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L'occasione perduta dell'osservatorio geofisico, patrimonio di scienza e storia

L'idea di una stazione sismica cittadina risale all'Ottocento, ma tra terremoti e traslochi oggi il centro esiste solo formalmente e non si sa dove siano le attrezzature e l'archivio cartaceo degli studi

Tra pochi giorni le province di Reggio Calabria e Messina saranno coinvolte nel progetto nazionale "Sisma dello Stretto 2022" della Protezione civile, con la simulazione di un terremoto di magnitudo 6.0 e l'attivazione di tutte le strutture e le operazioni di soccorso. Sarà l'occasione per mettere alla prova il modello di intervento nazionale e anche il nuovo sistema informativo di allarme pubblico It-Alert attraverso le reti dei cellulari dei residenti nelle aree colpite dal sisma finto finto ma inscenato alla perfezione.

Niente paura, dunque, se dal 4 al 6 novembre ai nostri numeri arriverà un messaggio di calamità, anche perché durante la capillare esercitazione potremo vedere dal vivo come si svolgerebbero i soccorsi in un malaugurato reale episodio sismico di quella portata. Il problema però è un altro e riguarda la prevenzione e lo studio dei terremoti.

L'osservatorio fantasma smontato e tenuto chiuso

Sembra surreale dirlo ma in una città più volte distrutta da potenti terremoti e che si trova in un'area a elevatissimo rischio sismico, da oltre dieci anni non esiste più un osservatorio geofisico. Un istituto fantasma, perché la storica stazione non ha oggi una sede nè un'attività virtuale, e dagli uffici comunali non si riescono a reperire informazioni sul luogo in cui macchinari dismessi e archivi siano custoditi (o forse solo impilati in magazzino ad usurarsi). 

Tanto che, proprio in occasione dell'iniziativa dimostrativa della Prociv, l'attività di rilevamento dei movimenti tellurici nella provincia reggina e sugli altri territori calabresi limitrofi interessati dall'esercitazione sarà possibile solo grazie a stazioni mobili che verranno installate in quelle giornate, e che poi dovrebbero rimanere nelle zone individuate, anche al termine dell'evento.

Un'altra brutta sorpresa per gli operatori che stanno organizzando l'esercitazione è stata lo spostamento del punto di raccolta dei cittadini durante il terremoto situato al Cedir e che ora sarà sistemato nel palazzo della circoscrizione di Ravagnese. Ancor più paradossale è che i materiali documentali della prolifica attività dell'osservatorio cittadino di geofisica - un autentico patrimonio di dati e statistiche - oggi risulti difficile, se non impossibile, fruire.  

L'osservatorio geofisico e meteorologico di Reggio ha una lunga e travagliata storia, che inizia prima del "Big One" del 1908, con la stazione creata dal matematico Salvatore Bevacqua nel 1875 all'interno della villa comunale. Tra pause e trasferimenti, se ne perdono le tracce nel 2007, anno che risulta essere l'ultimo della documentazione prodotta, come attesta l'inventario cartaceo condotto dalla Soprintendenza archivistica calabrese per riordinare fascicoli e materiali scritti dell'ente. 

La lunga storia di un centro operativo unico al Sud 

Ma torniamo al primo osservatorio, voluto dal professor Bevacqua, appassionato ricercatore di misurazioni, piante ed eventi climatici. Inizialmente il centro operativo aveva soltanto funzioni meteorologiche, ma si dotò di un sismografo all'avanguardia, il mitico Agamennone, dopo il terremoto del 1894, quando una commissione speciale appositamente costituita decretò la necessità di avere una stazione sismica nella città di Reggio, una vera eccellenza meridionale - che però lì non avrebbe potuto stare per la vicinanza con la stazione e le interferenze che sarebbero arrivate dai movimenti sulla linea ferroviaria.

Per i monitoraggi sismici fu dunque scelta l'area dell'orto botanico. Il terremoto del 1908 fece scempio di ogni cosa: finirono in macerie sia l'edificio che ospitava l'osservatorio nella villa comunale (che lì aveva continuato a svolgere rilevazioni meteorologiche), sia la stazione sismica e lo stesso sismografo. Per mancanza di attrezzature le attività si interruppero fino al 1950, anno dell'impegno dell'Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia per dotare di macchine moderne un nascituro osservatorio geofisico allocato nel castello aragonese.

