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Giovedì, 28 Marzo 2024
Il reportage / Centro / Via Giudecca

Storie di resistenza civile, ora di Reggio se ne occupano i reggini

Dalla Giudecca alla scuola italiana in piazza agli artisti di protesta, viaggio tra le esperienze di cittadinanza attiva che fanno lezione alla politica

A Reggio la resilienza, termine stucchevole che ha stufato tutti, non basta. No, qui il verbo giusto è quello duro e puro del resistere. La città svela microstorie di anarchia combattente, che non è illegalità ma al contrario autogestione civile. Una rivoluzione dal basso, per amore e per forza. Sarà la volta buona in cui i reggini si scrolleranno di dosso il piagnisteo e la sindrome dei deresponsabilizzati? Come in ogni cambiamento i pionieri sono cani sciolti, che aprono la pista senza lasciarsi scoraggiare.

Un anno dopo la straordinaria avventura della ripulitura della scalinata di via Giudecca, Angelina De Salvo è ottimista. “Credo che il segnale sia arrivato e le istituzioni abbiano capito. Ma come ho sempre detto, non voglio sentir dire che le colpe sono solo dell’amministrazione. Siamo noi per primi a dover crescere e occuparci dell’ambiente dove viviamo. Quando pulivamo, andavamo a casa alle 22 ma io tornavo la mattina dopo alle 7 e puntualmente trovavo nuove discariche sotto i cestini. C’è una mentalità di disinteresse difficile da sradicare”.

Servono occhi aperti sul mondo che ci circonda - ed è la nostra casa - e braccia che non sentono la fatica perché sono guidate dal cuore. Così il gesto di rinunciare a una giornata al mare per raccogliere vetri rotti diventa lezione di welfare per i politici di professione. Dopo la Giudecca, i volontari hanno liberato dall’immondizia piazzetta San Marco e soprattutto piazza Canonico, luogo simbolico intitolato al piccolo Gianluca, vittima di ‘ndrangheta a 10 anni, che nonostante la vicinanza con la scuola elementare De Amicis e la questura, versava nel degrado. I volontari hanno estirpato le erbacce e riportato verde sano con piccole piante.

“Sono un’emigrante di ritorno – dice Angelina, giornalista del segretariato regionale del ministero della cultura, promotrice del movimento spontaneo di cittadini che poi si è aggregato sui social nel gruppo Articolo 118 – ed è questo mi fa rabbia, aver visto nell’esempio del Nord quanto poco basti per non sporcare e mantenere decoro e igiene. Il nostro problema è l’indifferenza, ci stiamo svegliando ma dobbiamo diventare parte attiva. Non va cercato il soldatino da sparare, che non esiste. Bisogna smantellare un cerchio magico segnalando quello che notiamo alle istituzioni, in cui non vedo cattiva volontà. Dobbiamo collaborare, altrimenti siamo tutti colpevoli”.

La Giudecca dai volontari sulle scalinate al raduno musicale “against the machine”

L’impresa cittadina della Giudecca, tanto insolita da aver ottenuto risalto mediatico nazionale, ha avuto un ideale culmine nel grande happening musicale che lo scorso 5 agosto ha riempito le ventitré scalinate storiche con l’energia dell’hip hop nell’evento “Reggio against the Machine”. Il geniale titolo combattente se l’è inventato il rapper Kento, ospite d’onore della manifestazione organizzata tra gli altri da Alessio Laganà e che avrebbe dovuto essere sostenuta dall’amministrazione ma poi non è stata ammessa al finanziamento. Hanno fatto da soli, mettendo su un concerto fuori dalle righe, niente orpelli istituzionali ma neanche obblighi di cortesia. “E’ finita – ricorda Angelina De Salvo – che la luce ce l’ha prestata un residente del quartiere. Abbiamo fatto musica da strada, quella vera, restituendo ai giovani un luogo per ritrovarsi anche se poi, a sorpresa, l’adesione è stata di cittadini di ogni età”.

