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Giovedì, 28 Marzo 2024
Politica

Falcomatà accusa i giornalisti, la replica del sindacato: "Libertà di stampa non è licenza di diffamare"

La vicenda è esplosa dopo la pubblicazione di un articolo nel quale veniva reso nota l'assegnazione di due incarichi per la riqualificazione di Palazzo Campanella al congato del primo cittadino

Ormai abituati alla velocià della comunicazione, grazie ai social media, non desta poi così scalpore il naturale 'botta e risposta' che può esistere tra un personaggio pubblico e chi si occupa di informazione. Leggere, quindi, dell’ennesimo battibecco che si sta profilando in queste ore tra il primo cittadino di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà e il sindacato dei giornalisti della Calabria e il gruppo cronisti “Franco Cipriani”, non susciterebbe poi così tanto interesse, se non fosse per alcune spiacevoli ‘accuse’ mosse. 

Oggetto del contendere è l’articolo a firma del giornalista Piero Gaeta, pubblicato sul quotidiano Gazzetta del Sud, nel quale si rendeva noto che il dirigente del settore tecnico del consiglio regionale della Calabria, Maurizio Priolo ha affidato un incarico diretto, inerente alla "redazione dei progetti di fattibilità tecnica per la riqualificazione di Palazzo Campanella", all’ingegnere Antonino Monorchio. Sin qui, nulla di strano, se non fosse che, Monorchio è niente di meno che il cognato del sindaco.

La notizia pubblicata il 18 gennaio, in breve tempo, è rimbalzata su tutte le testate giornalistiche locali ‘infastidendo’ non poco il primo cittadino che, per tutta risposta, ha pubblicato un lungo post sul suo profilo Facebook, ribattendo punto su punto alle ‘presunte accuse diffamatorie’ del giornalista.

Parliamo di ‘presunzione di reato’, perché, quello di cui l’avvocato Falcomatà, non solo l’autore del pezzo incriminato, ma l’intera categoria è di non poco conto. Per il reato di ‘diffamazione a mezzo stampa, infatti, secondo il Codice Penale è punibile con la reclusione da 6 a 3 anni (per i casi più gravi) o con una multa che non può essere inferiore ai 516 euro. 

Falcomatà, nel suo dettagliato post che titola “La delegittimazione è l’arma delle ‘ndrine”, spiega che la notizia apparsa sul giornale e ripresa da altre testate giornalistiche, “ha scatenato indignazione e violenza verbale sui social verso di me e verso la mia famiglia, per come questa "notizia" è stata riportata”.

Prosegue, spiegando qual è l’iter e le short list di cui si dotano le pubbliche amministrazioni, per l’esercizio delle loro funzioni,  ed il reclutamento di professionisti esterni. Spiegato questo essenziale passaggio, il sindaco, aggiunge che “Antonio (il cognato), in oltre dieci anni, non ha avuto un solo incarico” e aggiunge e chiede: “E' questo il modo di fare informazione? Questa città ha subito negli anni un saccheggio politico-affaristico-mafioso che sembra essere stato dimenticato”.

E ricorda che “la città si lecca ancora le ferite che hanno provocato lo scioglimento del Comune, l'infiltrazione mafiosa all'interno delle società di servizi”. “Chi amministra gli enti locali, soprattutto dalle nostre parti e soprattutto oggi, lo fa senza alcuna convenienza economica e mettendo a rischio la propria professione”. E ancora, “Non è corretto –sottolinea Falcomatà- però che lo stesso prezzo lo debba pagare chi ti sta accanto che, per evitare di finire sui giornali, dovrebbe mettere da parte anni di studio e sacrifici personali perché ha la sola colpa di volerti bene e starti accanto”.

Difesa la ‘limpidezza del suo operato e la dignità della sua famiglia, Falcomatà accusa proprio i mezzi d’informazione. Scrive: “E' questo l'antipasto di ciò che ci aspetta da qui alle elezioni di giugno? Probabilmente sì. Perché chi intende la politica come mero esercizio del potere continuerà sul piano della delegittimazione trovando sponda su giornali e tv. Ne leggeremo tante, non sorprendiamoci. D'altra parte la delegittimazione è l'arma delle 'ndrine”.

Proprio quest’ultimo passaggio scatena la replica del sindacato dei giornalisti della Calabria che si lancia in difesa della categoria. “Libertà di stampa non è licenza di diffamare. Lo sanno bene i giornalisti che, quotidianamente, sono oggetto di querele, spesso temerarie, pagando – di persona e di tasca propria – il caro prezzo di quella libertà che è, soprattutto, dovere di informare i cittadini sui fatti. E lo dovrebbe sapere bene anche il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà, prima di sparare sull'intera redazione di un giornale, la Gazzetta del Sud, titolando la sua esternazione via social”, replicano i rappresentati dei giornalisti. 

Al primo cittadino rammentano che “se si sente diffamato da quanto scritto da un quotidiano, al quale tutto si può contestare meno che sia stato scorretto e ingeneroso con i sindaci (di  ogni colore politico) che si sono succeduti negli anni, è libero di farlo. Del resto, è avvocato e conosce bene quali sono i limiti del diritto di cronaca, ma soprattutto quelli del diritto di critica dei giornalisti che, nella loro funzione, non hanno certamente il compito di compiacere o rendersi cassa di risonanza dei potenti di turno”.

“Il sindaco Falcomatà, sottolinea il sindacato e il gruppo cronisti della Calabria, “fa bene ad offrire la sua versione dei fatti, sottolineando che l'incarico da 33mila euro affidato al cognato sia 'perfettamente legittimo', ma sbaglia a mettere all'indice un giornale, la Gazzetta del Sud, che ha la 'colpa' di aver reso partecipi i lettori della scelta di una pubblica amministrazione".

"Le notizie, belle o brutte che siano, sono notizie e – concludono i rappresentanti dei giornalisti calabresi – vanno pubblicate con la piena consapevolezza che a risponderne in prima persona, e senza sconti o trattamenti di favore di sorta, sono i giornalisti che contrariamente ai sindaci, per difendersi non hanno a disposizione gli uffici legali della pubblica amministrazione e, sempre più spesso, sono costretti a fare il proprio lavoro difendendosi da chi avrebbe, invece, il dovere istituzionale di tutelarli. O, quantomeno, di non accusarli, specie in una città come Reggio Calabria, di usare metodi mafiosi”. Adesso non ci spetta di vedere come finirà la vicenda se in tribunale o proseguirà sui social.
 

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