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Bufera vitalizi, Tallini: "Vogliamo normalità, non siamo consiglieri da terzo mondo"

Seduta straordinaria del Consiglio regionale della Calabria convocata dal presidente. Dopo la discussione la legge "contestata" è stata abrogata all'unanimità

Alla fine la legge 5 del 2020 è stata abrogata. Il Consiglio regionale, mettendoci lo stesso tempo di quello impegnato per la sua approvazione, ha cancellato la norma tanto vituperata, dopo le polemiche suscitate, che applicava le provvidenze della legge 13 del 2019 - la cosiddetta indennità differita - anche ai consiglieri regionali che avessero varcato la soglia dell’aula consiliare “Franco Fortugno” una sola volta.

Se il presidente del Consiglio regionale Mimmo Tallini ha parlato di gogna mediatica e di necessaria normalità rispetto alle altre regioni italiane, dai banchi dell’opposizione, insieme al mea culpa, sono volate accuse, anche pesanti verso la manina che ha vergato il provvedimento contestato.

Uno dei più duri è stato il consigliere del gruppo misto Francesco Pitaro che, durante il suo intervento in aula, ha parlato di inganno orchestrato dalla “mano di un furfantello ignorante che aveva in testa il proprio interesse”.

Il dibattito, poi, si è trasformato in una sorta di corsa a chi sparava la proposta più populistica di tagli ai costi della politica o all’approvazione di riforme della vita politica ed amministrativa del Consiglio regionale. Così c’è stato chi ha chiesto il voto elettronico, chi ha rilanciato sulla riforma delle strutture speciali, chi sulle spese dei gruppi da tagliare o sulla revisione della legge 13 del 2019: quella, per intenderci, che ha introdotto anche in Calabria il sistema della indennità differita e del sistema contributivo ai fini pensionistici e, infine, più in generale il tema dei costi della politica.

Un copione già visto, dentro il quale sono finiti temi già portati all’attenzione del “parlamento” calabrese ad ogni legislatura, soprattutto sull’onda dell’indignazione popolare, ma mai affrontati concretamente. Anche in questo caso sono i numeri a darci una mano per provare a capire come si muove l’Astronave. Intanto, è opportuno dire che i vitalizi, per così dire “vecchio stampo”, sono stati cancellati nel 2011 e che, dalla decima legislatura, quella appena andata in archivio, i consiglieri eletti non godranno più di questo beneficio. Ma, adeguandosi ad una legge varata dal Governo Monti e così come fatto anche da altri consigli regionali in Italia, Palazzo Campanella ha introdotto dalla finestra, con il sistema contributivo, un privilegio che era uscito dalla porta dell’Astronave.

Il Consiglio regionale, poi, paga 189 assegni vitalizi e/o di reversibilità ad ex consiglieri o ai loro eredi, un vitalizio medio di tremila euro al mese impignorabili, per un costo che si aggira sui 5 milioni di euro annui. Rispetto al passato il costo è calato sensibilmente, di circa 1 milione e 200 mila euro, anche se solo poche settimane addietro gli ex inquilini di Palazzo Campanella hanno goduto, per provvedimento degli attuali ospiti del Consiglio regionale, di un adeguamento al costo della vita stimato dall’Istat.

Un consigliere regionale della Calabria, poi, riceve ogni mese alla voce indennità di carica 5100 euro che, vanno a sommarsi ad altre diarie e all’eventuale incarico di presidenza o vice presidenza degli organi di governo del “parlamento” calabrese. A fine mese, quindi, ad ogni singolo consigliere regionale viene versato un “assegno” che può sfiorare anche i 15 mila euro, in base alla posizione “privilegiata” che occupa all’interno della massima assise politica regionale.

L’indennità di carica dei consiglieri calabresi, invero, è più bassa di quella media degli altri eletti negli stessi organi consiliari in tutta Italia che, mediamente, si aggira sui 6400, tanto da portare Mimmo Tallini, dopo aver fissato quale paletto della sua azione amministrativa l’intervento sui costi della politica, ad esclamare: “Chiediamo solo di essere trattati come gli altri consiglieri regionali. Vogliamo normalità e dignità, non siamo consiglieri regionali da terzo mondo”.

Un ragionamento, da parte del presidente del Consiglio regionale, politicamente corretto se non stessimo provando ad uscire da una pandemia che ha lasciato il segno sulla società e sull’economia italiana, facendo precipitare la Calabria in una crisi mai vista prima. Non ce ne vogliano i consiglieri regionali se usiamo un poco di populismo e ricordiamo loro che 5100 euro al mese un loro concittadino medio - la maggior parte dei loro concittadini - difficilmente mai li vedrà bonificati sul proprio conto corrente durante la propria vita lavorativa.

Quello dei costi della politica è un argomento serio che deve essere affrontato nel più breve tempo possibile, non chiediamo entro il prossimo 11 giugno, giorno in cui tornerà a riunirsi il Consiglio regionale per individuare le presidenze delle commissioni consiliari: organismi che avrebbe potuto rappresentare, il condizionale purtroppo è d’obbligo, un ostacolo insormontabile per il varo della legge 5 del 2020.

Infine, se proprio i consiglieri regionali dell’undicesima legislatura avranno voglia di distinguersi potranno iniziare dal rivedere la legge 13 del 2019, così come proposto oggi in aula durante il dibattito sull’abrogazione della norma contestata, (prevista peraltro dentro un provvedimento omnibus che era stato inserito all’ordine del giorno della seduta consiliare del 27 aprile ultimo scorso), magari partendo dal ribaltamento delle quote di contributi a carico dell’assemblea legislativa e, quindi, dei calabresi che pagano le tasse che, per legge e come previsto dagli altri consigli regionali, è quasi tre volte tanto quella versata dal singolo consigliere regionale.

Sarebbe un primo, timido, segnale di reale cambiamento da parte di un Consiglio regionale che, nel breve volgere di tre sedute assembleari, ha raccolto il record di indignazione nazionale, giusta o ingiusta che sia.

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