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Giovedì, 18 Aprile 2024
La storia

Riaffermazione di genere, crescono le richieste ma non i servizi

L'esperienza di una transgender reggina, che dopo il lungo stop per il Covid, oggi ha iniziato il percorso a Roma

"Donna lo sono da sempre, per essere femmina dovrò compiere un percorso, che finalmente sta partendo". Chiameremo Sara la giovane transgender reggina che ci racconta la sua esperienza. Dopo vari cambi di medici e la pausa forzata della pandemia, oggi abita a Roma dove inizierà la terapia, ma a Reggio negli ultimi sette anni non è mai riuscita a farsi seguire, facendo la pendolare sanitaria a Messina. 

La sanità calabrese non è strutturata per i percorsi di riaffermazione di genere e quasi tutti gli utenti finiscono per rivolgersi altrove, in altre regioni. Nel generale scenario di emergenza del settore potrebbe sembrare un'ovvietà, ma il tema sta emergendo anche nella nostra provincia, dove si osserva una maggiore richiesta di questo tipo di servizio sanitario.

In questo percorso, che tocca aspetti medici e legali, il punto di riferimento per le persone transgender è sempre l'associazionismo. In Calabria l'assistenza a chi vuole intraprendere la riaffermazione è uno dei servizi offerti dal Centro contro le discriminazioni LGBTQIA+ e, ci dice Michela Calabrò, presidente del comitato Arcigay I Due Mari di Reggio, associazione capofila del progetto, è anche tra quelli che presentano più criticità, proprio per la mancanza di interlocutori pubblici. "Va detto che si tratta di una situazione generale italiana  - spiega Calabrò - alcune difficoltà le ha avute anche l'attivista Christian Cristalli, che vive a Bologna. In Calabria purtroppo, nella nostra sanità, i disagi sono molto amplificati".

Una nuova consapevolezza negli ultimi mesi sta portando al Centro molti giovani che chiedono supporto nel loro progetto legato all'identità di genere, anche affiancati dalle famiglie. "Un ragazzo - racconta la presidente Arcigay cittadina - è arrivato accompagnato dal padre, che è favorevole all'inizio del percorso ma vuole che il figlio sia parte attiva e si responsabilizzi, così come facciamo anche noi con gli utenti". Nel Centro è possibile avere consulenza legale, colloqui psicologici e contatti come la segnalazione di professionisti, a cui poi ci si può rivolgere per intraprendere i trattamenti sanitari, anche privatamente.

Ma la differenza tra pubblico e privato esiste, ed è nella sostenibilità economica. Da tre anni, grazie a una delibera dell'Aifa, le spese per le cure ormonali sostitutive seguite dall'endocrinologo, la terapia con lo psicoterapeuta e persino l'intervento chirurgico sono coperte dal servizio sanitario nazionale, ma in mancanza di figure professionali preparate per questo specifico percorso, molte persone trans si rivolgono al privato. Non tutti, però, possono affrontare questi costi.

Il percorso di Sara, interrotto dal Covid e oggi ripreso a Roma

Sara è un nome di fantasia, ma non perché la transgender reggina con cui abbiamo parlato voglia nascondersi. Amici e gran parte della famiglia sono a conoscenza della sua scelta di riaffermazione di genere, e il motivo per il quale in questo momento preferisce restare anonima è il desiderio di aspettare i primi esiti del trattamento, quando l'immagine del suo corpo sarà più vicina a chi è lei, cioè una donna, anche se nata biologicamente maschio.

Da alcuni mesi Sara vive e lavora a Roma per un motivo bellissimo, l'amore per la fidanzata. Attraverso l'associazione Libellula ha appena ripreso un percorso che era stata costretta a interrompere per tre anni, nello stop forzato del Covid. E' un microcosmo rimasto nell'ombra e poco raccontato, ma la pandemia ha colpito duramente anche chi stava seguendo terapie ormonali per la transizione di genere, che si è visto bloccare tutto. Sara, 36 anni, aveva iniziato il percorso al policlinico di Messina: paradossalmente per i reggini è più facile da raggiungere rispetto alle sedi ospedaliere calabresi dove, almeno sulla carta, si erogano alcuni dei servizi sanitari specifici (Cosenza e Catanzaro), inoltre l'ospedale messinese è anche uno dei pochi in Italia ad applicare il protocollo Wpath, meno medicalizzato rispetto allo standard Onig. Ma Sara lì non si è sentita a suo agio. "Prima che chiudessero per il Covid - dice - sono riuscita a fare soltanto alcuni test psicologici di modello vecchissimo, che per me erano troppo mirati a valutare la mia sanità mentale, insomma per capire se ci stavo con la testa. La disforia di genere non è una malattia mentale e infatti oggi è stata depatologizzata dai manuali, ed è classificata come un disturbo della salute sessuale". 

Sara si è accorta di essere una donna in un corpo biologico non suo a 10 anni e nell'adolescenza era già certa di voler diventare femmina. "Avrei voluto dirlo subito a casa - ricorda - ma i miei genitori stavano attraversando un momento difficile e poi si sono separati. Non volevo dare un'altra preoccupazione a mia madre, credevo che avrebbe sofferto. Così mi sono comportata a lungo come un maschio cis". A 29 anni ha maturato la decisione di fare coming out: "Mia madre ha reagito bene, l'unica ad aver bisogno di più tempo per abituarsi all'idea è stata mia sorella"

Già in contatto con l'endocrinologo per le visite e la prescrizione dei farmaci, ora nel suo futuro Sara vede con certezza il completamento della transizione. Ma come moltissime persone trans, se riuscirà ad avere il budget necessario lo farà all'estero. "Si va soprattutto in Thailandia - spiega - dove sono bravissimi. Sarebbe meglio non pagare, ma sinceramente qui non ho fiducia, un'operazione in Italia è troppo rischiosa".

