Allarme stereotipi di genere nelle sentenze giudiziarie
Giselda Stella, giudice del Tribunale reggino, spiega le cause della vittimizzazione secondaria nei processi civili e penali
La giustizia italiana continua ad essere malata di stereotipi di genere. Lo sappiamo nell'eco di scalpore mediatico suscitato da alcune sentenze che trasformano la donna da soggetto leso a coimputata o assolvono i violenti con motivazioni sessiste, ma le cause di questo fenomeno sono profonde e radicate. Se n'è parlato nel seminario di studi tenuto ieri presso l'Università per stranieri Dante Alighieri per iniziativa della struttura territoriale reggina della Scuola Superiore della Magistratura sul tema della tutela dei soggetti vulnerabili - cioè donne e minori, per i quali un sistema giuridico ormai solido sul fronte del contrasto e la repressione dei reati di violenza si infrange contro il muro di gomma di giudizi dove impera la vittimizzazione secondaria.
A fare un'analisi del fenomeno è stata Giselda Stella, giudice del Tribunale di Reggio, rilevando uno scollamento tra la realtà e le decisioni giudiziarie nei processi penali e civili su violenza di genere e domestica. "In proposito - afferma - esistono varie sanzioni comunitarie comminate dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, dalle quali si evince come molte sentenze italiane sono basate su valutazioni non agganciate ai dati reali, ad esempio che prendono in considerazione la prima reazione delle vittime, con l'idea che laddove non ci sia una risposta pronta, non si configuri violenza. Invece gli studi clinici e psichici dimostrano chiaramente che durante la violenza le vittime sono in uno stato di paralisi, simile alla tanatosi degli animali che nelle situazioni di pericolo si fingono morti. La reazione vera arriva in seguito, alla distanza".
La vittimizzazione secondaria delle donne, colpevolizzate per l'abuso subito come se fosse in parte o del tutto dovuto a propria responsabilità, è strettamente legata agli stereotipi di genere. E sconcerta sapere che s'insinuino anche nelle decisioni dei giudici, eppure è davvero così. "Magistrati e magistrate - continua la dottoressa Stella - sono ancora immersi nel modello patriarcale basato su una differenza naturalistica tra uomo e donna che fa da presupposto all'inferiorità femminile e alla presunzione di una minore attitudine delle donne verso la vita pubblica e la loro maggiore inclinazione verso compiti di cura". Non è solo pregiudizio ma si traduce in una struttura sociale consolidata, che le statistiche confermano ogni anno. "Il 97% dei posti di lavoro persi durante pandemia - dice Giselda Stella - riguarda lavoratrici donne che con la chiusura di scuole e rsa hanno dovuto sopportare il carico di figli e genitori non autosufficienti, ma anche i settori lavorativi sono in questa proiezione perché la maggior parte della donne continua ad operare nell'insegnamento e nell'assistenza a minori, anziani e disabili ed ad avere salari più bassi. Il 33% di loro sono costrette a scegliere contratti part time, il 50% non lavora e il 60% non ha indipendenza economica nè un proprio conto corrente".
Se nel processo penale gli stereotipi rimandano a un immaginario desueto e irreale di donna reputando poco credibile la denuncia di coloro che si discostino da quella figura, il civile derubrica la violenza domestica a conflittualità nelle dinamiche di coppia. "C'è già un errore di fondo - continua la magistrata - perché la conflittualità coinvolge due parti, mentre la violenza nasce da uno squilibrio. E un altro giudizio stereotipato non riconosce il fatto che un genitore maltrattante sia anche un cattivo genitore. E' stato invece riscontrato stress post traumatico in bambini che avevano vissuto con un soggetto violento, oltre che tendenza futura a ripetere quel tipo di comportamento da adulti. Ma la donna che si oppone al diritto di visita non protetta dell'ex coniuge violento, anche sulla base del rifiuto dei figli di vederlo, è accusata di essere genitore non collaborante".
Nella sua esperienza civilistica, la dottoressa Stella ha notato ramificazioni di stereotipi anche al di fuori delle cause di separazione: "Mi è capitato un caso di Medea al contrario, quando di recente ho deciso su un risarcimento danni chiesto da un figlio al padre che lo aveva completamente cancellato dalla sua vita per vendetta contro la madre che aveva voluto separarsi. Sono tantissime le situazioni di questo tipo, la violenza non è soltanto quella che produce lividi ma anche la svalutazione della donna nel ruolo materno davanti ai figli, o l'allontamento dalla famiglia di origine e dalla cerchia di amici per isolarla. E questo non è classificabile in fattispecie di reato, ma è da lì che inizia la violenza".
La magistrata cita alcuni casi eclatanti di sentenze stigmatizzate dalla corte europea. Dettagli umilianti dello svolgimento degli stupri, vittime non credute perché in età e poco avvenenti: "Le domande sulla vita privata seguono il modello patriarcale. Una donna sessualmente attiva non può essere vittima, uno stupratore giovane e bello non è plausibile che non abbia il consenso di una donna magari non altrettanto piacente, e così via. La nostra giustizia - continua la dottoressa Stella - risente ancora di un sistema normativo che fino al 1981 contemplava il delitto per causa d'onore, puniva l'adulterio della donna con il carcere e ammetteva il matrimonio riparatore senza consenso dopo uno stupro, con l'obiettivo di risocializzare la donna bollata e liberare di ogni responsabilità il violento. Il vecchio diritto di famiglia vedeva l'uomo come capofamiglia titolare di uno ius corrigendi nei confronti di moglie e figli. In fondo il nostro diritto deriva da quello romano, e la dea a cui erano devote le donne nell'antica Roma era Tacita Muta, divinità del silenzio. Evidentemente queste cose non ce le siamo ancora dimenticate"
Al Sud tutto si aggrava. "Ma non perché ci sia più violenza - precisa Giselda Stella - piuttosto al Nord le donne si sentono più protette dalla rete sociale e dei centri antiviolenza, e denunciano maggiormente. Anche le forze dell'ordine lì sono presenti in modo capillare e i giudici hanno una formazione anche sul versante psicosociale. La violenza in sé è però trasversale e riguarda tutte le aree geografiche e fasce di istruzione ed economiche".
Nel corso del seminario è stato presentato il volume Vulnerabilità e diritti umani - Strumenti e percorsi di tutela di Francesca Panuccio Dattola e Tiziana Amodeo, che esamina le situazioni di fragilità sociale riferita alle donne e i minori individuando nuovi modelli di genitorialità orientati all'inclusione e il rispetto dell'autodeterminazione. "E' importante agire sulla formazione - conclude la dottoressa Stella - e coniugare a norme repressive sempre più severe un lavoro di sensibilizzazione nelle scuole a partire dai giovanissimi, con un investimento statale adeguato in questo senso. Solo così possiamo educare le prossime generazioni ed eradicare gli stereotipi".