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Quelle "Pupazze" di Bova che evocano l'archetipo femminile della Calabria greca: simbologia e curiosità

Dal rito al mito di Persèfone. Alla vigilia della processione delle Palme, tutto quello che non conoscete sulla tradizione dalle radici antiche

Metafora del ciclo delle stagioni, momento di cambiamento nella vita dell'uomo e del lavoro dei campi. La Primavera nella Calabria grecanica era tempo di rituali  in cui riconnettersi con la natura e a Bova nella Settimana Santa si trovano gli esempi più tangibili. 

Qui nella Domenica delle Palme prendono forma riti pasquali dalle radici antichissime che diventano essenza della simbologia femminile. Stiamo parlando delle "Pupazze" o delle “Persephoni” di Bova, manichini vegetali che vengono portati in processione  in questo giorno. Sin da tempi lontani è consuetudine nelle famiglie, una settimana prima di questa ricorrenza, incontrarsi per intrecciare queste figure femminili realizzate con canne di fiume. 

Le cosiddette "steddhe" fanno la struttura che veste il manichino che il 2 aprile viene decorato con gli addobbi. Oggi  vengono organizzati anche dei laboratori per imparare a costruirle manualmente. Un unicum del territorio, emblema antico su cui si sono interrogati numerosi antropologi. La processione delle palme di Bova è stata infatti inclusa tra i beni culturali immateriali della Regione Calabria.

Una tradizione che viene da lontano

Pasquale Faenza

A spiegarci questa tradizione di origine agro-pastorale, Pasquale Faenza, direttore del Museo Gerhard Rohlfs di Bova:  "La processione della Domenica delle Palme esisteva a Bova già nel  '500 con attestazioni  scritte risalenti al 1670,  riguardo alla pupazze  è una pratica che è cominciata nell''800 era fatta dal popolo, consuetudine che creava un certo imbarazzo".

Come fa notare l'esperto, la bambola in tutte le società anche in quelle preistoriche è sempre stata prototipo di cambiamento e del periodo di passaggio: "Anche in epoca bizantina si utilizzava una bambola rappresentata da donna vecchia con la bocca chiusa  con sette piedi che rappresentavano le sette settimane precedenti a questo periodo dell'anno", insomma gli antecedenti nella storia ci sono sempre stati.

Una cosa è certa le "Pupazze", di cui ne vengono realizzate di piccole e di grandi a  indicare la fanciulla e la donna  segnano il passaggio da un'età all'altra, la transizione da donna nubile a  donna sposata. In generale rappresentano il passaggio da uno stato dall'altro, da una stagione all'altra in questo caso dall'inverno alla primavera, tutto legato a un archetipo femminile che fa capo alla Madre terra, non dimentichiamo che la Primavera era il periodo in cui vi erano i fidanzamenti  che non potevano non avere un collegamento con la  stagionalità. 

Insomma, un ciclo che si ripete ogni anno, la chiusura di un cerchio che culmina, dopo la processione, con un falò in cui le palme vengono bruciate. Processo che rimanda probabilmente alla metafora della vita e ai suoi cambiamenti.

Da mito greco a simbolo di fertilità, ecco le Pupazze di Bova

Quando il rito incontra il mito greco

Da notare che questi manichini vengono chiamati in modo diverso in relazione al contesto sociale. Volgarmente dette "Pupazze", sono chiamate Palme dai fedeli e “Persephoni” soprattutto dai giovani. Ma perchè vengono indicate anche con quest'ultimo nome? Perchè affondano le loro radici nella mitologia greca e nel mito di  Persèfone, chiamata anche Kòre, Kora o Core, che in greco vuol dire “giovane donna” a  lei si deve l'alternanza delle stagioni. 

Lei era la figlia di Demetra e Zeus e fu rapita dallo zio Ade che la portò con sè negli inferi e contro il suo volere cadde in inganno mangiando sei semi di melograno e divenne la regina dell'oltretomba. La madre Demetra grazie all'intervento di Zeus riuscì a ottenere un accordo, per sei mesi la figlia restava negli inferi il resto dell'anno tornava dalla madre dea della fertilità e dell'agricoltura che al suo ritorno faceva rifiorire la Primavera.

E' tempo di "nguta" e "musulupo"

La simbologia rimanda sempre al cambiamento e alla fertilità  della Dea madre. Si racconta che Bova fu fondata da una regina. Figure femminili che in questo periodo a Bova si ritrovano anche in un dolce pasquale tipico chiamato la "nguta", preparato con le uova e che prende  la forma di una donna.

A ricordare una donna anche il "mulusupo", il formaggio quaresimale della Calabria greca che si ottiene con due stampi noti come musulupari: uno a forma semisferica simile a una mammella e l'altro che riproduce la figura femminile stilizzata senza braccia e gambe. Tanto la forma della musulupara che il colore bianco del formaggio alludono alla maternità e in generale alla fertilità della Madre terra.

Cosa c'entrano le "pupazze" con il malocchio?

Al di là della simbologia e dell'origine del rito attorno ai quali molti dubbi non sono ancora stati sciolti, c'è un altro aspetto antropologico legato alle "Pupazze", in passato c'era chi  usava i ramoscelli come strumento per scacciare via il malocchio, rito praticato da quelle che vengono chiamate"magare".

"Anticamente le magare interpretavano lo scoppiettio - come documenta un video del Museo - di grani di sale, gettati sul fuoco prodotto dal fuoco di ulivo benedette disposte su una tegola in modo da formare il simbolo della croce". In pratica si usavano tre foglie di ulivo benedette su tegole ardenti dove si gettava il sale.

L'appuntamento di domenica 2 aprile

Tradizionale appuntamento in uno dei borghi più belli d'Italia promosso dal Comune di Bova e dalla parrochia San Teodoro Martire. Il programma: ore 10 nel piazzale Santa Caterina benedizione delle Palme, a seguire processione verso la Concattedrale S.Maria dell'Isodia e celebrazione della funzione religiosa. Al termine dlla santa messa, corteo verso Piazza Roma, consegna "Steddhi" benedette e degustazione di ngute e musulupe.

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