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Giornata del Ricordo: oltre la propaganda, riflessioni tra storiografia e politica

L'incontro organizzato dalla Fondazione Tripodi e dall'Arci per discernere gli avvenimenti che si verificarono sul fronte orientale

"La Giornata del Ricordo: oltre la propaganda e il revisionismo, riflessioni tra storiografia e politica" è stato il tema dell'incontro organizzato dalla Fondazione Girolamo Tripodi e dall'Arci di Reggio Calabria. Per cercare di capire quanto accaduto sono intervenuti Giuseppe Caridi, docente di Storia moderna dell’Università di Messina  e presidente della Deputazione di Storia Patria della Calabria, e Antonino Romeo, docente di Storia e componente della Deputazione di Storia Patria della Calabria, che hanno illustrato in maniera chiara e convincente i contenuti di una riflessione storica che non accetta i diktat della destra politica e culturale in materia di foibe e pur ovviamente condannando le vicende di quegli anni intende contestualizzare e discernere gli avvenimenti che si verificarono sul fronte orientale, liberandoli dal tentativo mistificatorio di chi vuole cercare di mettere sullo stesso piano fascismo e antifascismo, resistenza e repubblichini.

Dopo l’apertura dei lavori di Antonella Santoro, dell'Arci Reggio Calabria e Michelangelo Tripodi, presidente della Fondazione Girolamo Tripodi, che hanno portato i saluti  e ringraziato i partecipanti e i relatori per l’occasione di approfondimento storico-culturale che è stata possibile grazie alla loro disponibilità, ha preso la parola il prof. Giuseppe Caridi che ha ricordato come ormai,  “da quasi un ventennio  il 10 febbraio si celebra in Italia il cosiddetto “Giorno del Ricordo” in memoria degli italiani precipitati nelle foibe dell’Istria fra il 1943 e il 1945 dai partigiani sloveni. Questa ricorrenza è stata istituita con Legge del 30 marzo 2004 dopo una votazione a larga maggioranza del Parlamento su proposta del partito di Alleanza Nazionale -allora al governo guidato da Berlusconi - e con il voto contrario dei due partititi di sinistra, Pdci e Rifondazione Comunista”. 

Il prof. Caridi ha ricordato che ”la legge ha subito destato un vivace dibattito non solo in campo politico ma anche e soprattutto fra gli storici, la maggioranza dei quali ha ritenuto che tale atto costituiva una sorta di contraltare della Giornata della Memoria, istituita il 27 gennaio 2000 al fine di mantenere vivo il ricordo dello sterminio nazista di oltre sei milioni di ebrei, zingari, oppositori politici e disabili, simboleggiato dal campo di sterminio di Auschwitz, scoperto dalle truppe sovietiche in quel giorno del 1945.

Sin dalle prime celebrazioni infatti è apparso evidente il tentativo dei partiti di destra di strumentalizzare le foibe per cercare di sminuire gli orribili eccidi del nazifascismo sulla base della  considerazione che massacri erano stati compiuti da una parte e dall’altra dei belligeranti, equiparazione assolutamente improponibile sia per la enorme disparità delle vittime, sia perché i partigiani di Tito avevano agito per rappresaglia nei confronti delle umiliazioni e discriminazioni subite dai fascisti, laddove invece gli stermini nazisti erano  stati dettati dalla perversa volontà di effettuare una pulizia etnica”.   

Successivamente ha relazionato il prof. Antonino Romeo che ha avviato il suo ragionamento dicendo che  “la data del 10 febbraio rappresentava una sorta di controcanto, rispetto al 27 gennaio-giorno della memoria, per affermare che in fondo tutti i contendenti impegnati nella Seconda Guerra mondiale si erano macchiati di orrori e nessuno, quindi, poteva ergersi a campione di democrazia e di giustizia.

Una rilettura della storia che rivelava la mancata metabolizzazione del lutto per la sconfitta storica del nazifascismo e, insieme, la difficoltà ad accettare che l'antifascismo, inteso come fatto etico e culturale prima ancora che politico, è e deve restare a fondamento dell'Italia democratica e del Patto costituzionale giurato settantacinque anni fa da uomini finalmente liberi”.

 Il prof. Romeo ha poi denunciato “l'uso strumentale e, talora, indecente che a destra si tenta ancora di fare di questa celebrazione”. Tuttavia “ciò non impedisce di vedere quanto essa possa essere utile, perché solo la memoria della tragedia che allora si consumò al nostro confine orientale ci può consentire di superarla  nell'unica ottica possibile, quella della costruzione europea.

Se è vero, come scrisse lo storico triestino Ernesto Sestan, che lì si scontrarono i nazionalismi esasperati che hanno reso così feroce l'Europa contemporanea, è ancora più vero che solo in una struttura sovranazionale potranno essere comprese e pacificamente valorizzate le diverse identità dei popoli del nostro travagliato continente. Per giungere a questo risultato non è, però, possibile accostarsi a quelle vicende tragiche attraverso il racconto mediatico che, più o meno consapevolmente, mira ad una raffazzonata revisione storica, finalizzata a mettere tutti sullo stesso piano, tutti ugualmente spietati o tutti egualmente meritevoli nei confronti della patria”.

 “L'unica via da seguire è quella dell'analisi storica attenta, capace di contestualizzare i fatti e di discernere al loro interno. Solo in questo modo risulterà chiaro  che istriani, fiumani e dalmati non furono costretti a lasciare le loro case dalle inique e punitive condizioni del Trattato di pace, firmato a Parigi il 10 febbraio 1947, ma furono vittime della sconsiderata guerra fascista che Mussolini aveva voluto con criminale leggerezza, che l'Italia aveva affrontato senza adeguata preparazione, che nei Balcani ci vide responsabili d'indicibili brutalità e che, una volta perduta, non poteva che avere quella conclusione.

Solo la conoscenza storica ci consente  di capire che la violenza brutale patita dagli italiani di quelle zone fu anche la conseguenza dell'ottusa e altrettanto brutale politica fascista di ventennale repressione dell'identità slava. Ci renderemo conto che le uccisioni degli italiani nel 1943 ebbero motivazioni diverse rispetto a quanto avvenne poi nella primavera del 1945, quando al selvaggio spirito di vendetta contro i vecchi dominatori, si aggiunse la volontà slava di creare le condizioni politiche per affermare il proprio dominio totalitario sulla regione.

L'analisi storica non vuole giustificare nulla, vuole solo comprendere e chiarire le cose nel loro svolgimento. In tal modo anche il doloroso esodo di quasi trecentomila persone apparirà non già una pulizia etnica, come da più parti frettolosamente si dice, ma l'amara sorte che tocca sempre e dovunque ai popoli sconfitti, costretti sempre a lasciare le proprie terre per fare posto ai vincitori. Logica ferrea e leonina,  - ha concluso Romeo - ma sono le leggi feroci che regolano le guerre, quelle guerre che i potenti dichiarano e che i poveri cristi subiscono, e che possono essere accantonate solo se e quando i sistemi democratici si imporranno su quelli autoritari, per loro natura insensibili alle voci e alle esigenze che vengono dalla società civile, dagli uomini e dalle donne comuni che lavorano e vivono con paziente fatica quotidiana”. 

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