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Venerdì, 19 Aprile 2024
La sentenza / Palmi

Omicidio del barone Livio Musco, assolto il nipote Berdj Domenico

Le indagini sul fatto di sangue vennero avviate nel 2013, il pm aveva chiesto l'assoluzione e ieri la Corte d'assise di Palmi ha accolto la tesi difensiva dell'avvocato Napoli e ha emesso una sentenza di piena assoluzione

Si è concluso, con l’assoluzione di Berdj Domenico Musco, difeso dall’avvocato Antonino Napoli del foro di Palmi, il primo grado del processo che lo ha visto imputato dell’omicidio dello zio barone Livio Musco davanti alla Corte d’assise di Palmi, presieduta da Francesco Petrone con a latere Anna Laura Ascioti, nell’ambito del quale si erano costitute parti civili una delle figlie della vittima, Elena Musco, assistita dall’avvocato Antonino Aloi del foro di Reggio Calabria, e la sorella Maria Ida Musco, assistita dall’avvocato Federico Federico del foro di Napoli.

Il processo che ha avuto un forte rilievo mediatico in quanto Livio Musco era il figlio secondogenito del generale di corpo d’armata Ettore Musco, soggetto che nella storia militare Italiana ha ricoperto un ruolo di primario ordine tanto che, all’esito del secondo conflitto mondiale, dopo esser stato decorato della Croce di cavaliere dell'ordine militare d’Italia e della Legion of merit dagli Stati Uniti d’America, venne incaricato di occuparsi della riorganizzazione dell'apparato informativo della nascente Repubblica ed in tali vesti guidò i servizi segreti militari italiani, Sifar, dal 1952 al dicembre 1955. Proprio ad Ettore Musco si deve l’organizzazione della rete clandestina, sotto l’egida della Cia, denominata “Stay Behind” e nota con il nome di Gladio che ha iniziato ad operare ufficialmente nel 1953 con la firma di un accordo ufficiale di collaborazione tra il Sifar e la Cia.

Le indagini sulla morte del barone Musco, coordinate dalla procura della Repubblica di Palmi, presero avvio immediatamente dopo la sua morte, avvenuta la sera del 23 marzo 2013 allorquando il fratello Giuseppe Musco ed il nipote Domenico Berdj lo rinvennero sanguinante seduto nella poltrona dello studio della residenza dei Musco. Fin da subito, la ricostruzione dell’omicidio del barone Musco si dimostrò tutt’altro che agevole per gli inquirenti che orientarono nell’immediato le attività investigative in almeno tre direzioni.

Una prima ipotesi, subito scartata poiché priva di effettivi riscontri investigativi, collegava l’evento omicidiario ad un movente di natura passionale che avrebbe riguardato una presunta e mai dimostrata relazione tra il Musco e taluna delle operaie lavoratrici presso l’azienda agricola che lo stesso gestiva. Una seconda tesi investigativa collegava l’omicidio ai forti contrasti, interni alla famiglia Musco, e maturati in relazione alla gestione dell’ingente patrimonio immobiliare ereditario di cui la stessa disponeva.

Una terza ipotesi, quella che si vedrà poi essere maggiormente accreditata dagli inquirenti, riconduceva l’evento omicidiario alla mancata restituzione di un prestito che il barone Livio Musco aveva ottenuto da Teodoro Mazzaferro qualche anno prima. Concluse le indagini preliminari, il pubblico ministero ha richiesto il rinvio a giudizio di tre indagati: Teodoro Mazzaferro, Ruggiero Musco e Berdj Domenico Musco questi ultimi rispettivamente fratello e nipote della vittima.

Prima della celebrazione dell’udienza preliminare Mazzaferro Teodoro, sospettato di essere stato autore materiale dell’omicidio Musco, morì per cause naturali, sicché l’unico imputato del delitto di concorso in omicidio rimaneva Musco Berdj Domenico. Ruggiero Musco, accusato di porto e detenzione di arma, all’udienza preliminare optava per il giudizio abbreviato e veniva assolto. Berdj Domenico Musco invece scelse il rito ordinario e, pertanto, è stato rinviato a giudizio davanti alla Corte di assise di Palmi.

Sin dalla sera stessa dell’omicidio, Berdj Musco, sentito dai carabinieri della compagnia di Gioia Tauro, all’epoca sita a poche decine di metri dal palazzo della famiglia Musco, spiegò che quella sera - dopo esser tornato dal lavoro - mentre si trovava nella sua camera, sita al primo piano, intento a giocare al computer, non aveva sentito alcuna esplosione di colpo d’arma da fuoco ma solo un rumore che associò ad un mobile spostato o allo sbattere di finestra, uno di “quei rumori che dentro una casa vecchia come è quella lì, che noi chiamiamo palazzo con le mura spesse ottanta centimetri, capita di sentire”.

Berdj Musco fu sottoposto quella sera al prelievo stub da parte dei Ris che diede esito positivo essendo stata rinvenuta sullo stesso 1 particella Gsr, univoca dello sparo, sul prelievo effettuato sulla mano e guancia destra, 1 particella Gsr su quello effettuato sulla mano e guancia sinistra e 2 particelle Gsr sullo stub eseguito nelle narici e nelle orecchie e ciò inevitabilmente ha rappresentato il dato di maggiore valenza indiziaria rispetto alla contestata condotta di concorso in omicidio giacché si è ritenuto che costui sarebbe stato presente nello studio ove avvenne l’omicidio nel momento stesso dell’esplosione dei colpi d’arma da fuoco o, addirittura, che potesse esser stato lui stesso a sparare.

