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"Non è mai venuto a chiamarmi, che me li mangiavo con tutta la m...": le intercettazioni tra boss e gregari del clan Labate |VIDEO

Operazione "Helianthus" della Questura. Gli imprenditori denunciano gli estorsori della cosca: in 14 finiscono in manette. Sequestrate 4 aziende

Boss, luogotenenti e gregari della potente cosca dei Labate, i "Ti Mangiu" del quartiere Gebbione, sono finiti in manette, nell'ambito della maxi operazione "Helianthus", eseguita, questa mattina, alle prime luci dell'alba, dagli agenti della Questura reggina.

Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta dal procuratore Giovanni Bombardieri sono state portate a termine dagli investigatori della 1^ sezione criminalità organizzata e catturandi della Mobile, con il concorso operativo degli equipaggi del Reparto prevenzione crimine e delle squadre Mobili di Roma, Cosenza, Udine e Livorno, con il coordinamento del Servizio centrale operativo.

I poliziotti hanno eseguito 14 ordinanze di custodia cautelare in carcere e agli arresti domiciliari nei confronti di persone ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa e diverse estorsioni aggravate dal ricorso al metodo mafioso e dalla finalità di aver agevolato la ‘ndrangheta. Sequestro preventivo per 4 società commerciali.

I nomi degli arrestati

L'arresto del boss latitante Pietro Labate

Le indagini da cui scaturisce l’operazione "Helianths" sono partite nel mese di maggio 2012 per la cattura del latitante Pietro Labate, leader carismatico e vertice indiscusso dell’omonima cosca, che nell’aprile del 2011 si era sottratto all’esecuzione del fermo di indiziato di delitto emesso dalla Dda nei confronti di numerose persone, appartenenti alle cosche Tegano e Labate (Operazione "Archi").

Il 12 luglio 2013, dopo un’intensa e meticolosa attività investigativa, supportata da numerose intercettazioni telefoniche e ambientali e sistemi di video sorveglianza, il latitante arrestato dagli investigatori della squadra Mobile in una zona, vicina al torrente S.Agata di Reggio Calabria, mentre percorreva la strada a bordo di uno scooter.

L'organigramma della cosca

Le investigazioni, ampliate nei mesi successivi alla cattura del boss, hanno consentito agli 007 della questura reggina di ricostruire l’organigramma della cosca Labate, ponendo al vertice Pietro Labate e alla reggenza del clan, durante la sua latitanza, il fratello Antonino, coadiuvato dal cognato (di entrambi) Rocco Cassone e dalle nuove leve Paolo Labate, 38 anni, figlio di Pietro e Paolo Labate, 36 anni, (figlio di Antonino), supportati da luogotenenti e affiliati nel compimento delle azioni delittuose.

Il commento del procuratore Bombardieri

Il controllo del territorio e le estorsioni

L’operatività della cosca Labate trovava pieno riscontro nel capillare controllo del territorio e nella gestione di attività economiche e commerciali, in particolar modo nel settore alimentare ed edilizio, riconducibili ad affiliati o a compiacenti prestanomi, e nell’imposizione indiscriminata di estorsioni ad operatori economici e commerciali e ai titolari di piccole, medie e grandi imprese, in particolare nei confronti di quelli impegnati nell’esecuzione di appalti nel comparto dell’edilizia privata nel territorio sotto il dominio della consorteria mafiosa.

Corse clandestine e scommesse online

Ma gli affari della cosca non si limitavano solo agli appalti edilizi e immobiliari. L'inchiesta ha fatto luce anche sugli interessi ricavati nel settore delle corse clandestine di cavalli e in quello dei giochi e delle scommesse on line.

Le agende del boss Pietro Labate

Ai fini dell’accertamento delle infiltrazioni dei Labate nel tessuto di alcune attività economiche e commerciali locali si sono rivelate determinanti le agende sequestrate il giorno della cattura a casa dell’indagato Francesco Marcellino, dove il boss aveva trovato ospitalità, e sulle quali annotava nomi di persona, importi e denominazioni di ditte, e le altre agende del reggente della cosca  Antonino Labate, sequestrate successivamente a casa degli indagati, i coniugi Antonio Galante e Caterina Cinzia Candido, residenti nello stesso stabile del boss a cui, secondo gli investigatori "erano completamente asserviti".

Il sequestro delle imprese

Nel corso delle attibità investigative sono state  individuate 4 aziende che operano nel settore alimentare e della distribuzione di carburanti, controllate dalla cosca dei "Ti Mangiu", di cui è stato disposto il sequestro perchè ritenute imprese mafiose.

