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Venerdì, 29 Marzo 2024
L'inchiesta

A Roma un distaccamento autonomo della ‘ndrangheta di Sinopoli e Cosoleto

Secondo gli investigatori della Dia la locale capitolina rispondeva direttamente agli ordini della casa madre calabrese e sarebbe una sua diretta "propaggine"

Vallone Maurizio-2Un distaccamento autonomo della ‘ndrangheta di Sinopoli e Cosoleto. Questo, per gli investigatori della Direzione investigativa antimafia, era l’articolazione mafiosa scoperta nella capitale che, per gli uomini del direttore Maurizio Vallone, era una vera e propria locale di ‘ndrangheta.

Per i magistrati della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, coordinati dal procuratore Giovanni Bombardieri, che hanno coordinato le indagini, quella romana - sempre allo stato degli atti e fatte salve le successive verifiche processuali - sarebbe una propaggine romana (da qui anche il nome dell’inchiesta), che sarebbe connotata da ampia autonomia nella gestione delle attività illecite, ed al contempo della permanenza dello stretto legame con la “casa madre sinopolese”, interpellata per la soluzione di situazioni di frizione tra i sodali romani o per l’adozione di decisioni concernenti l’assetto della gerarchia criminosa della capitale. La stessa costituzione del “distaccamento” romano sarebbe stata in origine autorizzata dai  massimi  vertici della ‘ndrangheta, operanti in  Calabria.

Gravemente indiziati, nell’ambito della indagine chiusa dalla Dia, di ricoprire i ruoli verticistici delle organizzazioni calabresi sarebbero: Carmine Alvaro detto ‘u cuvertuni’, capo locale di Sinopoli, nonché, quali capi locale di Cosoleto, Francesco Alvaro detto ‘ciccio testazza’, Antonio  Alvarodetto ‘u massaru’, Nicola Alvaro detto ‘u beccausu’ e Domenico Carzo detto ‘scarpacotta’.

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L’associazione sinopolese è risultata, allo stato delle indagini e fatti salvi i successivi sviluppi giudiziari, pienamente operativa nel controllo del territorio; le indagini hanno mostrato un forte attivismo degli indagati nella risoluzione immediata di situazioni di criticità e frizioni, quali ad esempio quelle connesse all’avvicendamento delle nuove leve nella gestione del locale di Cosoleto, affidato a capi ormai anziani, quelle relative alla cura dei rapporti con i vertici della propaggine romana (Vincenzo Alvaro, figlio di Nicola Alvaro detto u beccausu, e Antonio Carzo, figlio di  Domenico Carzo detto scarpacotta), nonché quelle relative alle problematiche scaturenti dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e dal disaccordo tra i capi dei diversi ceppi della famiglia Alvaro.

L’operatività delle locali di Sinopoli e Cosoleto è risultata fortemente improntata al rispetto delle doti di ‘ndrangheta; l’osservanza dei riti e dei linguaggi tradizionali è stata esportata anche nella capitale, ove la ‘ndrangheta, ed in particolare la cosca Alvaro, si è trasferita con la propria capacità di intimidazione ed ha creato una stabile ed autonoma struttura criminale.

Gli interessi del sodalizio mafioso si sono, peraltro, estesi all’amministrazione locale. Il compendio indiziario raccolto mediante l’attività investigativa ha evidenziato, sempre fatte salve le successive valutazioni di merito, un forte interesse dei sodali all’esito della competizione elettorale del Comune di Cosoleto del 2018: Antonio Carzo, capo locale romano, è stato ritenuto, infatti, gravemente indiziato  del delitto di cui all’articolo 416 ter del codice penale in favore dell’attuale sindaco del Comune di Cosoleto.

Anche prescindendo dalle singole vicende illecite, il legame tra la “casa madre” sinopolese e la propaggine romana è stato sempre attivo e gestito con estrema cautela: le indagini hanno disvelato che, secondo una strategia ben specifica, i due capi del locale di ‘ndrangheta romani limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali, in occasione dei quali si sono svolti incontri fugaci ma risolutivi; nei casi di estrema urgenza, poi, gli incontri sono stati concordati mediante l’intermediazione di “messaggeri”.

Alcuni dei destinatari della misura, come si legge in una nota stampa, sono stati già condannati per l’appartenenza alla cosca Alvaro con sentenze passate in giudicato. Sono attualmente in corso, come fanno sapere gli investigatori, anche attività di perquisizione presso le abitazioni degli indagati e di acquisizione del materiale di rilievo probatorio.

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