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Per Kento parlarne è un’emozione forte. “Nella mia città faccio pochissimi concerti – spiega – perché ci tengo che abbiano un significato speciale e questa volta è stato così. Sono orgoglioso di quello che siamo riusciti a fare semplicemente mettendoci insieme e con spirito di comunità, abbiamo dimostrato che non è vero che a Reggio è tutto fermo, questo è un luogo comune e lo abbiamo sfatato. E’ stata una festa bellissima – racconta - e nei giorni successivi sono stato sommerso di messaggi di ringraziamenti e complimenti… spero che sia un punto di partenza per i ragazzi che hanno questo sogno. Non è vero che fanno musica stupida, io conosco molti rapper davvero bravi ma qui partono con un decimo delle possibilità che avrebbero altrove”.

L’artista vive da anni a Roma ma non è di quelli che le origini le citano con imbarazzo, solo se costretti o smascherati dalle biografie. “Mi è capitato – scherza – di essere definito in qualche nota come rapper romano. Ecco, in quei casi mi girano e faccio correggere subito. Purtroppo chi lavora nel campo della musica deve spostarsi per avere una reale chance, questo è un fatto oggettivo, ma ci sono tanti modi di essere vicini alle proprie radici pur essendo fisicamente lontani. Ovunque io sia, sento profondamente tutte le lotte della nostra terra”. Per i giovani con un talento musicale la metropoli reggina è desolante periferia.

“Quello che mi dispiace – conclude Kento – è vedere i nostri artisti penalizzati a vantaggio di quelli di fuori, loro sì accolti e supportati dalle istituzioni, come se qui non ci fosse potenziale da far emergere. Ragazzi bravissimi che pagano la cronica assenza di punti dove suonare, per non parlare delle sale di registrazione che hanno costi per loro insostenibili. E’ il momento di investire su questi artisti, produrre i loro dischi, aiutarli a resistere e realizzare progetti. Diamo a questa generazione un’opportunità per non andare via”.   

Street art e critica sociale, i manifesti di LBS per parlare dei mali della città

city life lsb-2Vite che s’incontrano sulle barricate, sotto l’egida di valori comuni, rari e preziosi come un fiore. Meglio, come le "Fioriere solidali del Calopinace", iniziativa di Paola Nasti insieme ai gruppi Facebook "Non si jetta nenti" (gestito da Rossana Melito, seguitissima piazza virtuale di riutilizzo) e "Scambio piante, talee, consigli Calabria” di Tatiana Cilea, che la scorsa estate lanciando un passaparola social hanno invitato la popolazione a riempire con piantine grasse i grandi vasi desolatamente vuoti attorno al torrente. O come il dettato dell’articolo 118 della Costituzione italiana, scelto per rappresentare l’azione dei volontari radunati sulle scalinate storiche, secondo cui, sulla base del principio di sussidiarietà, gli enti devono favorire la l’iniziativa dei cittadini per attività di interesse collettivo.

1660985662378-2Vite che s’incontrano, sinergie illuminanti. De Salvo a febbraio nota un manifesto sulla parete del palazzo storico che ospitava il cinema Orchidea. Nell’immagine c’è il Bronzo A in versione emigrante ma al posto della valigia in una mano ha un bustone della spazzatura e nell’altra un cartello con la scritta “no future for you in this city”. L’autore è il 23enne Bruno Salvatore Latella, in arte LBS, e quell’opera viene rimossa. “Con Angelina – racconta l’artista – l’abbiamo spostata al lido, nell’area di maggiore incuria e a due passi dalle colonne di Tresoldi, la foto scattata da lei è diventata virale”.

Per LBS non è stata l’unica incursione di street art in città: “Con le mie opere ho sempre fatto critica sociale ma in passato mi occupavo di temi nazionali o mondiali, poi ho capito che Reggio li racchiude tutti e adesso mi concentro su quello che ho da dire facendolo da qui”. Tra una denuncia sulla condizione degli insegnanti, un distopico collage di topi e pistole nella “City Life” reggina, e l’Italia-gelato consumata dal governo Draghi, ora sta lavorando a un altro manifesto che presenterà a settembre, sempre in piena notte per sfuggire alle multe.