La nuova stazione sismica e meteorologica fu attivata il 20 maggio 1952 e ricadeva amministrativamente nelle competenze dall'Azienda autonoma di soggiorno e turismo, soggetto stipulante dell'accordo con cui l'Ingv riconosceva la struttura e forniva la strumentazione. Dopo la soppressione di quell'ente, nel 1985 l'osservatorio, nei due settori sismico e meteorologico, continuò a lavorare con macchine provenienti da Roma e in particolare con due sismografi Wiechert di grande precisione. Produsse anche pubblicazioni di alto valore scientifico, conservate in una biblioteca dove venivano raccolti riviste e saggi di ricerca costantemente aggiornati (in tutto 1207 libri e 66 periodici all'esito del riordino della Soprintendenza).

Il crollo di un'ala del Castello nel 1986 obbligò a un ennesimo smantellamento dell'osservatorio, che sarebbe stato poi riaperto nel 1995 nella sede di via Filippini, usando i locali sopra il mercato coperto dove c'erano già uffici comunali, e fu quella volta il Comune a stipulare un'altra convenzione con l'Ingv per garantire un funzionamento stabile della stazione. Nelle stanze erano esposti anche strumenti d'epoca degli anni Cinquanta, che erano oggetto di visite didattiche da parte delle scolaresche, destinazione d'uso che poi divenne quasi l'unica dell'osservatorio, cioè quella di improvvisato museo. 

Oggi negli stessi locali è ospitato il museo del bergamotto (anch'esso in fase di trasloco), e la stazione geofisica e meteorologica è stata nuovamente impacchettata e spostata. Dove? Nessuno sembra sapere che fine abbiano fatto le macchine storiche, gli strumenti di rilevazione e monitoraggio dei dati, nè i documenti censiti dalla Soprintendenza archivistica, che con il progetto Specula 2000 ha realizzato un recupero analitico di quel patrimonio storico-scientifico riversato poi in digitale. Ma la Soprintendenza non è titolare dell'archivio né può metterlo sotto tutela, poiché appartiene al Comune, che è un ente pubblico. 

Si tratta di 560 unità cartacee cronologicamente comprese tra il 1952 e il 2007, con molti buchi temporali perchè l'archivio risultava conservato in disordine e con una caotica mescolanza con il materiale bibliotecario, situazione che ne rendeva impossibile la consultazione. Tra questi documenti, ci sono le preziose strisce di registrazione automatica degli eventi sismici.  

Meritorio il lavoro della Soprintendenza, che ha permesso di salvare le statistiche e gli studi (pur frammentari e confusi) conservati nell'osservatorio, ma ci si chiede dove si trovino adesso l'archivio fisico delle statistiche di oltre cinquant'anni di tremori della terra e tutte le macchine, antiche e di ultima generazione, che elaboravano i dati sismici e meteorologici nella stazione di via Filippini. 

Di questo capitolo di storia della città, in cui Reggio Calabria aveva un ruolo centrale nello studio dei terremoti, rimangono soltanto, nella biblioteca comunale, una copia delle pubblicazioni scientifiche curate tra il 1879 e il 1880 dall'antico osservatorio fondato da Bevacqua e il trattato sul clima di Reggio scritto dallo stesso professore nel 1886. Salvi anche i rendiconti della stazione reggina dal 1956 al 1967, in un volume dell'editore Prospero, consultabili nella biblioteca della facoltà di architettura dell'università Mediterranea.

La rilevazione ufficiale dei terremoti da parte dell'Ingv per gli eventi con epicentro o risonanze sul nostro territorio avviene a Roma, dove la centrale operativa riceve i segnali dalle stazioni locali; a sud c'è come punto di riferimento di studio l'osservatorio etneo di Catania (gemello per funzioni e obiettivi di quello di Reggio). Con obiettivi puramente scientifici, la rete sismica della regione è inoltre monitorata dal laboratorio di sismologia dell'Università della Calabria (Dibest, dipartimento biologia, ecologia e scienza della terra), che condivide alcune stazioni con l'Ingv.

Nella mappa dei trasmettitori, la provincia di Reggio è l'unica ad avere stazioni temporanemente non attive, a Bova e Oppido, mentre non figurano quelle di Scilla, Motta San Giovanni e Samo, che operavano in collegamento con l'osservatorio cittadino. In via ufficiosa e mai confermata si è saputo che alcuni sismometri e apparecchiature elettroniche del laboratorio rendese potrebbero essere arrivati da centri operativi o di studi della regione, e chissà se sono lì anche le strumentazioni reggine. Che le attrezzature dell'ex osservatorio siano utilizzate altrove per un lavoro di studio - o anche per scopi espositivi - sarebbe una prospettiva certamente migliore dell'immaginarle chiuse in una stanza in attesa di un nuovo trasloco. 

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