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Venerdì, 29 Marzo 2024
Cronaca

Solidarietà e speranza, la storia del clochard Giovanni

Il suo vero nome era Violan, viveva tra l'immondizia alla Stazione centrale di Reggio Calabria. L'incontro con Bruna Mangiola e i volontari della Caritas gli ha cambiato la vita

Per tutti, il periodo delle feste natalizie è ricco di stress per via delle tante cose da fare: regali, preparativi, la spesa per cene e pranzi infiniti. Eppure, tra la folla concitata e l’euforia, ai margini delle strade o sotto un ponte c’è qualcuno che ‘viaggia ad un'altra velocità e ci guarda e prova ad attirare la nostra attenzione

Spesso troppo presi da noi stessi e dai nostri problemi non ci fermiamo a chiedere o anche solo a guardare chi ci sta ai margini della società, chi ci è accanto ed è in difficoltà. E tiriamo avanti per la nostra strada. C’è però chi dall’altra parte non si gira, c’è chi un ‘no’ non lo sente ne tanto meno lo accetta e decide di dedicare tutto il proprio tempo per aiutare chi è in difficoltà e chi, avvolte, questo aiuto non lo vuole o non sa di volerlo. Sono i volontari della help center la Casa di Lena, promossa dalla Caritas diocesana di Reggio Calabria e che riunisce un partenariato costituito da diversi enti che operano nella Città.  

L' help center nasce da due distinte esperienze realizzate in città: quella di un gruppo spontaneo di volontari, che ha iniziato a realizzare accoglienza dei migranti che arrivano attraverso gli sbarchi e la mensa di strada che un ulteriore gruppo di volontari porta avanti da anni. La scelta di una sede nella Stazione centrale nasce dal bisogno di osservare da vicino i bisogni ed avere contezza di una presenza nutrita di homeless in città.

Questa esigenza ha fatto maturare l’idea della necessità di una vicinanza e di un servizio strutturato, localizzato in un luogo fisico, funzionale ad un aiuto continuativo a coloro che vivono situazioni di emergenza e che hanno fatto della strada il loro ambiente di vita. Chiacchierando con Bruna Mangiola, una delle responsabili della Casa di Lena, mentre chiacchieriamo un po’ delle attività dell’help center, ci facciamo raccontare da Bruna, cosa significa aiutare gli altri. Bruna ci racconta delle tante difficoltà  ma anche delle tante gioie, della frustrazione e del rammarico che la pervade quando non riesce a tirare fuori da questa condizione le persone che incontra e della gioia e dell’immensa gratificazione che si prova quando invece “riusciamo a ridare dignità a chi l’aveva persa per strada”.

Tra le tante storie che le vengono in mente, Bruna ci raccota quella che le è rimasta più in pressa e che la fa sorridere ogni volta per la “fatica fatta e i risultati raggiunti”. “Mi ricordo di Violar, ma lui si faceva chiamare Giovanni. Era un clochard marocchino, che si era ritagliato un angolino proprio alla stazione. Ricordo ancora che aveva tutta la sua roba, il suo ‘letto’ in mezzo alla spazzatura e accanto un comodino. Si era fatto una cameretta all'aperto (ride n.d.r)".

"Ho ancora quella scena davanti agli occhi se ci ripenso- dice Bruna- non la dimenticherò mai, alcuni volontari ci avevano segnalato la presenza di quest’uomo già grande d'età che si era stabilito li e non aveva nessuna intenzione di spostarsi. Giovanni aveva un grande problema di alcolismo e non aveva nessuna intenzione di smettere. Non parlava moltissimo, le prime volte andarono alcuni volontari per cercare di convincerlo almeno a fargli fare una doccia, consumare un pasto caldo. Una scenetta che si ripetee per mesi, non riuscivamo a schidarlo da li”.

“Niente –prosegue Bruna- alla fine mi ero seccata, anche perché Giovanni aveva parecchi problemi di salute e doveva essere curato. Ma lui nulla, non voleva lasciare il suo posto, oltretutto, in quel periodo avevamo anche difficoltà a trovare un posto dove sistemarlo”. Perché difficoltà? “Chiesi a tutte le strutture ma non c’era posto da nessuna parte, poi mi rivolsi alle suore di Madre Teresa, se mi potevano aiutare, loro mi risposero che non potevano, in più Giovanni, dalle suore non voleva andare assolutamente, perché temeva per la sua religione e che le suore lo facessero convertire, quindi non sapevamo cosa fare”.

Le difficoltà però non hanno fermato ne la combattiva Bruna ne i suoi volontari, infatti, un bel giorno ci dice “eravamo finalmente riusciti a convincere le suore di Madre Teresa ad ospitare Giovanni o, almeno a fagli fare una doccia e dargli un cambio di abiti. Qui ho detto davvero: “Dio ci ha aiutati”. Adesso, il problema era tutto nel convincere Giovanni. Qui per la prima volta mi sono arrabbiata e sono andata io da Giovanni è l’ho ‘letteralmente’ fatto prendere con la forza, gli ho detto: “basta devi andare a lavarti” (ride n.d.r.)”. 

 Giovanni rimase dalle suore di Madre Teresa per quasi cinque anni. Era un uomo che portava i segni di una vita difficile con una condizioen di salute già precaria, l'incontro con Bruna e gli altri volontari della caritas regalarono a Giovanni anni di sobrietà e di serentià.  “Quella di Giovanni è una delle storie che preferisco –dice Bruna-  riuscimmo almeno per gli ultimi suoi anni di vita a regalargli dei bei momenti e un tetto sulla testa. Ecco perché mi piace fare quello che faccio –conclude Bruna- per avere tanti Giovanni da chiamare e vedere fuori dal tunnell nel quale sono finiti”.

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