“Non è un reato penale – spiega - come i disegni con lo spray, che invece costituiscono vandalismo, ma rientra nelle affissioni abusive e sarei comunque sanzionato. Al Nord lo fanno apertamente e la polizia non interviene, ma qui so bene cosa accadrebbe. E’ molto stressante perché devo aspettare la luce del sole per fotografare velocemente il lavoro e poi andare via”.

A Reggio, che pure ha dato risalto a due mostre delle star Obey e Banski, gli street artist sono pochi. “C’è stato un interesse per il graffitismo – continua Lbs – nel 2006 sulla scia della tendenza nazionale, ma il fenomeno non è mai decollato. Un lavoro molto bello per me è quello di Ciccio Sirk, anche lui reggino ma che vive a Malta; si trova nella periferia sud e fa un parallelismo tra la nostra città e la California ambientando il celebre videogioco GTA sul lungomare di Reggio. E’ molto ben integrato con il contesto perché è adiacente ai campetti sportivi e richiama le atmosfere della cultura hip hop”. I manifesti d’arte possono infatti uscire dall’illegalità se riconosciuti come interventi di recupero urbano. “Ma la valutazione – commenta Lbs – spetta alle amministrazioni e se un’opera dà fastidio per i suoi temi è chiaro che non la approveranno mai”.

Solidarietà e cittadinanza attiva, le esperienze di Corredino Sospeso e Scuola italiana in piazza

Se gli artisti sono gli outsider, cuore pulsante di questa nuova cittadinanza attiva è l’ondata corale di un volontariato che sembra aver preso in carico il benessere della città, anche per conto dei più fragili. La solidarietà si sviluppa spontaneamente, come quando, dopo il video omofobo girato sul lungomare e gli atti di vandalismo sulle panchine dedicate ai partigiani, la risposta era stata la forza delle parole, lettura di poesie d’amore nei luoghi feriti da episodi di inciviltà, postate sui social con l’hashtag #wecare, cioè “noi ci teniamo”.

Ma gli esempi sono tanti. Il Corredino Sospeso, progetto permanente a supporto della genitorialità, è stato avviato dall’associazione no profit Pandora nel 2020 con il sostentamento dei soli soci e permette di donare materiale per l’infanzia, abiti premaman e bambino, biancheria e prodotti igienici presso la sede di via Amendola (tutti i dettagli si trovano sulla pagina Facebook dell’iniziativa). In poco più di due anni il lavoro infaticabile delle volontarie, che raccolgono le richieste di chi ha bisogno e poi segnalano ai donatori ciò che serve, è cresciuto fino a produrre una propria linea di corredini, i cui proventi di vendita finanziano le attività del gruppo, e organizzare laboratori creativi ed eventi per ragazzi e famiglie. Il loro motto è una frase di Madre Teresa: “Non possiamo fare grandi cose nella vita ma possiamo fare piccole cose con grande amore”.

Scuola italiana in piazza-2Una di queste piccole cose piene di cura è la Scuola italiana in piazza, dove insegnanti volontari insegnano la lingua ad immigrati di età e livello di alfabetizzazione eterogenei. La sede è piazza Mezzacapo, davanti alla chiesa di Sant’Agostino, e il 17 agosto hanno festeggiato due anni di attività. La genesi era stata uno studio sull’esclusione sociale di bambini e ragazzi stranieri condotta da Giorgio Furfaro, dottorando dell’Università Dante Alighieri, in alcune scuole del comune di Reggio prima e durante la pandemia. Gli esiti della ricerca saranno pubblicati nella tesi di dottorato “Interazioni tra prime e seconde generazioni di cittadini provenienti da contesti migratori nell’apprendimento di una seconda lingua”.

