa simile. In ospedale c’è un'aria molto pesante e ci guardiamo negli occhi senza la voglia di sorridere ma siamo consapevoli che dobbiamo farcela a tutti i costi anche perché per tutti noi è una missione. Lo faccio con il cuore da sempre e anche questa volta cerco di metterci ancora più amore e dedizione."

Secondo lei, tutta la popolazione ha realmente capito la gravità della situazione?

“Inizialmente no, vedo che la gente ha iniziato a capire la situazione da circa una settimana. Anche in ospedale eravamo più rilassati, mentre gli ultimi giorni vedo proprio nei visi di ognuno di noi, anzi siamo vestiti con mascherine e bandane e manco ci riconosciamo, negli occhi si riesce a leggere la tristezza del momento. Ognuno a capofitto abbassa gli occhi e cerca di fare il proprio lavoro provando a dedicarsi a 360 gradi, non tralasciando nulla."

La sanità in Calabria aveva già i suoi grossi problemi. Adesso come si riesce a gestire l’assenza di presidi essenziali? 

“Non abbiamo i presidi adatti e ci stanno distribuendo mascherine contate. Per ogni turno il caposala ci lascia poche mascherine chirurgiche e comunque non hanno l’effetto che dovrebbero avere. Abbiamo anche camici monouso. La sanità viveva già una situazione grave in Calabria e si aggrava sempre di più. Non ci sono né locali e né presidi adatti."

Terminato il suo turno, ritorna a casa e come riesce a staccarsi da tutto e affrontare la quotidianità familiare?

“È la cosa più brutta che provo. In turno sono concentrato sul mio lavoro, cerco di controllare tutti i gesti per non sbagliare qualche movimento o prendere qualche oggetto personale da evitare. La mia tristezza è che quando torno a casa mi ritrovo a non poter abbracciare mio figlio e non poter svolgere le mie funzioni di padre di famiglia e di marito perché voglio stare lontano da tutti e tutto, perché posso essere un soggetto contagiato. L’altro ieri è successa una cosa che mi ha fatto riflettere. Io smontavo dalla notte, mi richiamano dicendomi di tornare per gestire e preparare il reparto Covid. Mio figlio mi fa 'quanto ti poso abbracciare?'. Mi ha rotto il cuore questa cosa. Non esistono risposte e mio figlio di 11 anni mi continua a chiedere 'quando finisce tutto questo?'. Cerco di rassicurarlo e di impiegare i pomeriggi a casa con dei giochi."

Medici, infermieri e operatori socio sanitari non vengono sottoposti al tampone. Che rischi comporta e come si dovrebbe agire?

“Secondo me a noi operatori che siamo a contatto, oggi bisogna considerarsi portatori sani e a noi ogni otto giorni dovrebbero fare un tampone per essere certi che non siamo appunto contagiati. Di questo, però, non se ne parla. Ci stiamo preoccupando di tutto, ma per i presidi e la nostra sicurezza non si sta facendo molto. Se arriva un paziente affetto in qualsiasi reparto, tutto il reparto della chirurgia deve andare in quarantena e poi non ci sarebbe personale."

In ospedale, ovviamente, non c’è solo il Coronavirus.

"Ci ritroviamo a gestire anche altre patologie che giungono e non possiamo tralasciarle. I pazienti che vengono ricoverati sono costretti a lasciare i parenti fuori e non possono ricevere visite e diventa tutto più difficile, soprattutto gestire il lato emotivo. Alcuni reparti, l’ala di chirurgia ad esempio è stata adibita al Covid-19 e molti pazienti sono stati spostati in parte in ostetricia e in parte in urologia."

Cosa si sente di dire ai cittadini? Che appello può fare alle persone in questo momento?

“Non c’è altra soluzione, rispettate le regole dateci dagli organi competenti. State a casa e aiutateci in questo modo. Solo voi potete darci una mano, noi metteremo la nostra forza e il nostro impegno. State a a casa che noi non ci tireremo indietro, che parte di noi o mi sento di dire anche per tutti noi questo lavoro è una missione e più che mai oggi lo dobbiamo dimostrare fino alla fine.”

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