I collaboratori di giustizia e le denunce degli imprenditori

Per l'esito positivo dell'indagine, oltre alle numerose attività investigative sono stati fondamentali i contributi di alcuni collaboratori di giustizia, fra i quali quelli di Mario Gennaro, Enrico De Rosa e da ultimo quelli di Giuseppe Stefano Tito Liuzzo, e le dichiarazioni di "rilevante portata accusatoria di affermati imprenditori reggini del settore edile ed immobiliare, sentiti da magistrati della Dda, vittime di pressanti attività estorsive consistenti nel pagamento ad alcuni esponenti del clan Labate di ingenti somme di denaro, anche nell’ordine di 200 mila euro, corrisposte a rate, o nell’imposizione dell’acquisto di beni presso attività commerciali riconducibili ad esponenti di rilievo della cosca.

L’indagine "Helianthus" coniuga diverse attività di un intenso e pluriennale lavoro investigativo portato avanti dalla Mobile, sotto le direttive dei sostituti procuratori della Dda, Stefano Musolino e Walter Ignazitto, con lo scopo di
disarticolare la temibile cosca Labate attraverso un’efficace e unitaria azione di contrasto. 

La cosca e gli arresti nella sua storia

L’ultima operazione che ha colpito la consorteria di ‘ndrangheta risale al 2007 e porta il nome di "Gebbione". Condotta dalla squadra Mobile ebbe il merito di aver ricostruito le linee di azione della cosca, che controllava, attraverso il sistematico ed asfissiante ricorso al taglieggiamento, tutte le attività commerciali ed imprenditoriali nel quartiere Gebbione di Reggio Calabria.

Dopo il 2007, la cosca era emersa in un’altra inchiesta "Archi-Astrea", le cui indagini furono condotte dalla squadra Mobile, definita con sentenza della Corte di Appello di Reggio Calabria del 20.6.2014, che pur assolvendo i due imputati Pietro Labate e Francesco Salvatore Labate, "riconosceva la perdurante operatività del sodalizio mafioso di appartenenza".

I legami di sangue e la potenza criminale

L’influenza della cosca Labate nel panorama ‘ndranghetistico di Reggio Calabria ha sempre trovato forza nei legami di sangue che uniscono i componenti di vertice ad altre potenti cosche attive sul territorio di questa provincia, fra le quali le famiglie Garonfalo di Campo Calabro, Iamonte di Melito di Porto Salvo e nei solidi rapporti di alleanza con famiglie mafiose dei tre mandamenti.

Oggi il clan è una potente articolazione della ‘ndrangheta unitaria che, nonostante l’arresto del boss indiscusso e carismatico Pietro Labate e la successiva carcerazione del fratello Michele Labate, ha mantenuto, spiegano gli inquirenti "inalterato il tradizionale "prestigio" nel territorio di competenza criminale, l’ampia area a sud della città, in particolare nel popoloso quartiere Gebbione, coltivando e rafforzando i rapporti e le alleanze criminali con altri storici "casati" di ‘ndrangheta e dimostrando anche un certo dinamismo criminale in relazione a "nuovi" settori illeciti.

Come quello della scommesse on line e della slot machines, riuscendo nello stesso tempo a mantenere intatto il core business delle attività illegali da sempre espressione dello strapotere mafioso dei "Ti Mangiu", rappresentate dal sistematico ricorso all’estorsione nei confronti di imprenditori, commercianti ed operatori economici in genere e (in minor misura) dallo sfruttamento delle corse clandestine di cavalli".

Il collaboratore di giustizia

Un ulteriore contributo sulla continua e attiva vitalità ed operatività della cosca Labate, proviene di recente dal neo collaboratore di giustizia Giuseppe Stefano Tito Liuzzo che ha confermato l’appartenenza degli indagati al sodalizio criminale "Ti Mangiu", tracciandone i ruoli ricoperti all’interno dello stesso.

I "fedelissimi" dei Labate

Le dichiarazioni degli imprenditori e le affermazioni dei collaboratori di giustizia, riscontrate dagli accertamenti svolti dalla Mobile, guidata da Francesco Rattà, hanno consentito alla Direzione distrettuale antimafia di contestare l’associazione mafiosa e gravissimi episodi estorsivi, oltre che al boss Pietro Labate anche a due elementi di spicco
della cosca, ovvero Orazio Assumma, indicato dai collaboratori di giustizia quale uomo di fiducia del capo clan e  Domenico Foti, alias "Vecchia Romagna", anch’egli fedelissimo dei Labate.