In quella piazza a Furfaro è venuta l’idea di una vera e propria scuola, insieme a Ida Triglia e Stefania Roetto, che è l’attuale presidente. Oggetto di convegni e conferenze, il progetto sperimentale ha vinto il premio Maria Abenante 2021 dell’Associazione Italiana Biblioteche e il San Giorgino d’oro 2022, permettendo inoltre alla piazza di essere dichiarata "civic place" dalla Fondazione Italia Sociale. “All’inizio abbiamo fatto di tutto – dice Furfaro, responsabile scientifico della scuola – e io ho usato anche le mie competenze non didattiche, apprese quando lavoravo nella consegna di mobili. Ma è ancora così, gli insegnanti, che oggi sono una ventina, svolgono molte funzioni. Istruzione ma anche pulizia e controllo della piazza, dove potrebbero arrivare anche persone intenzionate a disturbare. Devo dire che è successo raramente, anzi quelle poche volte qualcuno poi si è persino fermato ad ascoltare, interessato dalle lezioni”.

Nucleo vitale è la piazza come luogo aperto e inclusivo, dove la permanenza è autorizzata e la gestione indipendente e aconfessionale, anche quando, in inverno, si è potuto contare sull’ospitalità dei padri gesuiti. “Nella piazza non ci sono barriere – continua Furfaro – e questo favorisce la volontà di avvicinarsi, ma la peculiarità è che qui non si fa solo didattica, è un’opportunità di reciproca conoscenza. Alla fine di ogni lezione c’è uno spazio per parlare e dare vita a uno scambio multiculturale”.

Gli studenti, di più di quindici nazionalità diverse, sono utenza ma pure risorsa. Allieve siriane, russe e brasiliane, raggiunto un livello consolidato, si sono impegnate in attività di accoglienza per gli altri stranieri e poi ad insegnare la loro lingua ai volontari della scuola e altri allievi italiani. Un’esperienza da cui traggono vantaggi tutti, gli stranieri e i reggini, in una città che, secondo i dati Istat elaborati da Furfaro, nel 2020 vedeva una percentuale di occupazione della popolazione attiva molto bassa, il 39,3%, e non dovuta al Covid ma assolutamente endemica, poiché rispetto all’anno prima (39,1%) ha persino guadagnato qualcosa: “Quelli che oggi definiamo stranieri saranno i futuri cittadini di questa città ma non riusciranno neanche a riempire il vuoto lasciato dagli italiani perché il saldo migratorio di Reggio (-8 per mille nel 2020) è negativo, il terzo tra i più bassi d’Italia. Ci sono più emigrati che immigrati".

Tra le attività della scuola ci sono gruppi di lettura e percorsi didattici trasversali rivolti alle famiglie, genitori e figli ma anche nonni e nipoti. I materiali e le attrezzature arrivano da donazioni di privati e aziende, ma il carattere volontario del progetto ha la criticità di non poter impegnare a tempo pieno i docenti, che devono anche dedicarsi alle loro fonti di reddito. “Eravamo partiti con tre lezioni a settimana, oggi possiamo garantirne solo due. Alla lunga il volontariato costringe ad agire solo per organizzare le presenze senza un’evoluzione di tipo strutturale, senza poter pensare a un progetto più ampio. In questi due anni abbiamo ottenuto premi e riscontri, mi sono spesso chiesto cosa potremmo fare se almeno per uno o due noi potesse diventare un lavoro vero”.

A salvarci, insomma, saremo noi stessi. Imparando l’attenzione e riesercitando appartenenza alla città. “Io stessa – ricorda Angelina De Salvo – vivevo già da quattro anni in centro quando mi sono accorta per caso, passeggiando con il mio cane, che le scalinate, un bene culturale, non si vedevano più perché ricoperte di rifiuti”. Ma è altrettanto importante che la città si soffermi su quello che esiste di buono, offuscato da una coriacea abitudine al pessimismo. “Andate al museo – conclude – a vedere le quattro mostre sulla Magna Grecia, tutte bellissime. Se ne parla poco ma sono frutto di un lavoro eccezionale, meritano di essere visitate”.

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