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Giovedì, 25 Aprile 2024
L'evento

"The Good mothers" e la 'ndrangheta che è ancora traumatico tabù

Al festival di Berlino registi e attrici della serie DisneyPlus girata a Reggio raccontano il progetto. Stasera proiezione ufficiale in concorso

Chi vive in Calabria lo sa, però sentirlo dire fa sempre effetto, è un colpo silenzioso ma sferzante. Nel cinema e in letteratura la ‘ndrangheta, tradizionalmente assimilata dentro un immaginario mafioso orientato alla Sicilia e circonfuso del simbolismo violento ma indiscutibilmente romanzesco del Padrino, è un tema inesplorato, che quando acquista visibilità sconvolge con dirompenza particolare.

Oggi al festival di Berlino è il giorno di“The Good Mothers”, serie DisneyPlus prodotta da Wildside con il contributo di Calabria Film Commission e girata quasi interamente tra Reggio e provincia (Fiumara e Palmi), oltre che nel crotonese. In concorso nella speciale sezione series che si inaugura in questa edizione, sarà proiettata stasera in anteprima con i primi due episodi, e in conferenza stampa con il cast e i produttori il dibattito è stato animatissimo e controverso. Leitmotiv la 'ndrangheta, i tabù e il modo in cui è guardata dall'interno e fuori.

Lea, Giusy e le altre: storie poco note da far conoscere al grande pubblico

I registi Julian Jarrold ed Elisa Amoruso, così come le attrici Micaela Ramazzotti, Gaia Girace, Valentina Bellé, Simona Distefano e Barbara Chichiarelli, hanno ribadito più volte il pensiero che li accomuna a proposito delle storie raccontate nella serie, quelle delle donne calabresi che si sono ribellate alle famiglie criminali dove vivevano soggette alla violenza. Giusy Pesce, Concetta Cacciola, Lea Garofalo: le loro vite hanno riempito la cronaca e generato movimenti di rinascita e legalità, ma le interpreti le hanno conosciute leggendo l’omonimo libro del giornalista americano Alex Perry. Amoruso, coinvolta da Wildside nel progetto, ha spiegato: “Pur essendo italiana sapevo pochissimo di loro, ma ho subito capito che questa era una storia necessaria, importante. Mi ha colpito come fossero donne molto diverse, capaci di rappresentare questo spazio nuovo all’interno della ‘ndrangheta da diversi punti di vista e generazioni differenti".

La visione femminile è stata presentata come una novità assoluta nella narrazione della ‘ndrangheta, sempre focalizzata sugli uomini. In realtà questa nuova prospettiva viene indagata già da qualche anno: lo abbiamo visto nel film del regista cosentino Francesco Costabile “Una femmina”, passato proprio a Berlino e vincitore di premi europei, nella serie Amazon “Bang Bang Baby”, e ancora prima nel sorprendente “A Chiara” di Jonas Carpignano, cineasta italo americano che da un decennio ha scelto Gioia Tauro come residenza e luogo di osservazione artistica di microcosmi del cambiamento e rottura con il passato. Jarrod ne ha parlato come una scelta con un obiettivo preciso: “La ‘ndrangheta maschile è caratterizzata da una sottolineatura della violenza, che invece qui resta nell’angolo, nascosta. Percepiamo la sua presenza e ne vediamo soltanto le conseguenze, ma l’attenzione è puntata sul lato femminile, sulle loro reazioni". 

Lo sceneggiatore Stephen Butchard ha aggiunto: "E' bellissimo che siano donne comuni ma capaci di atti straordinari, che permettono loro di uscire dall'invisibilità. Hanno una grande forza, e come spiega il titolo, la trovano nell'essere madri, nell'amore per i figli ai quali vogliono consegnare un futuro di libertà".

Le attrici non hanno nascosto la loro emozione. Micaela Ramazzotti è la seconda Lea Garofalo dopo Vanessa Scalera, protagonista nel 2015 del film di Marco Tullio Giordano. Definisce Lea "una freccia che scocca dall'arco e apre la strada a una ribellione che si trasmette anche alla figlia Denise". Un ruolo che l'attrice considera importante perché "era una donna immersa in un contesto di sottomissione in cui una parola sbagliata era punita con la violenza ma ha avuto il coraggio di riscattarsi collaborando con la giustizia, comunica un messaggio di speranza". 

La giovanissima Gaia Girace, resa popolare dalla serie dell'Amica geniale, ha detto: "Denise è un personaggio in evoluzione, all'inizio è dolce e fiduciosa, poi diventerà determinata e a guidarla è l'amore per la madre, il desiderio di lottare per la verità e perché Lea, facendo conoscere la sua storia, non venga dimenticata".