L’istruttoria dibattimentale del processo è stata estremamente articolata e complessa tanto che sono stati escussi oltre trenta testi: sul banco dei testimoni si sono infatti avvicendati i militari della compagnia dei carabinieri di Gioia Tauro che hanno svolto le indagini, i sanitari del 118 intervenuti in soccorso del barone Livio Musco, gli operatori dei Ris di Messina, il consulente tecnico del pm Avino, che si è occupato degli accertamenti sul pc dell’imputato, le parti civili, gli operai del barone Musco, i figli della vittima, il fratello Giuseppe, il nipote Federico Adolfo Musco ed il consulente tecnico della difesa Felice Nunziata. Lo stesso imputato si è sottoposto ad esame, confermando la ricostruzione che aveva fornito agli inquirenti in sede di indagini preliminari pienamente riscontrata dallo zio Giuseppe Musco.  

Dal dibattimento sono emersi, nitidi, i profondi dissidi interni alla famiglia Musco, maturati in particolare nelle relazioni tra fratelli e sorelle, in ordine alla gestione dell’immenso patrimonio immobiliare che costituiva oggetto di alcuni lasciti ereditari, all’epoca dei fatti, indivisi e tra essi quelli del generale Ettore Musco. Un patrimonio vastissimo che oltre a latifondi insistenti nell’agro del comune di Gioia Tauro consta altresì di numerose ville e residenze, non ultima quella dove ha vissuto il generale Ettore Musco: oltre 500 metri quadrati in zona Parioli a Roma.

E’ emerso, altresì, quello che potrebbe definirsi un vero e proprio “giallo nel giallo” giacché l’arma del delitto, una pistola calibro 7,65, non è mai stata rinvenuta nonostante sia stata costantemente ricercata dalle autorità inquirenti, finanche a Roma presso la residenza del generale Ettore Musco e nella casa dell’altro fratello della vittima, Ruggiero Musco, perseguendo l’ipotesi secondo la quale l’omicidio del barone sarebbe maturato all’interno della stessa famiglia Musco: tesi certamente suggestiva ma mai riscontrata nemmeno sul piano indiziario.

Né è emerso un possibile movente che abbia potuto animare l’imputato nel concorrere all’omicidio dello zio non essendo stato dimostrato un interesse confliggente con quello del barone o comprovata l’esistenza di cointeressenze con l’altro imputato Teodoro Mazzaferro. Il dibattimento, grazie anche al costante e scrupoloso lavoro della difesa sostenuta dall’avvocato Antonino Napoli, ha demolito l’intero impianto accusatorio che era stato eretto a carico del Berdj Domenico Musco evidenziandone l’assoluta infondatezza.

Già gli operatori del Ris di Messina avevano sensibilmente attenuato la portata indiziaria dell’esame stub spiegando come l’esito positivo denotato dai prelievi eseguiti sull’imputato risultava essere verosimilmente la conseguenza della contaminazione dell’imputato dovuta all’entrata in contatto dello stesso con le particelle Gsr in sospensione (“nuvola Gsr”) sprigionatesi dall’esplosione di due colpi d’arma da fuoco nello studio del Livio Musco, allorquando insieme allo zio Giuseppe si erano prodigati nel soccorrere il barone Musco sdraiandolo a terra secondo le indicazioni che gli erano state fornite dal centralino del 118 chiamato dallo stesso imputato. Fenomeno, quello della sospensione delle particelle Gsr che, secondo un recente studio della Bka tedesca può durare anche oltre tre ore dopo lo sparo.

Ciò posto, il consulente della difesa, Felice Nunziata, precisava che proprio l’esiguo numero delle particelle Gsr rinvenute nelle narici e/o nelle orecchie dell’imputato rappresentava, invece, la prova del fatto che certamente Berdj Musco non si trovava nello studio del palazzo al momento dell’esplosione dei due colpi d’arma da fuoco che avevano attinto il barone giacché le particelle Gsr generatisi all’esito del deflagrare dei predetti colpi e che certamente avrebbe inalato l’imputato o si sarebbero depositate nelle orecchie o nelle narici dello stesso sarebbero dovute essere presenti in quantità molto più elevate rispetto al dato emergente dall’esame stub.     

Il consulente informatico del pm, nell’ambito del controesame svolto all’avvocato Antonino Napoli, precisava come risultava riscontrato tecnicamente il dato secondo il quale l’imputato dalle ore 18.57.55 alle ore 19.03.49, lasso temporale nell’arco del quel si colloca l’azione omicidiaria, si trovava intento a giocare al computer giacché lo stesso risultava esser stato spento manualmente non essendo stato impostato per andare autonomamente in modalità save/sleep.  All’esito della requisitoria, all’udienza del 10 febbraio 2022, il pm Vincenzo Lanni formulava richiesta di assoluzione, mentre all’udienza dell’8 aprile 2022 le parti civili, rappresentate dagli avvocati Antonino Aloi e Federico Federico concludevano chiedendo la condanna dell’imputato.

All’esito della camera di consiglio, la Corte d’assise di Palmi, accogliendo in pieno le argomentazioni rassegnate nell’arringa difensiva dall’avvocato Antonino Napoli, ha assolto con formula ampia Berdj Musco al quale è così stata restituita la dignità che un’accusa così grave ed infamante ha per troppo tempo offuscato. 

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