Donna per identità di genere, Sara si definisce di orientamento pansessuale, sebbene maggiormente attratta dalle donne. "Alla mia ragazza - scherza - dico sempre che l'unico uomo che mi piace è Thor. Per il resto, lei sa che la amo e non ho altri interessi". Quando Sara diventerà femmina, teme che le cose cambieranno da parte della fidanzata, che l'ha conosciuta com'è adesso? "No. Lei sa qual è il mio obiettivo e mi sostiene. Ama me e io sarò sempre io". 

Il clima di transfobia con cui le persone T fanno i conti ogni giorno - nonostante qualcuno neghi la portata del fenomeno - s'insinua tra battute becere e approcci sgradevoli nelle chat: "Mi arrivano messaggi espliciti da parte di uomini che vedono i miei profili social. Io li cestino immediatamente, lo farei anche se fossi single perché si tratta di persone che considerano le transgender soltanto come oggetti sessuali. In questo senso moltissimi uomini sono davvero ossessionati da noi". 

Si abbassa l'età delle richieste per la riaffermazione di genere

Prima di approdare a Messina, Sara era stata indirizzata allo Sportello Trans, progetto attivato in città nel 2015, che però sette anni fa, esauriti i fondi stanziati, aveva chiuso in mancanza di nuovi finanziamenti. Quei servizi a sportello oggi sono in parte confluiti nell'attività del Centro contro le discriminazioni, finanziato dall'Unar (ufficio nazionale anti discriminazione razziale) della presidenza del Consiglio dei Ministri dipartimento pari opportunità. Il bilancio di quasi un anno di presenza sul territorio è molto soddisfacente, con centinaia di istanze da parte della comunità e la creazione di una rete con le istituzioni e le associazioni (Arci, Agedo, Cisme). Arcigay è ora in attesa del nuovo bando, di prossima pubblicazione: i risultati positivi ottenuti confortano sulla possibilità di proseguire il progetto, e per lavorare con più ampio respiro l'associazione si auspica che la durata sia estesa da 12 a 18 mesi con la previsione di una proroga. 

Oggi è in programma un'iniziativa a cui il Centro tiene molto, la somministrazione gratuita di test Hiv da parte di personale dell'Asp, che si terrà nella sede di via Emilio Cuzzocrea (che è un bene confiscato). "Su questo fronte siamo intervenuti su una situazione gravissima", dice ancora Michela Calabrò. "Quando abbiamo iniziato il ministero indicava il solo Gom come luogo in cui si potevano svolgere i test, ignorando l'Asp di via Willermin, non c'erano nemmeno i numeri di telefono. I rapporti che abbiamo costruito con l'azienda sanitaria e il dipartimento di prevenzione ci consentono oggi di organizzare un open day e portare da noi i medici per effettuare i test, è un bel cambiamento".

Sulla riaffermazione di genere, l'avvocata Silvia Martino, che collabora con il Centro, nota un abbassamento dell'età degli utenti calabresi che si rivolgono al servizio per avere informazioni sui documenti necessari per le modifiche anagrafiche: "Il dibattito sui media e anche sui social aiuta a prendere consapevolezza della disforia più precocemente, perché se ne parla molto e ci si confronta con altre esperienze. Putroppo i ragazzi qui sono molto disorientati perché non sanno a chi rivolgersi. Nel pubblico in Calabria non c'è nulla, e spesso anche i privati preparati in questa materia sono professionisti di fuori regione". 

La Cassazione ha recentemente ammesso il cambio anagrafico di sesso anche in assenza dell'intervento chirurgico, dimostrando però una disforia che, si legge nella sentenza, sia "risultato di un'elaborazione sofferta e personale della propria identità di genere realizzata con il sostegno di trattamenti medici e psicologici". A stabilirlo è sempre l'autorizzazione del giudice e, dice ancora Silvia Martino, "se c'è documentazione del professionista privato in molti casi è richiesta la perizia di un Ctu, ma capita anche che un consulente non accetti l'incarico perché, non ritenendosi competente, pensa di influire negativamente sul provvedimento del giudice. E' capitato con un ragazzo che abbiamo assistito". 

Nonostante gli ostacoli di una procedura lunga e complessa, le persone transgender che chiedono supporto legale al Centro reggino sono però predisposte al cambio di sesso chirurgico. "Hanno entrambi gli obiettivi, anagrafico e fisico - conclude l'avvocata - ma sono preparati al fatto che dovranno andare fuori". 

Almeno fino a quando, grazie al lavoro di associazioni e attivisti, si riuscirà a rendere strutturali questi tipi di prestazioni nel sistema sanitario regionale. Parliamo di medicina, però sappiamo che alla base c'è un cambiamento culturale, che sottende alla scelta da parte dei professionisti di specializzarsi e aggiornarsi per seguire chi porta avanti questo percorso. Ma non si può fare a meno di chiedersi quanto inciderebbe anche su questo in Calabria il modello di autonomia differenziata

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