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Cronaca

Dati Anac su interdittive, i presidenti Berna e Siclari: "Serve una riforma urgente"

"Il report dell'Autorità nazionale anticorruzione sembra condannare l'economia del nostro territorio e, di riflesso, l'intera società calabrese a un marchio d'infamia"

I presidenti di Ance Calabria, Francesco Berna, e di Ance Reggio  Calabria, Francesco Siclari, esprimono “forti perplessità” dopo la 
recente pubblicazione del report dell'Anac sulle imprese colpite da  interdittive antimafia. “Il fatto che, nel periodo 2014-2018, il 27% 
delle misure abbia riguardato aziende calabresi e l'esponenziale  incremento delle sanzioni – sostengono i rappresentanti dei costruttori 
edili – sono indici di un'evidente anomalia che può essere spiegata solo  con l'inadeguatezza di uno strumento datato e ormai inadeguato a  contrastare l'economia criminale”.

Secondo Berna e Siclari, "i dati  riportati dall'Autorità nazionale anticorruzione sembrano condannare  definitivamente l'economia del nostro territorio e, di riflesso,  l'intera società calabrese a un marchio d'infamia. Non possiamo  accettarlo". I presidenti di Ance Calabria e della Territoriale reggina chiariscono:  "Da parte nostra è piena la consapevolezza della necessità di punire in  maniera ferma l’economia mafiosa ma, al tempo stesso, abbiamo a più  riprese sollecitato una riforma dello strumento dell’interdittiva, ritenendolo inefficace e sproporzionato nei suoi 'effetti collaterali'. Abbiamo più volte chiesto alla politica una riforma normativa che  attribuisca a tale procedimento natura giurisdizionale e non amministrativa, rilevate le conseguenze estremamente gravi che possono  arrivare fino alla morte dell’azienda. E abbiamo sollecitato la massima  cura nella gestione delle imprese sottoposte a interdittiva per  salvaguardare i livelli occupazionali e, in secondo luogo, l’avviamento  delle stesse".

La questione centrale, secondo Berna e Siclari, è che "il procedimento è  puramente indiziario e si basa su informative di polizia, nelle quali  sono richiamati fatti che non hanno rilevanza penale e che non possono  in assoluto 'certificare' l'infiltrazione mafiosa dell'azienda". "L'interdittiva, per come configurata dal legislatore dell'epoca, avrebbe dovuto essere adottata 'cum grano salis'. Oggi si è trasformata  invece in una spada di Damocle che pende sulla testa degli imprenditori,  'colpevoli' di avere il fornitore sbagliato o di bere un caffè con 
qualcuno di cui non sono tenuti a conoscere né le parentele, né il  casellario giudiziale.

E allora occorre intervenire con urgenza.  Altrimenti rischiamo di dire all'Italia che tutta l'economia calabrese è  inquinata, con ripercussioni devastanti sull'attività delle imprese,  sulla reputazione della regione e soprattutto sui livelli occupazionali.  Lasciare le maestranze senza lavoro significa fare un grande favore alla  'ndrangheta".

In questo senso, concludono Francesco Berna e Francesco Siclari, "esprimiamo sincero e profondo apprezzamento per le recenti 
dichiarazioni del procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri e  del sostituto procuratore Stefano Musolino su una materia così 
controversa. I due magistrati hanno dimostrato grande equilibrio,  ragionevolezza e attenzione verso l’economia sana di un territorio 
difficilissimo, esposto alle infiltrazioni mafiose. Per questo noi  imprenditori avvertiamo la responsabilità di riaffermare ancora una  volta il principio di legalità, rivendicando l’esigenza di salvaguardare  l’economia sana, fondata sulle regole del mercato".

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