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L'intervista

La "normalizzazione" del Movimento 5 stelle: se diventare un partito non è più un problema

Intervista al senatore reggino Giuseppe Auddino, che, a Today, spiega di non riconoscere più il Movimento che aveva contribuito a creare: problemi e prospettive in vista delle elezioni politiche 2023

La politica é un esercizio intellettuale volto alla risoluzione dei problemi". Cita Angela Merkel il senatore del Movimento 5 Stelle Giuseppe Auddino perché rappresenta quello che per lui dovrebbe sempre essere la politica. In quelle parole, proferite con una punta di nostalgia, il senatore Auddino ci vede un riferimento che oggi il Movimento rischia di smarrire per sempre. 

Senatore, abbiamo assistito a Grillo che guarda al modello cinese, il caso Petrocelli, il caos sulle armi all'Ucraina e il doppio voto di Senato e Camera. Cosa sta succedendo nel Movimento 5 Stelle? 
"Che cosa stia succedendo al Movimento, bisognerebbe chiederlo a tantissimi, ai protagonisti, a chi ha guidato la governance del Movimento in questi ultimi anni. Io sono uno che ha lavorato sempre e vorrebbe continuare a farlo con spirito di gruppo. Sicuramente non è più il Movimento che ho contribuito a far crescere, per chi, come me, ha fondato il Meet up nel 2011, secondo in provincia di Reggio Calabria e tutt'ora il più longevo. Per me è dura digerire certi cambiamenti. Però ci sta. Chi conosce la storia, sa che i movimenti politici si sono sempre tramutati in partiti più o meno strutturati". 

Giuseppe Auddino-2

Se è cambiato, che cosa è diventato il M5s?
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Che cosa stia diventando io spesso faccio fatica a capirlo. Posso dire che cosa vorrei che non diventasse. Vorrei che il Movimento mantenesse quella pluralità di idee e di confronti che lo hanno sempre contraddistinto. Non vorrei diventasse un partito "accentratore e accentrato". Per questo io mi preoccupo di richiamare gli amici e i colleghi a mantenere vivo il confronto e anche lo scontro perché in politica anche il dissenso va alimentato". 

C'è molto dissenso nel M5s in questo momento?
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Molto no. Ci sono vedute diverse. Il Movimento deve custodire questa pluralità. Poi chi non ama stare dentro il Movimento può andare via. Ma prima di etichettare qualcuno come dissidente, vorrei che si capissero le motivazioni profonde di questo dissenso". 

Lei quindi registra una sorta di schiacciamento della maggioranza nei confronti di una minoranza? 
"A volte sì. Ma mi piacerebbe non si registrasse più in futuro con questa frequenza. Vorrei che il Movimento fosse plurale, aperto, innovatore, fermo restando che poi ci sono idee (e ideali) che mettono tutti d'accordo e capaci di far camminare la maggioranza con una certa organicità di vedute". 

Ma allora cosa sta sbagliando Conte?
"Per esempio. Prendiamo le referenze regionali e provinciali. Avrei immaginato una bella tornata elettorale interna, che coinvolgesse i portavoce di ogni grado e magari anche gli attivisti, per far sì che tutti partecipassero alla scelta dei referenti regionali e provinciali". 

Invece fino adesso sono stati nominati da pochi intimi, dal direttivo.
"Sì ed è una cosa che non dovrebbe succedere in un partito che vuole crescere e vuole essere assunto agli onori come partito vero, con la "P" maiuscola. Poi si poteva discutere sul livello di coinvolgimento, ma doveva essere un momento di democrazia per un partito che si definisce tale. Abbiamo sempre criticato i partiti per le nefandezze e la partitocrazia di Governo". 

Ma mi vuole dire che M5s è già partitocrazia?
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No, non lo è affatto. Ma mi sento di dire che deve stare attento a non diventarlo. Oggi sta diventando un partito. Ma dobbiamo prendere tutte le cose positive dei partiti. Non solo una parte. La collegialità, la pluralità di vedute, le assemblee nazionali".

Insomma tornare al Movimento 5 Stelle che ascolta e coinvolge i territori. 
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Sì, perché la voglia di partecipazione democratica che ci contraddistingue ancora deve essere mantenuta perché le forze parlamentari e quelle degli attivisti possono dare indicazioni e input che i maghi della comunicazione social non sanno dare". 

