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Letteratura / Cosoleto

"L'assedio" dà il via alla riedizione dell'opera omnia di Rocco Carbone per Rubbettino

Dopo essere stato protagonista del libro Premio Strega di Emanuele Trevi, lo scrittore di Cosoleto torna in libreria salvando dall'oblio i suoi romanzi

Nessuno è profeta in patria, e soprattutto non lo è mai stato Rocco Carbone. Lo scrittore di Cosoleto scomparso a 46 anni in un tragico incidente stradale è una delle voci contemporanee più significative dello scenario letterario italiano, e se ne sono accorti ovunque tranne che in Calabria. Soprattutto i nostri editori, bisogna dire. Per questo è una splendida notizia la ripubblicazione dell'opera omnia di Carbone per i tipi di Rubbettino. La prima uscita è "L'assedio", che torna in libreria con una raffinata edizione nella collana Velvet. 

L'interesse di un editore calabrese è una notizia attesa da tempo

L'interesse verso i libri di Rocco Carbone, scoperto dalla mitica casa editrice indipendente romana Theoria e poi pubblicato prevalentemente da Mondadori ma anche da Feltrinelli e dalla piccola ma apprezzata Cavallo di Ferro ("Il padre americano"), si era finora registrato soltanto fuori dalla Calabria - in particolare da Castelvecchi, che aveva avviato un progetto editoriale poi arenato tra le montagne natie dell'ombroso Rocco. Una ribalta importante è poi arrivata dalla vittoria del romanzo "Due vite" di Emanuele Trevi al Premio Strega 2021: il libro racconta infatti l'amicizia tra l'autore, Rocco Carbone e la scrittrice toscana Pia Pera, tratteggiando i temi letterari e soprattutto la personalità del romanziere reggino, che si era legato agli altri due durante una lunga parabola esistenziale tra Roma, Parigi e la Calabria (lo stesso Trevi ha origini familiari nella nostra regione, a San Nicola Arcella).

Abbiamo detto di quanto Carbone fosse apprezzato nei circoli letterari romani, grazie anche alle collaborazioni con i quotidiani Repubblica e Messaggero e sulle prestigiose riviste L'Indice, Linea d'ombra e Nuovi Argomenti (sotto l'ala protettiva di Enzo Siciliano), e di quanto lo sia ancora seppure in contesti di nicchia. E' anche vero però che la sua scrittura, cristallina nello stile, è complessa nelle tematiche, esistenziale, dolorosa, introspettiva. Insomma, dal punto di vista di un editore non è esattamente un genere commerciale. Qualcuno, a queste latitudini, lo ha persino detto brutalmente (ma a microfoni spenti, s'intende): Carbone non si vende, poi mi resta in magazzino. Lui stesso, del resto, se n'era sempre lamentato. Nonostante l'ottimo andamento editoriale (cinque libri pubblicati in meno di dieci anni) il suo cruccio era il fallimento delle grandi tirature. Frequentava a disagio la mondanità e come personaggio non si applicava affatto, però i numeri di vendita li avrebbe voluti. Pur continuando a scrivere di quella materia cupa e con quei personaggi cosmicamente tristi che per il pubblico di massa erano respingenti.

Rubbettino raccoglie invece la sfida ed è un'intuizione giusta perché, a dispetto di ogni pregiudizio sulle preferenze di facile consumo dei lettori italiani, quel "Due vite" così cervellotico e pervaso di malinconia, ha venduto benissimo. Merito della fascetta dello Strega, certo, ma il riscontro successivo fa prova. Tra chi ha letto la storia di Emanuele, Rocco e Pia, pochi hanno poi rimpianto i soldi spesi sulla fiducia del premio. Anche quelli che di Rocco Carbone non avevano mai sentito parlare, e dopo averlo scoperto sono andati a caccia dei suoi libri. Molti dei quali sono fuori catalogo. Introvabili, dispersi. Condannati all'oblio prima dell'iniziativa di Rubbettino, che ha comprato i diritti dai familiari dello scrittore, suoi eredi. Li rileggeremo tutti, dunque. Anche una rarità come "Agosto", esordio dello scrittore con Theoria.

Una scelta, quella di Rubbettino che ha pure un valore identitario: senza timore di apparire moralisti, siamo convinti che una casa editrice che ha sede in Calabria come tale dovrebbe coniugare all'interesse imprenditoriale la valorizzazione degli autori del territorio (classici ed emergenti). 