Le accuse nel dettaglio

Agli indagati Pietro Labate,  Antonino Labate, Rocco Cassone, Antonio Galante, Caterina Cinzia Candido, 
Santo Gambello, Paolo Labate, 38 anni, figlio di  Pietro Labate, Paolo Labate, 36 anni, figlio di Antonino, Fabio Morabito, Francesco Marcellino, Orazio Assumma, 

A Domenico Foti, è stato contestato il delitto di associazione mafiosa, per aver fatto parte della struttura organizzativa visibile della ‘ndrangheta (unitaria), ed in particolare della sua articolazione territoriale dei Labate "Ti Mangiu", con i seguenti ruoli:

- Pietro Labate, in qualità di promotore, dirigente ed organizzatore dell’associazione; anche durante la latitanza e la detenzione in carcere;
- Antonino Labate, Rocco Cassone, Orazio Assumma, Domenico Foti in qualità di promotore, dirigente ed organizzatore dell’associazione;
- Paolo Labate, 38 anni, in qualità di partecipe e collaboratore di Pietro e Antonino Labate;
- Antonio Galante, Santo Gambello e Paolo Labate, 36 anni, in qualità di partecipe e principale collaboratore di Antonino Labate;
- Caterina Cinzia Candido, in qualità di partecipe, forniva costante collaborazione, insieme al marito Antonino Galante, ad Antonino Labate;
- Fabio Morabito, in qualità di partecipe e collaboratore di Antonino Labate;
- Francesco Marcellino, in qualità di partecipe, forniva continua assistenza logistica al boss Pietro Labate durante la sua latitanza.

Le estorsioni ai commercianti e agli imprenditori

Agli indagati Antonino Labate, Santo Gambello, Fabio Morabito, Santo Antonio Minuto è stato contestato il delitto di estorsione aggravata per aver costretto due commercianti a non aprire un negozio di pescheria tra viale Aldo Moro e Piazza della Pace, imponendo loro di individuare una diversa zona dove avviare l’attività commerciale.

A Pietro Labate e Orazio Assumma, è stato contestato il delitto di estorsione aggravata per aver costretto un imprenditore, impegnato nella realizzazione di un complesso immobiliare sul viale Aldo Moro, a pagare a titolo di "pizzo" la somma di 200 mila euro, versata in più tranches tra il 2013 ed il 2015, e ad acquistare materiale edile presso il colorificio, riconducibile all’indagato Orazio Assumma.

A Domenico Foti è stato contestato il delitto di estorsione aggravata, per avere costretto due imprenditori, impegnati nella realizzazione di un complesso immobiliare in via Torricelli Ferrovieri-San Pietro, a pagare a titolo di "pizzo" la somma di 20 mila euro, (versata, tra il 2017 ed il 2018, in quattro tranches da 5 mila euro ciascuna e costituente parte della maggior somma di 30 mila euro, complessivamente richiesta, nonché ad acquistare materiale edile presso il colorificio riconducibile all’indagato Orazio Assumma.

Ad Orazio Assumma e Domenico Pratesi, è stato contestato il delitto di estorsione aggravata per aver costretto, avvalendosi della collaborazione di Domenico Pratesi, appartenente alla cosca Libri, che fungeva da intermediario e organizzatore di un incontro con un imprenditore impegnato nell’edificazione di un complesso immobiliare nel viale Messina-adiacenze Piazzale Botteghelle, a versare a titolo di "pizzo" la somma di 50 mila euro, prima tranche
della più ampia somma di 150 mila euro, costituente l’importo complessivamente richiesto, nonché ad acquistare materiale edile sempre nel colorificio nella disponibilità di Orazio Assumma.

Il sequestro preventivo delle società

Nel corso dell’operazione, i poliziotti hanno apposto i sigilli, provvedimento emesso dal gip su richiesta della Dda, alle seguenti società, tutte attive in città, ritenute riconducibili ad esponenti di vertice e a luogotenenti della cosca Labate:

- "PDF S.r.l.": distribuzione al minuto, impianto distribuzione stradale di carburanti: gasolio, olio da gas, benzine
senza piombo, (ritenuta riconducibile a Francesco Salvatore Labate, finanziata anche con somme della cassa comune della cosca);

- "PKF S.r.l.": commercio al dettaglio di prodotti surgelati, (ritenuta riconducibile a Rocco Cassone);

- impresa individuale "Tuttocarta di Neri Carmela",  operante nel settore dei prodotti di carta e plastica per
gli alimenti e la ristorazione (ritenuta riconducibile a Domenico Foti);

- impresa individuale "ASSUMMA Demetrio": commercio al dettaglio di pitture e vernici (ritenuta riconducibile a
Orazio Assumma).

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