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Giovedì, 25 Aprile 2024
Otto marzo / Archi

Suor Eva: "Una donna mi disse non ti avvicinare, non son degna"

La superiora delle suore Francescane alcantarine di Archi racconta il lavoro dell'Unità di strada per combattere la prostituzione

E’ qui, a Reggio Calabria, da un anno e mezzo suor Eva Furiani, superiora delle suore Francescane alcantarine di Archi.  Essere donna e suora francescana è una doppia vocazione che suor Eva porta per le strade, nel nome del poverello di Assisi per aiutare altre donne, che vivono ai margini.  E’ un cammino difficile, fatto di povertà, castità e obbedienza ma forte dell’amore di Dio. Suor Eva ha trovato la sua vocazione senza sacrificare il suo essere donna, il suo portare amore, e lo fa mettendolo al servizio degli altri.  Così ecco che qui, in questa città, ha scelto di stare in mezzo alla gente, come avrebbe fatto Francesco e lotta insieme alle sue consorelle e ai volontari nel   “portare alla luce un fenomeno che dalla strada - racconta -  si è spostato, soprattutto negli anni della pandemia, nel chiuso delle abitazioni”. 

Da anni in città, infatti, le suore alcantarine avevano messo in piedi l’Unità di strada e la sera uscivano ad incontrare le donne che si prostituivano, e venivano sfruttate.  “Da quando c’è stata la pandemia e il Covid il fenomeno è cambiato”, racconta suor Eva. “Sono qui da un anno e mezzo e ho vissuto questa cambiamento. Adesso abbiamo difficoltà ad intercettare le ragazze per poter prestare aiuto e assistenza. Alcune donne, davvero giovanissime, vorrebbero liberarsi dalla condizione di schiavitù in cui si sono trovate”.

“L’Unità di strada negli anni prima della pandemia è riuscita a salvare alcune donne, - aggiunge suor Eva - e le mie consorelle le hanno aiutate nel lungo cammino di riappropriazione della vita”. 

“Io ho iniziato ad occuparmi di questo fenomeno quando ero giovanissima, - spiega suor Eva - sono di Perugia e nei primi anni Novanta arriveranno molte donne dall’Albania e io mi interrogavo tanto. Erano ragazzine, poco più grandi di me, che finivano sulla strada. All’epoca, non conoscendo le storie e il fenomeno, ero anche molto giudicante, sbagliando. Poi avvicinandomi a queste ragazze, scoprendo le loro storie di vita, di sofferenza, ho capito e mi sono messo al loro servizio”. 

“Sono storie di dolore, di grande sofferenza - spiega suor Eva - ma ancora c’è molta disinformazione e si pensa che lo fanno “per lavoro” e guadagnino molti soldi. In realtà sono sfruttate dai loro protettori e non hanno libertà. Hanno storie di violenze e di aborti. Sono donne che hanno perso la speranza, ecco noi cerchiamo di aiutarle nel ritrovare la loro vita e la speranza. Qualcuna è riuscita a salvarsi e anche a trovare l’amore, sposandosi. Non è facile. Arrivano in Italia per cambiare vita, per aiutare i familiari e si ritrovano per strada, sfruttate”.

“Ci accostiamo a loro in maniera delicata, ma nel chiuso di un appartamento è più difficile.  Per questo ci impegniamo ad essere una piccola luce per queste donne. Pregare insieme, chiamarle per nome, stare loro accanto nel momento del bisogno, vuol dir molto per una persona che viene trattata come un oggetto”.

“In questo tempo, complice anche il covid, il fenomeno si è spostato dalla strada ai luoghi chiusi. Noi siamo qui per dire a queste donne, anche ragazze giovanissime, che non le lasciamo sole. Siamo qui per denunciare che la piaga dello sfruttamento della prostituzione, anche se sommerso, esiste e si consuma in appartamenti dove queste donne sono costrette a stare”.

casa suore francescane archi Come Unità di strada, vista la situazione post pandemia, stiamo riorganizzando il servizio, pensando anche ad attività di sensibilizzazione.

“L’abito mi aiuta nel contatto con le ragazze di strada - aggiunge suor Eva - vedendo una donna, una suora, abbassano per un attimo la loro diffidenza e ci permettono di entrare in relazione. Non è facile, per loro, fidarsi. Molte volte ci hanno raccontato che ci sono persone, vicine ai protettori, che le avvicinano fingendosi amiche per vedere se vogliono scappare e poi è una trappola e alcune di loro hanno pagato a caro prezzo questo. Ecco con noi imparano a fidarsi. Qualcuna vedendomi avvicinare mi ha detto: “No suora non stare vicino a me, non son degna” ma io sono rimasta con lei e ho spiegato che c’è sempre la possibilità di rinascere”. 

“Mi piacerebbe che tutti cominciassimo a guardare a queste ragazze, non come prostitute, ma come persone, ragazze che hanno una loro storia, personale, di sofferenza e che hanno nel cuore il loro essere giovani, con i soci di tutte le ragazze, ma che troppo spesso si infrangono bruscamente, come è accaduto anche con i migranti che hanno naufragato a Cutro. Pensiamoli come persone e aiutiamoli a potere desiderare un futuro diverso, sono nostri figli. Dobbiamo curare un’umanità ferita con la tenerezza e la parola. Noi non portiamo, subito, l’annuncio religioso, ci avviciniamo con delicatezza e stiamo loro vicine. Mi raccontano le mie consorelle e i volontari che c’è stato un momento, prima del Covid, che qui ad Archi, nella nostra casa siamo, si è organizzato un pranzo con alcune di queste donne, nigeriane, si è mangiato insieme, hanno anche cucinato i loro piatti e si è fatto festa. E’ stato un bel momento, così come lo è quando riusciamo a cantare insieme, canti religiosi, e le donne africane ballano gioiose”.

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