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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

La "scuola mafiosa" di Peppe Crisalli al figlio: "Quando si picchia, si picchia subito"

Dalle intercettazioni dell'inchiesta "Cemetery boss", che ha disarticolato le cosche Rosmini e Zindato, emergono retroscena inquietanti sulla forza intimidatrice della criminalità e sui valori trasmessi alle giovani generazioni

“Quando si picchia, si picchia subito! non si fa, si picchia subito! subito non gli devi dare manco il tempo di reagire! di capire quello che sta succedendo! che non succeda più che ti acchiappi, perché si evita, ma la prossima volta che succede un fatto di questi non gli devi dare nemmeno scampo di capire le persone quello che sta succedendo!”. Quella che avete appena letto è una “lezione di vita criminale”, che Salvatore Claudio “Peppe” Crisalli, pezzo da novanta della cosca Rosmini finito in manette nell’ambito dell’operazione “Cemetery boss”, impartisce al figlio che poche ore prima aveva avuto un violento litigio con un giovane extracomunitario frequentante la stessa scuola del giovane. Una rissa che aveva visto soccombente il figlio di Salvatore Claudio “Peppe” Crisalli e che, quindi, secondo il padre, meritava una immediata e feroce risposta.

Extracomunitario da castigare

Così la cosca aveva messo in piedi una sorta di servizio di controllo e pedinamento, piazzandosi all’ingresso dell’istituto scolastico in attesa del giovane da “castigare”. Un rischio certo, tanto da spingere il giovane extracomunitario a non recarsi a scuola per qualche giorno, sfociato in una “punizione” fisica da parte di Salvatore Claudio “Peppe” Crisalli  che, non sapendo di essere intercettato, raccontava al figlio quasi vantandosi per quello che aveva fatto, nonostante l’intervento di un docente. 

Punizione plateale

La “punizione” doveva essere ferma e plateale per evitare di mettere in discussione l’aurea criminale della cosca ed esporre il figlio al rischio di nuove rappresaglie. “Guarda - si legge nelle carte dell’inchiesta condotta dalla Squadra mobile reggina, sotto la guida dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria - i primi due schiaffi che gli ho dato, ah, e glielo ho dati in una volta cosi a prendere la faccia così, rho preso penso nelle orecchie che non ha capito niente! c'era il rappresentante di classe pure, il rappresentante d'istituto! e lui era sotto lo macchina perché c’era una macchina parcheggiata tra il marciapiede e la macchina, ed era sotto, con una mano gli tenevo il collo di qua che l’ho preso nel collo e l'ho stretto e gli caricavo i pugni, poi che ha fatto, sono arrivati il rappresentante d'istituto per tenermi per togliermelo di sotto, lui ha preso ed ha cercato di mettersi sotto la macchina, mi sono abbassato per prenderlo di nuovo ed ho battuto nella macchina! poi mi sono spaventato perché mi ha detto che va dai carabinieri e mi denuncia”.  

Il timore di una denuncia

Il timore di una denuncia era presente anche nel ragionamento di Natale Crisalli, il fratello di “Peppe” Crisalli, che, come scrivono gli investigatori della Squadra mobile, “era preoccupato della perpetuata assenza a scuola del malcapitato temendo seriamente che la di lui famiglia avesse realmente denunciato il fratello Salvatore Claudio per le aggressioni subite, "questo qua non viene...se non li fermo entro oggi dobbiamo prendere provvedimenti..."/ “certo…perché non vengono questi? ..secondo me pure, devi andare a trovarli...".

L'intervento dello zio

Per questo motivo, si legge ancora, Natale Crisalli, che in un caso simile occorso al figlio con un ragazzo di Archi, vicino ad ambienti criminali di rango, aveva cercato di mediare la situazione per non attivare ripercussioni alla propria famiglia, e il suo interlocutore “concordavano di convocare il giovane extracomunitario ed il di lui padre per intimorirli al fine di desistere, "certo devi andare a stringerlo.. . voglio dire il figlio che gli hanno menato a scuola lo trovano. di prendere a suo padre e che lo porta che vogliamo parlare...gli devi dire che intenzioni hai. gli devi dire...../ "si spaventa...lui non è che voleva… gli devi dire di venire…”.

Il commento del gip

Laconico e, allo stesso tempo, caustico il commento del gip Domenico Armaleo: “Dalle conversazioni captate si comprende che Peppe Crisalli abbia assunto una soluzione della questione diametralmente opposta a quella del fratello, la ragione sta nel fatto che il proprio figlio non ha litigato con nessun personaggio collegato in via diretta o indiretta ai circuiti criminali cittadini. Ecco che allora il Crisalli ben può dare sfogo a tutta la sua caratura criminale, ripristinare l'ordine mafioso violato pestando a dovere (ed in più di un'occasione) il giovane extracomunitario reo di aver picchiato il figlio di Peppe Crisalli organico alla cosca Rosmini”. 

La lezione di vita mafiosa

Come dire forte con i deboli. “Il torto subito dall'indagato - prosegue il gip - non è di quelli che passano in sordina, bisogna dare una lezione di vita (mafiosa) a chi si è permesso di colpire il figlio del Crisalli, che quest'ultimo sia un uomo di spessore all'interno della cosca egemone nel territorio teatro dei fatti”. “Ciò che colpisce - conclude il gip Domenico Armaleo - è come gli odierni indagati abbiano affrontato la questione in esame mettendo, cioè, in atto le più tipiche regole dell'agire mafioso nonostante si trattasse di un semplice litigio tra ragazzi, anche da qui si coglie a piene mani il vincolo di mutua assistenza che lega tra loro gli appartenenti alla ‘ndrangheta”. 

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