rotate-mobile
Giovedì, 25 Aprile 2024
L'udienza

Processo "Ndrangheta stragista", il procuratore generale chiede la riapertura del dibattimento

Giuseppe Lombardo ha ricostruito per grandi linee la tesi della procura dietro la sigla "Falange armata" si nasconderebbero pezzi deviati dello Stato in stretto contatto con i boss

Quindici pezzi deviati dei Servizi segreti e il “pentagono” della cosche più potenti della ‘ndrangheta come i Papalia, i De Stefano, Coco Trovato, i Mancuso ed i Piromalli, in stretto contatto con i vertici di Cosa nostra, avrebbero destabilizzato il Paese e segnato una delle pagine più nere della storia italiana: quella riconducibile al periodo delle stragi, passando per la stagione dei sequestri di persona. E’ questa la tesi posta al centro della richiesta di riapertura del dibattimento del processo “Ndrangheta stragista, approdato in appello, sostenuta oggi dal procuratore generale Giuseppe Lombardo.

Una fase sanguinosa della seconda Repubblica che per il procuratore aggiunto della Dda reggina che sta sostenendo l’accusa nei confronti di Giuseppe Graviano e Rocco Filippone, lo Stato avrebbe potuto evitare se solo avesse letto nella giusta ottica le dichiarazioni rese dai pentiti Annunziato Romeo e Antonio Schettini nel lontano 1996.

Romeo e Schettini, 26 anni addietro, avevano già disegnato la ‘ndrangheta unitaria, la ‘ndrangheta strutturata al Nord, la ‘ndrangheta riservata, la ‘ndrangheta legata ad ambienti deviati delle Stato che è stata tracciata nelle sentenze degli anni 2000.

“Argomenti incredibilmente presenti alle autorità da oltre 20 anni - ha detto Giuseppe Lombardo - e la cui sottovalutazione dovrebbe spingerci a fare autocritica”.

Se Annunziato Romeo, nei verbali che sono stati acquisiti agli atti del processo di appello a Graviano e Filippone, spiega il ruolo di vertice nazionale della ‘ndrangheta di Mico Papalia; il napoletano Antonio Schettini, uomo di fiducia dei Papalia, spiega cosa sia la Falange armata: la sigla che compare in Italia per rivendicare le bombe stragiste e che si inserisce nella storia italiana subito dopo l’omicidio del giudice Antonino Scopelliti e in altre sette occasioni.

Una sigla, quella della Falange armata, che sarebbe stata suggerita dai Papalia a Totò Riina durante un vertice mafioso tenutosi ad Enna e recepita dal boss di Corleone per tenete sotto scacco l’Italia nei primi anni novanta.

Ma la “Falange armata”, così come ricordato dal procuratore generale Giuseppe Lombardo in udienza, non è farina del sacco della cosca Papalia, ma sarebbe stata suggerita alla cosca reggina trapiantata in Lombardia da componenti deviate dello Stato, gli stessi che avrebbero portato a compimento l’operazione di “spegnimento” del triste fenomeno dei sequestri di persona in condivisione, di idee e forse di risorse economiche, con i vertici della ‘ndrangheta reggina.

Nelle carte del processo di appello sulla “Ndrangheta stagista”, se la richiesta di riapertura del dibattimento sostenuta anche dall’avvocato Giuseppe Basile e dell’avvocato Quattrone per alcune parti civili (le difese dei due imputati, rappresentante dagli avvocati Contestabile e Staiano per Filippone e Aloisio per Graviano hanno scelto di parlare all’udienza del prossimo 2 febbraio) dovesse essere accolta, dovrebbe confluire anche il verbale reso da Antonino Parisi sull’attentato con il tritolo mai esploso a Palazzo San Giorgio. Tutto materiale probatorio raccolto in una voluminosa informativa dallo 007 del centro Dia di Reggio Calabria, Michelangelo De Stefano, che potrebbe essere sentito in aula se la richiesta del procuratore generale Giuseppe Lombardo venisse accolta.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Processo "Ndrangheta stragista", il procuratore generale chiede la riapertura del dibattimento

ReggioToday è in caricamento