A proposito di pluralità delle idee. Non siete stati teneri con il senatore Vito Petrocelli.
"Io non ero per espellere neppure i colleghi che non hanno votato la fiducia al Governo Draghi. A gennaio dello scorso anno cercai di convincere i colleghi sul fatto che non era opportuno appoggiare questo Governo. Oggi, allo stesso modo, credo che espellere un collega che ha detto quello che pensa, seppur esagerando, (preciso che non la penso come il collega) ci porta a quello che lei, in una domanda precedente ha definito lo "schiacciamento della maggioranza". L'espulsione di chi la pensa diversamente è un'operazione che non andava fatta allora e non va fatta neppure in questo caso. Altra cosa è parlare di lui come Presidente di Commissione".

Perché invece da Presidente di Commissione dovrebbe dimettersi?
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Ma quello attiene a una sensibilità personale che non mi sento di giudicare. Cosa diversa è imporre le dimissioni. Quello non credo vada fatto".

Quindi deve decidere lui.
"Eh sì". 

Ma lei si sarebbe dimesso?
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Sì, quanto meno per uscire da questa impasse. Ma ripeto, è una questione personale".   

Voi vi siete divisi anche sulle armi all'Ucraina, come è possibile dividersi su temi così importanti? 
"È difficilissimo oggi dirsi pacifisti e non aiutare l'Ucraina. Allo stesso tempo è complicato aiutarla senza passare per guerrafondai. Penso che l’Ucraina andasse aiutata perché altrimenti sarebbe stata schiacciata, è pur vero che aiutandola ancora si rischia di prolungare il conflitto. Però assumersi la responsabilità di decisioni difficili come questa, in qualità di parlamentare che sostiene la maggioranza di Governo, fa parte degli oneri che la politica comporta".

Ma lei ha votato l'invio delle armi.
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Io a suo tempo, con enorme difficoltà ho votato per l'invio delle armi". 

Altro discorso è l'aumento della spesa pubblica per il riarmo.
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Si poteva anche spalmare in più anni, come poi si è fatto. Alcuni di noi lo avevano già proposto, ma in ogni caso era un impegno già preso che dovevamo onorare. Siamo un Paese Nato ed essere nella Nato, ci tutela dinnanzi al rischio di crisi di questa portata. Non possiamo dirci Nato e poi non rispettare i patti".

Un punto di vista filo atlantista come la posizione del Partito democratico. Loro sono i vostri alleati. Giusto continuare su questo solco intrapreso da Conte e Letta? 
"La mia sensazione è che quando eravamo nel governo con la Lega, l'alleanza facesse meglio alla Lega che a noi. Oggi, se guardiamo i sondaggi, pare che l'alleanza stia facendo bene più al Pd che a noi! Però aspettiamo almeno i risultati delle Comunali e poi delle regionali di novembre per fare un'analisi accurata su dati numerici reali. Preferisco analizzare i numeri e guardare i dati in qualità di fisico". 

Eh, ma allora nel Movimento qualcuno ha sbagliato?
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Qualche domanda me la farei ma credo sia giusto fare un'analisi ponderata dopo queste due tornate elettorali, con qualche riscontro in più". 

Insomma lei denuncia una crisi di identità del Movimento. A questo punto cosa rischia Conte e tutto il Movimento?
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Rischiamo di perdere appeal agli occhi dei cittadini, non apparendo come una forza politica totalmente diversa e non veramente alternativa alle altre forze politiche. Dobbiamo tornare indietro, lasciare perdere i social, ricominciare a parlare con i territori e mangiare la polvere”. 

Sarà dirimente anche la legge elettorale. È d'accordo con la vostra proposta di proporzionale?
"Purché ci siano le preferenze. Preferirei un sistema elettorale maggioritario con i collegi uninominali. In questo modo si sceglierebbe necessariamente il candidato radicato nel territorio. Il cittadino deve poter scegliere chi lo rappresenti, potendosi riconoscere nel parlamentare eletto; e così combattiamo anche un po' di astensionismo".

(Fonte Today.it)

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