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Guerre e bombardamenti

Rifugi antiaerei in città, un salto nella storia e nei ricordi con il prof Arillotta

Tra bombardamenti, tristezze e rifugi. Lo storico, racconta a ReggioToday, "i momenti vissuti da noi reggini fra il 1940 ed il 1943, a causa del coinvolgimento dell’Italia nella seconda guerra mondiale"

La guerra tra Russia e Ucraina e la paura di un possibile coinvolgimento nel conflitto ha innescato nella mente di tanti la curiosità sull'esistenza di rifugi dove poter trovare riparo e al contempo ha riacceso, in coloro che hanno patito la seconda guerra mondiale, vecchi ricordi mai sopiti, intrisi di sofferenze, fame e abbandoni.

Le nostre memorie storiche, gli anziani, non dimenticano e la prima cosa che torna prepotente alla loro memoria è il suono della sirena: sordo, prolungato, metallico. Poi, la corsa, a volte anche a piedi nudi, verso quel rifugio in cui si condividevano paure e si sognava la speranza di nuova vita. 

Dove sono i bunker in Italia

"Le scene orripilanti, strazianti, di un popolo amico dilaniato e sconvolto per la cattiveria umana, che siamo costretti a vedere ogni giorno, con i terribili effetti dei bombardamenti indiscriminati, e con gli abitanti delle città ucraine costretti a rintanarsi in rifugi improvvisati, mi hanno richiamato alla mente i ricordi di momenti uguali vissuti da noi reggini fra il 1940 ed il 1943, a causa del coinvolgimento dell’Italia nella seconda guerra mondiale". Inizia così il racconto del prof Franco Arillotta che, per ReggioToday, riavvolge il nastro della storia, tra bombardamenti e rifugi.

Arillotta Francesco-2"Per la verità, - afferma lo storico - fino al maggio 1943, la nostra città non aveva subito incursioni aeree, come invece era successo a Messina. Tuttavia, all’ululare delle sirene d’allarme, quelli che ne avevano la disponibilità si recavano nei ‘rifugi antiaerei’: si trattava, in effetti, dei scantinati delle case, soprattutto quelle del’Ente Edilizio, nei quali, secondo le disposizioni dell’UNPA, ci si doveva ricoverare quando aerei nemici sorvolavano la città. Si riteneva, infatti, che questi locali, considerata la struttura in cemento armato delle case, avrebbero potuto offrire un’adeguata protezione.

La loro dislocazione era ufficializzata con apposite scritte in vernice nera, accanto ai relativi portoni (fino a qualche tempo fa, queste scritte erano ancora visibili un pò dappertutto). Non si faceva molto affidamento, non erano particolarmente frequentati, specie se l’allarme scattava di notte, ma, comunque, c’erano. Eguali strutture erano state predisposte negli edifici pubblici, a tutela del personale impiegatizio. Si prese anche l’iniziativa, che poi si rivelerà fatale, di scavare, in terreni scoperti, una specie di ampio trincerone, coperto da tavole e teli incatramati, che avrebbero dovuto riparare da raggere di schegge, ma che la gente pensò di utilizzare al momento degli allarmi". 

Il bombardamento del 6 maggio del 1943

"Quando, il 6 maggio 1943, - continua Arillotta - anche Reggio fu bombardata, una di queste trincee, davanti alle Scuole Elementari di Santa Caterina fu centrata da una bomba: e fu la strage. Nel suo diario giornaliero, che teneva accuratamente, mio padre racconta quel che avvenne nei grandi scantinati del Compartimento Ferroviario in piazza Castello, quando caddero le bombe sul Duomo e sulla piazza antistante: scene di ben giustificato terrore, anche di uomini in divisa.

Io non ho avuto questa esperienza, perché con il resto della famiglia eravamo già ‘sfollati’ in provincia di Potenza; ma, ritornato in città a settembre, pur ragazzino, provai grande dolore e grande orrore nel trovarmi faccia a faccia con le tracce sanguinose di tanti poveri morti, qua è là fra le macerie del rione Santa Caterina, particolarmente colpito per la sua vicinanza al porto". 

"Mai avrei creduto - conclude il professore - che in una nazione dell’Europa, dopo i terribili fatti dei Balcani, si sarebbe potuta determinare un realtà sconvolgente come quella alla quale stiamo assistendo. Onore sostegno al Popolo Ucraino!"

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