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Mostra del Cinema

Amelio conquista pubblico e stampa: "Il mio film è una grande storia d'amore"

"Il signore delle formiche", in concorso a Venezia, da domani esce nelle sale. E il regista confessa di aver vissuto un sentimento come quello di Aldo Braibanti

Una storia d’amore tormentata e molto autobiografica, dove Aldo Braibanti è anche Gianni Amelio. Così il regista parla del suo “Il signore delle formiche”, in concorso alla Mostra del cinema di Venezia e in uscita domani nelle sale italiane. Ieri al Lido è stato il giorno della proiezione ufficiale, con un red carpet caloroso e sottolineato dalla musica rock americana d'epoca che si ascolta nella colonna sonora del film.

In conferenza stampa Amelio si sottrae al dibattito sul tema che ha ispirato la pellicola - il processo che alla fine degli anni Sessanta vide l'intellettuale emiliano Braibanti accusato di plagio e condannato nell’unica applicazione penale del reato previsto nel codice fascista Rocco. In realtà ad essere punita fu l’omosessualità del poeta e drammaturgo e il suo legame con un giovane allievo, la cui famiglia non accettava una scelta di vita scandalosa per i tempi.

Amelio precisa però che qui non si racconta il clamoroso caso giudiziario, che fece epoca (e avrebbe poi condotto all’abolizione del reato, nell’81, grazie al partito radicale), ma piuttosto “il grandissimo amore tra un uomo e un ragazzo perché l'omosessualità è amore; Aldo si era innamorato come lo sono anch’io, mi è andata meglio perché lui è finito in galera, però io sono rinchiuso nel mio carcere personale”.

Un’esperienza emotiva potente e dolorosa che gli appartiene e vuole raccontarlo apertamente: il regista calabrese fa capire di conoscere questo tipo amore, nato proprio durante le riprese, in un'osmosi tra cinema e vita vera. In questo film Gianni Amelio ha dato il massimo, ma chiarisce un equivoco: “Come regista sono professionalmente felice del risultato, credo sia il mio lavoro migliore. Ma sono infelice ma per motivi privati, perché mi sono identificato nella fragilità di Aldo, ho vissuto su di me tutta la sua storia d’amore e penso che questo abbia giovato al film, però non a me. Mi è rimasto addosso un senso di infelicità che ancora non se ne va”.

Nel cast guidato da Luigi Lo Cascio ci sono Elio Germano, il giovane Leonardo Maltese, Anna Caterina Antonacci e Sara Serraiocco. Lo Cascio ha spiegato di essere stato colpito dagli aspetti contrastanti della personalità di Braibanti: “In lui c’era un’enorme sproporzione tra la grandezza della sua arte e l’essere un uomo fragile nelle questioni sentimentali, la sua gelosia, la sua scelta di non difendersi dalle accuse e chiudersi nel silenzio. Ho indagato questo suo lato enigmatico e mi sono dato le mie risposte. Per diventare Braibanti ho dovuto cercarlo, ma non so se l’ho davvero trovato”.

L’esordiente Maltese, che interpreta Ettore, ha detto di essersi sentito protetto sul set e di aver imparato tanto dal regista (che lo definisce un “miracolo” di talento) e dagli altri attori. Germano nel film è un cronista che svela ipocrisie e aberrazioni di quel processo, rischiando la censura. “Il mio personaggio è una figura contemporanea – ha detto Elio Germano – perché rappresenta la contrapposizione molto attuale tra passione e profitto. Chi segue le passioni è un po’ un fuoriuscito e si muove in direzione opposta a quella dominante dell’arrivismo e la ricerca del guadagno. A questo film tengo molto perché parla dell’Italia di oggi, di diritti. Io mi sono sempre sentito diverso e mi rispecchio pienamente nella storia”.

Il racconto del processo Braibanti contrappone l'amore all'odiosa opinione pubblica di un'Italia bigotta, dove gli omosessuali era considerati affetti da una malattia da nascondere con vergogna e redimere. Il regista ricorda come qualcosa del genere la sentì dire da ragazzo, e quel ricordo l'ha messo oggi nel film, dove a parlare di "invertiti da curare" è un personaggio che si esprime in dialetto calabrese.

In conferenza stampa erano presenti anche i produttori, tra cui Simone Gattoni della Kavac di Marco Bellocchio. Con lui Amelio ha ricordato come è nato il progetto: “Potrei fare retorica e dire che l’ho concepito nella mia testa, come una geniale illuminazione, ma la verità è che ormai faccio film solo se me li propongono, alla mia età ne ho diritto.

Bellocchio voleva un documentario su Braibanti perché io avevo fatto ‘Felice chi è diverso’ e mi considerava ferrato nella materia, ma io non sono mai riuscito ad incontrare Aldo pur avendolo programmato, lui stava male e non abbiamo fatto in tempo. Ero stato due volte a vedere il processo, allora avevo 23 anni, e ho anche manifestato in strada. Poi avevo soltanto alcuni suoi scritti sulle formiche - ha continuato - così risposi che quella cosa non sapevo farla e che invece avrei voluto fare un film. Mi hanno richiamato dicendo che il film era aggiudicato, e io sono tornato lì solo perché mi hanno pagato il taxi... io mi muovo con i mezzi pubblici e non sarei mai andato due volte sulla Nomentana, dove c’è la società di Bellocchio!”

Sceneggiatori del film insieme a Gianni Amelio sono Edoardo Petti e Federico Fava, “due sconosciuti – spiega il cineasta – bravissimi, non avrei mai lavorato con grandi nomi perché credo che non abbiano l’entusiasmo giusto”. Quello che nel Signore delle formiche è una corrente fortissima tra i protagonisti. Il maestro e l’allievo sono caratteri ricorrenti in tutta l’opera del regista calabrese (vincitore a Venezia nel 98 con Così ridevano), sin dal suo giovanile La città del Sole, dedicato all'opera di Tommaso Campanella. Oltre i pregiudizi e la distanza generazionale, è un rapporto fatto di vitalità, purezza e infinite scoperte d'amore: “Il film è tutto lì, negli sguardi che si scambiano quei due”.

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