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Giovedì, 28 Marzo 2024
Cronaca

La lunga notte della veglia, scalzi e in ginocchio verso la Patrona

E' il momento che precede l'attesa processione. I fedeli si raccolgono attorno alla sua protettrice e a lei affidano speranze, preghiere e desideri

È il preludio prima dell’apertura del sipario. Prepara il clima e il carattere  dello spettacolo: è la lunga notte della veglia nella Basilica dell’Eremo. È tra i momenti più suggestivi dell’intera festività mariana, è tra i primi omaggi che il popolo reggino fa alla sua Patrona. Poco prima che lasci la sua ‘casa’ e si abbandoni tra le braccia  adornati dei suoi figli, questi, la vanno ad ammirare, pregare e salutare, come  se fosse un addio prima della partenza.

È una notte carica di contraddizioni e di suggestioni, quella appena trascorsa, la città non sarà mai così viva e mai così unita come in quest’occasione. Il desiderio di vedere la Sacra Effige prima dell’uscita, è tale che non si sente ne stanchezza, ne acciacchi o dolori nel percorrere a piedi la ripida salita che conduce alla Basilica. Il via vai lungo la scalinata, dentro e fuori la chiesa è incessante sin dalle prime ore della sera, già al calar del sole si vedono arrivare i primi fedeli alla ricerca di un posto adatto dove sistemarsi in vista della lunga veglia che proseguirà sino alle 5,30 con la celebrazione Eucaristica.

Le preghiere dei fedeli all’interno della Basilica, diffuse grazie agli altoparlanti, si confondono al chiacchiericcio  di chi è rimasto fuori, seduto nelle scalinate in attesa di poter entrare e il suono dei tamburelli che, in lontananza, accennano la tradizionale tarantella. Sacro e profano che si incontrano, in una notte in cui tutto è sospeso, tutto è rimandato. È la notte dell’attesa. L’apparente distrazione di chi è arrivato sin li anche da molto lontano, svanisce varcando la soglia della Basilica.

Lei è lì, maestosa e bellissima. Accogliente, come solo una madre sa essere. Tutti intorno a lei fanno a gara a chi le si avvicina di più, per donarle un cero, farle una foto da mandare ai chi è lontano, chiedere di proteggere la vita che sta per nascere,  continuare a posare il suo sguardo su chi, nella sfortuna, la ringrazia di essere ancora lì. C’è chi dice che questa, sia solo una ‘tradizione’, una ‘consuetudine’ ereditata dalla famiglia ma, nei fatti e nei gesti, questo è ‘Amore’. 

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