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Venerdì, 19 Aprile 2024
Per non dimenticare

A trent'anni dalla morte, il Gom ricorda la figura del primario Pandolfo

L'iniziativa in memoria del dirigente del reparto di neurochirugia del Riuniti, ucciso dalla 'ndrangheta a Locri, dove era consulente di quel nosocomio, con sette colpi di pistola

Mantenere vivo il ricordo di un grande uomo e professionista, il dr. Domenico Nicolò Pandolfo. Questo lo spirito che ha animato l’incontro ospitato ieri nell’aula Spinelli del Grande ospedale metropolitano Bianchi-Melacrino-Morelli di Reggio Calabria.

Alla presenza del figlio Marco, il commissario straordinario dr. Gianluigi Scaffidi ha voluto onorare la memoria del primario di neurochirurgia (che tutti chiamavano Nicola) attraverso un atto istituzionale, al quale hanno preso parte amici e colleghi di lavoro i quali hanno tracciato il profilo di un professionista intransigente e severo - prima di tutto con se stesso - ma anche di un uomo buono e generoso che il 20 marzo del 1993 fu ucciso a Locri, dove era consulente di quel nosocomio, con sette colpi di pistola. "Le cronache dell’epoca  - spiega in una nota la direzione generale del Gom - collegarono il delitto ad un delicatissimo intervento neurochirurgico non riuscito".

Durante l’incontro, il commissario ha delineato tutto il percorso professionale del dr. Pandolfo a Reggio Calabria: fu allievo del prof. Romeo Eugenio Del Vivo, neurochirurgo di fama europea, formatosi a Zurigo e chiamato a dirigere il nuovo reparto di neurochirurgia, unità che successivamente Pandolfo guidò brillantemente, nonostante le numerose problematiche del tempo. 

"Avevamo difficoltà a reperire i materiali, eravamo sforniti di tutto – racconta il commissario che con il dr. Pandolfo ebbe la fortuna di lavorare per lungo tempo – ricordo che negli anni ’80, quando arrivarono le prime tac, Pandolfo riuscì ad ottenerne una. Era la prima pubblica da Napoli in giù. Quando arrivò alla stazione, andammo a prenderla personalmente, Nicola in testa e noi a seguire, perché giravano voci di sabotaggio".

Il dr. Scaffidi ha ricordato ancora: "Ci ha formati con la sua intransigenza, incentivandoci e a dare il massimo, lavorando costantemente e a ritmi serrati". Personalità mite e al tempo stesso determinata, il dr. Pandolfo creò un metodo di lavoro pionieristico per l’epoca, che ha posto le fondamenta per la costruzione della neurochirurgia a Reggio Calabria e per la crescita dell’ospedale attraverso una sorta di effetto trascinamento di cui ha giovato, e tutt’ora giova, a tutto il Grande ospedale metropolitano.

In molti hanno voluto onorare il ricordo del primario attraverso la propria testimonianza: il dr. Francesco Turiano, dirigente medico della Uoc di neurochirurgia, ha parlato di lui come di "un maestro che pretendeva l’efficienza del reparto e il rispetto del malato"; il dr. Enzo Pensabene ha commentato: "Ha lasciato tanto a chi ha avuto la fortuna di vivere una parte della propria vita accanto a lui. Molto di quel che abbiamo fatto lo dobbiamo a lui".

Il ricordo del figlio Marco e quella via mai intitolata

Infine, il ricordo del figlio Marco che, pur commosso per le parole di stima e affetto di quanti hanno conosciuto e reso omaggio al padre, non ha nascosto vivo rammarico nei confronti delle amministrazioni che hanno colpevolmente dimenticato la famiglia Pandolfo, dimostrandosi perfino sorde alle richieste di intitolare una via al compianto primario che per ben 18 anni ha vissuto a Reggio Calabria, dando letteralmente la vita per la città.

"Ho iniziato un percorso di condivisione della mia storia - ha evidenziato Marco Pandolfo - per ricordare ed onorare la figura di mio padre e lo faccio raccontando la sua storia nelle scuole e nei programmi di riabilitazione. Ci sono medici che fanno i professori, medici che si occupano di questioni burocratiche - ha proseguito Pandolfo - e poi ci sono medici come mio padre e il dr. Girolamo Marino - primario di chirurgia all’Ospedale di Locri che nel 1988 venne ucciso per aver operato una bimba che, dopo essersi svegliata dall’anestesia, entrò in coma e morì 2 giorni dopo (n.d.r.) -, che operano e tentano di salvare vite e poi muoiono loro stessi nell’adempimento di un loro dovere. Darò sempre la mia disponibilità a discutere di tutto, anche della criminalità organizzata, però lo farò ai giovani sperando che durante la loro crescita non siano travolti dall’ignavia".

Come lo stesso Marco Pandolfo ha affermato durante il suo intervento "una società senza riconoscenza non si può definire una società civile" ed è per questo motivo che è doveroso ricordare l’esperienza del dr. Domenico Nicolò Pandolfo che tanto ha dato a Reggio Calabria e, in particolare, all’Ospedale che tutt’oggi vive delle intuizioni di quell’epoca, delle idee e degli insegnamenti di maestri come il dr. Pandolfo. Il suo deve essere un esempio da seguire ogni giorno nella pratica quotidiana di un mestiere che è prima di tutto vocazione e dedizione profonda, nella consapevolezza che senza conoscenza del passato non può esserci alcun futuro.

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