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La luce polarizzata di Munari evento d'eccezione all'Accademia

Il professor Francolini illustra l'installazione che si può visitare nell'istituto reggino di alta formazione artistica fino al 27 ottobre

In questi giorni, all’interno dell’Accademia di Belle Arti, è possibile assistere alla meraviglia delle Proiezioni a Luce Polarizzata dell’artista Bruno Munari, che resteranno visitabili fino al 27 ottobre, negli orari di apertura dell’istituto reggino di alta formazione artistica.

Progetto unico per la nostra regione, fortemente voluto dal direttore professor Piero Sacchetti, nato all’interno dell’organizzazione dell’Open Day dello scorso 7 ottobre, è stato proposto dalla cattedra di Storia dell’arte del professor Marcello Francolini ed è a cura di Miroslava Hajek, storica e critica d’arte di nazionalità ceca di fama internazionale.

Un resoconto dell'evento arriva dallo stesso Francolini, che spiega: "Avere, all’interno dell’Accademia, un’installazione per un ambiente a luce polarizzata di Bruno Munari significa innanzitutto la possibilità di costruire narrazioni su una delle storie dell’arte contemporanea di fondamentale importanza per la nascita dell’ultima grande tendenza europea che fu l’Arte Programmata inaugurata nel 1962 al Negozio Olivetti di Milano, con la presentazione di Umberto Eco e dello stesso Munari che sancirono una nuova tipologia di opera, l’opera aperta: l’obiettivo è quello di produrre non una sola immagine definita, ma tutta una moltitudine di immagini in continua variazione".

Continua l'accademico: "In effetti, ripercorrendo il percorso di Munari, così come ha fatto Miroslava Hajek davanti ad un pubblico variegato all’interno dell’Aula Magna dell’ABARC, l’artista, esplorando la nozione del dipingere con la luce, giunge nel 1950 a creare composizioni con materiali poveri o anche con frammenti di vetro colorato e plastica trasparente, fermati fra due superfici di vetro. Nascono così le proiezioni di diapositive contenenti composizioni intitolate Proiezioni a luce fissa. In quel periodo la luce diviene indagine di studio come testimoniato anche dalla serie delle opere pittoriche della fine degli anni quaranta. Ma - prosegue - questa prima serie doveva risultare ancora statica all’artista. È così che Munari scopre il filtro polaroid, che è una materia plastica prodotta in lastre. Se tra due dischi polaroid s’inserisce un pezzetto di cellophane e lo si guarda in controluce, si vede che il cellophane, incolore, ha assunto una varietà di colori. Attraverso questo procedimento, l’artista giunge a utilizzare i colori allo stato naturale, colori estratti dalla luce bianca, e poi la variazione dei colori stessi. Nascono così le Proiezioni a luce polarizzata".

Come spiega ancora Francolini, "nelle Proiezioni polarizzate la plastica è il mezzo per estrarre colore dalla luce. E cosi, Munari, fonde materia e luce producendo delle opere la cui stessa contingenza vive tra reale e percepito. La problematica di un'arte che diventa ambiente, in cui il fruitore è sollecitato non solo mentalmente, ma in modo totale, è ormai matura". 

Conclude il professor Marcello Francolini: "Al dato storico si lega inevitabilmente quello didattico e divulgativo legato al tema fondamentale della conservazione dell’opera d’arte contemporanea. In effetti le Proiezioni a luce polarizzata, facenti parte della collezione Hajek, sono oggi rivedibili grazie ad un lavoro di digitalizzazione dei vetrini. Questo lavoro di ampliamento delle possibilità didattiche e divulgative permette, oggi a Reggio, di portare a conoscenza del pubblico un lavoro che ha profondamente inciso sugli sviluppi delle più attuali video-installazioni". Chi non ha ancora visto le proiezioni di Munari all'Accademia di belle arti può farlo fino al 27 ottobre. 

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