"L'assedio", romanzo distopico che evoca il periodo della pandemia

"L'assedio" fa esordire il progetto con una prefazione di Emanuele Trevi, che saluta il ritorno editoriale del collega e amico come "una splendida occasione di riscoperta di un autore tra i più originali e coinvolgenti nel panorama narrativo italiano fra tardo Novecento e inizi del nuovo millennio". Gli voleva bene, e questo affetto discontinuo e spesso litigioso Trevi lo aveva raccontato in "Due vite", dove Rocco era descritto ostinato come l’etimologia della pietra, come la terra aspromontana della natìa Cosoleto. Come quella madre severa maestra del paese e quel padre, l’ex sindaco rigoroso che in preda all’ansia calcistica spense il televisore ai figli al novantesimo della mitica semifinale Italia-Germania dei Mondiali del Settanta, poco prima del goal decisivo di Rivera.

Un uomo pieno di spigoli e asprezze - fisionomiche e caratteriali - ma, dice Trevi, secondo gli antichi alchimisti “non esiste in natura nulla di piú psichico delle pietre e dei metalli”. Rocco ne aveva due, nel nome e nel destino. Una personalità ostica, quello che definiremmo un caratteraccio, e nonostante questo, come ricorda Emanuele Trevi, era suo malgrado socialmente richiesto, aveva molti amici e amò molte donne, tra passioni viscerali e repentini allontanamenti. Per la prima volta lo scrittore Premio Strega ha nominato questa mutevolezza come disturbo psichico. Carbone fu bipolare, e in seguito a una follia amorosa più eccessiva delle altre (che avrebbe poi ispirato il bellissimo "L'apparizione") decise di andare in terapia - o meglio, come racconta Trevi, vi fu letteralmente trascinato dagli amici. 

libro carbone

"L'assedio" era stato pubblicato per la prima volta da Feltrinelli nel 1998: è un romanzo distopico scelto come primo titolo dell'opera omnia ritrovata di Rubbettino per la particolarità della trama, che appare profetica della pandemia.

La storia si svolge nella città indefinita di R. (ma la descrizione di scalinate e salite e un litorale circondato da alture fa pensare a Reggio), dove il protagonista Saverio Morabito una mattina si sveglia sotto "un cielo basso, ostile, inspiegabilmente giallo". Da quel momento niente sarà più come prima. Una pioggia di cenere lascia la città senza acqua, cibo ed elettricità. Un irrazionale istinto instilla nel protagonista la certezza che accadrà qualcosa di terribile. L'atmosfera della narrazione è di angosciante ineluttabilità. Esiste un pericolo incombente e nessuno è in grado di scappare. E poiché la città non ha nome né confini certi, si fa strada la spaventosa idea che quello stato di paura e morte permanga anche fuori da lì.

Nel romanzo i personaggi, guidati dall'istinto di sopravvivenza, lasciano emergere un sé violento e cattivo, o sono tormentati dal dilemma tra bene e male, i confini diventano indistinti. Il finale della storia è risolutivo ma non nel modo che possa rasserenare il lettore. Nessuno crede che davvero adesso andrà tutto bene, e il dolore non ha reso gli uomini migliori (ci ricorda qualcosa?)

"L'assedio" fa tornare alla mente "Cecità", il capolavoro di José Saramago, ma le due scritture sono diversissime: il Nobel portoghese è empatico con l'umanità dei suoi romanzi, Carbone oscuro e fatale. 

L'augurio è che la nuova edizione di questo libro - uno dei primi di Rocco Carbone - faccia da apripista per tributare la giusta attenzione in terra calabrese ad un autore a torto dimenticato (niente di rilevante è stato fatto per celebrarlo neanche nel decennale della morte). Una nota meritoria in questo sconfinato deserto di silenzio va citata per i due adattamenti teatrali da "Libera i miei nemici" e "L'apparizione", portati in scena per la regia di Basilio Musolino.

Il resto forse inizia adesso. Carbone viveva però un rapporto di amore e odio non soltanto verso la Calabria, ma complessivamente nei confronti del temperamento meridionale. A Roma provò antipatia a pelle per Eduardo De Filippo, con il quale aveva studiato, e invece si sentiva più simile al commissario Ingravallo di Gadda, con il suo meridionalismo pessimista. "In lui la capacità di godere era pari a quella di soffrire”, dice Trevi: sentimenti entrambi congeniti e irrinunciabili, che incarnavano la sua aspirazione a un’ascesa sociale ritenuta irrealizzabile a causa del marchio d’inferiorità delle origini. Rocco, se fosse qui, dalla sua terra non si aspetterebbe nulla, né onori né memoria. Ed è per questo che, sebbene con il dolce e languido ritardo dei ricordi postumi, dobbiamo parlarne.

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