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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca Gioia Tauro

Una cava era stata trasformata nella "sala comando" del gruppo criminale

Con l'operazione "Gear" i Carabinieri hanno ricostruito la rete di favoreggiatori di alcuni boss della Piana sfuggiti alla cattura negli anni passati

L’operazione "Gear" ha consentito di disarticolare un sodalizio che aveva stabilito la sua base nevralgica in una cava di inerti ubicata a Gioia Tauro, la cui finalità prioritaria era quella di agevolare la latitanza di pericolosi boss della ’ndrangheta sottrattisi, nel corso del tempo, ai relativi provvedimenti di cattura emessi dall’autorità giudiziaria.

La stessa organizzazione curava inoltre un indefinito numero di traffici di consistenti quantitativi di sostanze stupefacenti del tipo cocaina, marijuana, eroina ed hashish e custodiva numerose armi da sparo comuni e da guerra, detenute in modo clandestino, che andavano a rafforzare l’efficacia ed il potenziale delle altre aggregazioni criminali del «Mandamento Tirrenico» della provincia di Reggio Calabria. 

Gli arresti giungono al termine di una complessa ed articolata attività d’indagine condotta dalla Sezione operativa della compagnia Carabinieri di Gioia Tauro, sotto il coordinamento dell’autorità giudiziaria distrettuale, nel periodo compreso tra il mese di luglio 2017 ed il mese di dicembre 2018. La genesi delle operazioni investigative deve essere riportata agli esiti delle attività di polizia che avevano permesso ai militari di giungere alla  cattura dei latitanti Antonino Pesce di 38 anni (arrestato nel 2017 e ritenuto elemento di vertice dell’omonima articolazione territoriale di ‘ndrangheta operante prevalentemente in Rosarno e nella provincia di Reggio Calabria, latitante dal luglio 2016 allorquando si sottraeva al fermo di indiziato di delitto dell’operazione “Vulcano”), Salvatore Etzi di 47 anni e Salvatore Palumbo di 40 anni (entrambi elementi ricercati per i traffici delle sostanze stupefacenti, catturati a Palmi il 22 marzo 2017 da personale della locale Compagnia e della Compagnia di Gioia Tauro, rispettivamente latitanti, Salvatore Etzi, dal luglio 2016 dopo essere sfuggito all’arresto nell’ambito dell’operazione “Vulcano” e Salvatore Palumbo dal mese di ottobre 2016 in quanto destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Tribunale di Reggio Calabria nell’ambito dell’operazione  “Panda”). 

In particolare, il monitoraggio di mogli, fidanzate, parenti e favoreggiatori dei latitanti consentiva di far emergere la centralità del sito di estrazione, ubicato in Contrada Pontevecchio di Gioia Tauro, che poi si rivelava essere un vero e proprio snodo delle attività delittuose gravitanti principalmente attorno alle figure dei cugini Girolamo Bruzzese, Alessandro Bruzzese e Antonino Bruzzese, tutti tratti in arresto. 

Il monitoraggio di questa cava permetteva ai Carabinieri di Gioia Tauro di catturare, il 14 aprile del 2018, un quarto latitante, Vincenzo Di Marte, inserito nell’«elenco dei latitanti pericolosi» e ritenuto un elemento di spicco della cosca di ‘ndrangheta Pesce, operante nel territorio di Rosarno, ed irreperibile dal mese di Giugno 2015, allorquando si sottraeva all’ordinanza di applicazione della misura della custodia cautelare in carcere, emessa dall’autorità giudiziaria di Reggio Calabria.

Misura relativa all’operazione “Santa Fè”, condotta dalla Guardia di Finanza di Catanzaro, per i reati di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale delle sostanze stupefacenti con l’aggravante della transnazionalità e dell’aver agevolato la cosca di riferimento e quella degli “Alvaro” di Sinopoli; reati per i quali il Di Marte era già stato condannato in primo grado alla pena della reclusione di anni 14.

Una cava, ubicata al centro del territorio di influenza delle cosche della Piana, divenuta base operativa e logistica della criminalità organizzata per tutte le più importanti attività delittuose. Partendo da tale assunto, attraverso metodologie investigative tradizionali combinate con i più moderni sistemi di acquisizione probatoria, i Carabinieri di Gioia Tauro hanno ricostruito la rete degli indagati che, a vario titolo e con diversi ruoli: mettevano a disposizione dei latitanti Salvatore Etzi, Antonino Pesce e Vincenzo Di Marte, immobili da adibire a rifugio/covo durante la latitanza; fornivano loro generi alimentari e di prima necessità, nonché strumenti meccanici ed elettronici; procuravano agli stessi appuntamenti con soggetti terzi; garantivano incontri e mantenevano i contatti tra i familiari ed i ricercati; organizzavano gli spostamenti dei latitanti quando le situazioni ambientali lo richiedevano.

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