Sul set reggino l'argomento della serie ha suscitato ritrosie nei residenti

Lea, Denise e le altre sono lo spiraglio di luce in una società che senza mezzi termini in conferenza stampa è stata identificata con i mali endemici della terra calabrese. Ascoltarlo fa male, ma nessuno a Berlino ha voluto edulcorare la realtà. In particolare Valentina Bellé, che intepreta Giusy Pesce, ha raccontato dell'atmosfera del set, dove i residenti apparivano infastiditi dall'ennesimo prodotto televisivo incentrato sulla criminalità. "Qualcuno mi ha detto che la 'ndrangheta non esiste più - ha ricordato - e mi ha un po' sconcertata, visto che queste storie non sono accadute molti anni fa. Come si fa a negarle o sostenere che non serve continuare a parlarle?".

Jarrold ha riferito anche di un episodio sul set di Reggio (che ha compreso il palazzo di giustizia), dove un rappresentante delle forze dell'ordine aveva manifestato imbarazzo nell'apprendere l'argomento della fiction. Non omertà ma rimozione inconscia (ognuno di noi l'ha sentita affiorare almeno una volta sperimentando l'equazione tra Calabria e 'ndrangheta). "Si capisce - ha commentato - che è un tema ancora molto sensibile per i calabresi, fanno fatica ad affrontarlo". Il produttore Lorenzo Gangarossa di Wildside ha dichiarato: "E' chiaro che anche noi ci siamo interrogati se fosse opportuno, perché la 'ndrangheta si presta a rischi di stereotipizzazione, ed è un terreno minato perché spesso nel cinema se n'è parlato anche enfatizzando un certo fascino del male. Per questo - ha concluso - abbiamo deciso di raccontare la storia di queste donne coraggiose, per cercare, per quanto possibile, uno sguardo positivo". 

Alle spalle degli ospiti della conferenza stampa, la locandina della serie mostrava in formato gigante lo scoglio dell'ulivo di Palmi. La scelta di girare in Calabria è stata funzionale non solo per i luoghi istituzionali (una delle protagoniste è una magistrata, impegnata in uffici giudiziari) ma anche nella ricerca di siti piccoli e racchiusi, che offrissero anche visivamente uno sfondo allo stato di costrizione e isolamento dei personaggi. Per lo stesso motivo, ha spiegato Amoruso, "abbiamo fatto riprese molto ravvicinate, che permettevano di entrare a stretto contatto con l'emotività di queste donne e renderle vicine anche allo spettatore". 

La gioiese Swamy Rotolo in visita sul set come "maestra" di dialetto 

Una peculiarità che anche i film di ambientazione calabrese stanno sdoganando è l'uso del dialetto, che per i non oriundi ha richiesto l'addestramento con un coach. Maestra esterna d'eccezione è stata Swamy Rotolo, diciottenne gioiese scoperta da Jonas Carpignano e più giovane vincitrice del David di Donatello. "E' stata preziosissima - ha detto Valentina Bellé - la sua famiglia mi ha preso sotto la loro ala, scherzando era pronta a correggermi nella pronuncia e nei termini, praticamente usciva da scuola, visto che frequenta l'ultimo anno, e veniva a fare scuola a me. E' stata un'altra esperienza bella del set". 

Tradotta e distribuita in 75 paesi, "The Good Mothers" è tra i titoli in arrivo su cui DisneyPlus punta con grandi convinzione. "Questa storia dimostra che quando le donne si muovono cambiano il mondo", ha detto ancora Julian Jarrods.  "Ogni volta che guardo la serie mi commuovo - ha confidato poi Butchard - e mi dimentico di averla scritta io, mi lascio travolgere dalla forza dell'amore provato da queste donne, che nel loro caso coincideva con la violenza, perché entrambi gli aspetti erano incarnati negli uomini che amavano, e questo crea un conflitto continuo". Proprio sulla parte maschile della storia, lo sceneggiatore ha aggiunto: "Non abbiamo voluto dare giudizi o perpetuare clichè, e per questo anche i criminali non sono rappresentati come cattivi, ma come vittime del loro ambiente. Sono nati e cresciuti dentro quella struttura e non conoscono altro ed è la condizione normale. Facciamo vedere che anche in loro c'è amore e che comprendono di subire una perdita, sacrificando le donne che amano". 

L'amore di Lea e Giusy, aggiunge Elisa Amoruso, "è elusivo, lo sfiorano in alcuni momenti ma non lo raggiungono mai". Vessilli rivoluzionari di una primavera femminile ("queste sono situazioni estreme", ha spiegato la regista, "ma rientrano ugualmente tra le forme di repressione del patriarcato"), adesso avranno una ribalta importante per far echeggiare le loro voci. La serie sarà in streaming dal 5 aprile con i sei episodi della prima stagione.

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