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Il ricordo / Archi

Domenico Catalano ucciso a sedici anni perché scambiato per un altro

Il 21 marzo Libera celebra la Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie

Ricordare per contrastare l'indifferenza che genera oblio, che continua ad "uccidere" ogni giorno chi è stato privato della propria vita dalla violenza mafiosa, è questo l'obiettivo della Giornata della memoria delle vittime di mafia, per affermare un sentimento di cittadinanza attenta e responsabile. Ricordare per capire la perdita, non solo per i familiari, ma anche per le nostre comunità e per un intero Paese. 

Così tra i tanti nomi, oggi, vogliamo ricordare Domenico Catalano un ragazzino qualunque morto in un sabato sera d'estate, il 1 settembre 1990, mentre era sul suo motorino a fare un giro con il nipote. Mimmo, era chiamato dagli amici, aveva sedici anni e un futuro davanti spezzato dalla ferocia dei killer e da 12 proiettili di pistola 7,65. Lo hanno ammazzato con la stessa messinscena che viene riservata ai boss di grosso calibro: una tempesta di piombo scaricato da due diverse pistole durante un agguato studiato fin nei minimi particolari.

Erano gli ultimi giorni di vacanza, a casa della nonna paterna, prima di tornare a Roma dove frequentava l'istituto professionale e di tanto in tanto lavorava per fare pratica in un'officina come meccanico e guadagnare qualcosa. 

Ma quel sabato sera, Mimmo girava con il motorino per le vie di Archi Cep, e nella piazzetta ha trovato la morte. Reggio era in piana guerra di mafia e la lotta tra i clan era feroce. Archi Cep era una zona difficile e la sera vigeva, di fatto, il coprifuoco. Troppi i morti per strada ammazzati. Ma Mimmo era estraneo agli ambienti di ndrangheta, era solo un ragazzino con la voglia di libertà e così ha inforcato il due ruote felice con suo nipote Natale Cozzupoli, anche lui adolescente. 

Poi sono stati sono stati affiancati dai killer, probabilmente due, a bordo di un'auto o di una moto e gli hanno esploso l'intero caricatore delle rispettive pistole 7,65. Per terra sono rimasti ben 17 bossoli, mentre sul corpo di Mimmo sono stati contati 12 proiettili. Un colpo anche alla testa, quando era già morto, per essere sicuri di averlo eliminato per sempre. I killer hanno ferito anche Natale con tre colpi.

Nessuno ha visto o sentito nulla. Mimmo è rimasto lì solo, a terra, jeans e maglietta a righe bianche e blu intrisa di sangue, fino all'arrivo degli inquirenti, mentre Natale è stato portato in ospedale da una volante, in prognosi riservata. 

Che fosse un agguato mafioso non ci fu alcun dubbio, ma non si riusciva a capire il perché. Mimmo era estraneo agli ambienti di 'ndrangheta e anche il padre, imprenditore edile trasferitosi a Roma. Mimmo non aveva nessun legame "ambiguo", nessuna vicinanza pericolosa. Morì per un tragico errore, perché si trovava nel posto sbagliato nel momento sbagliato e soprattutto perché indossava una maglietta a righe. 

La vittima designata, infatti, era un altro ragazzo  Vincenzino Zappia, chiamato Zappa,  ma gli incaricati di segnalare il suo passaggio credettero che fosse lui perché la sorte decise che quella sera entrambi, in motorino, indossassero la maglietta a righe. 

21 marzo 2023: il triste elenco delle vittime innocenti delle mafie

L'inchiesta Bless

Le indagini ed il processo anche in Appello hanno confermato che il mandante dell'agguato, in cui morì per errore Mimmo Catalano, è stato Pasquale Condello, condannato all'ergastolo.  Il processo Bless nasce da una maxioperazione congiunta tra polizia, carabinieri e Dia ne luglio del 2007 e a dare l'input  alle indagini sono state le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Paolo Iannò, killer della cosca Condello. 

L'inchiesta ha messo in luce anche il fatto che i responsabili dell'omicidio quando si sono resi conto dell'errore fecero circolare subito la voce falsa che il ragazzo aveva derubato,  nei giorni precedenti,  un bar del quartiere.

Un sacrificio inaccettabile

L'omicidio di Mimmo Catalano è un sacrificio inaccettabile per un Paese civile. L'aver perso la propria vita per mano delle mafie,  privato del suo diritto a esistere,  adesso ha il diritto di continuare a vivere nella nostra memoria e nel nostro impegno comune, perché come diceva don Pino Puglisi, altra vittima di mafia, “A questo può servire parlare di mafia, parlarne spesso, in modo capillare, a scuola: è una battaglia contro la mentalità mafiosa, che è poi qualunque ideologia disposta a svendere la dignità dell'uomo per soldi”. 

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