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Domenica, 28 Aprile 2024

L'opinione

Isabella Marchiolo

Giornalista

Il ponte e le infinite storie (e strade) del nostro quotidiano isolamento

Vorremmo raccontare al ministro Salvini come si vive e ci si sposta a queste latitudini, ma non siamo mai riusciti a ribellarci davvero allo stato di trasporti e collegamenti

I ponti sono costruzioni della civiltà, sin dall'antichità sono serviti a unire e favorire scambi di culture, economie, conoscenze. Ma in un territorio affossato in un isolamento assurdamente anacronistico eppure cronicizzato come eterna condanna, dopo cinquant’anni l'unico deus ex machina è un ponte che divide. La politica, ovviamente, ma anche gli stessi popoli, che invece di avvicinarsi si allontanano e al loro interno sono divaricati in scontri ideologici di quartiere nutriti da propaganda, fake news, botta e risposta di numeri improbabili.

Il fronte del no si è risvegliato combattivo, in modo più o meno omogeneo, sulle due sponde dello Stretto, ma al di là delle considerazioni tecniche e ambientaliste degli esperti, quello che oggi dovrebbe essere ormai definitivamente irricevibile è la vendita del Ponte sullo Stretto come una miracolosa fontana di Trevi di Totò. In Calabria lo stato dei collegamenti è da anni materia per gag comiche e adesso meme, ma sul tema c’è poco da ridere. Chi vive nella provincia di Reggio (compresa la città, fulcro di un’area tra le poche di rango metropolitano d’Italia) per spostarsi ovunque impiega e spende il doppio di tutti gli altri italiani, inclusi gli isolani. All’inizio di maggio la notizia della chiusura della galleria Limina sulla Ss682 Jonio-Tirreno per lavori urgenti di adeguamento aveva gettato nello sconforto i tantissimi pendolari della tratta jonica, già costretti a quotidiani viaggi della speranza, e che con la deviazione obbligata avrebbero dovuto aggiungere oltre mezz’ora di percorrenza. Sarebbe stata una sentenza di morte per la Locride e la rivolta dei sindaci ha ottenuto il rinvio del cantiere. Non è una soluzione, perché quella strada è molto pericolosa, lì un intervento è assolutamente necessario. Però è anche l’unica che abbiamo.

Strade killer e patrimoni inaccessibili, il nostro isolamento è un'esperienza esistenziale

Noi che viviamo e lavoriamo qui, ma anche i visitatori che, ad esempio, volessero vedere il parco MuSaBa, capolavoro che l’artista Nik Spatari scelse di creare proprio nel cuore dell’Aspromonte, a Mammola. Per arrivarci devi volerlo, e molti lo fanno. Ma moltissimi altri no: salvo le eccezioni degli eccentrici avventurieri, il turismo di solito non è un’esperienza esistenziale. Moltissimi vogliono partire serenamente, sapere quando raggiungeranno la destinazione e soprattutto se avverrà sani e salvi. Il Musaba è il caso più eclatante, ma intorno r-esistono tante comunità emarginate, per le quali il maltempo può trasformare le loro case in prigioni. Gente che per questo poi chiude quelle case, e se ne va. O resta proprio per salvare i piccoli borghi, che se non ci sono strade vere i visitatori non li trovano neanche su Maps. Sapete come sono riusciti a farsi localizzare i residenti di borgo Croce, a Fiumara? Grazie all'idea di quelle grandi lettere su una porta, che il signor Google ha scambiato per un cartello di segnaletica.

L’interdizione al traffico per i lavori nella Limina è una vicenda esemplare del nostro ordinario vivere fuori dal mondo. Perché sarà un autentico dramma anche a settembre, e la conquista di una proroga estiva somiglia un po’ a un baratto sulla bilancia della sicurezza. Chi vale di più? A cosa è meno grave rinuniciare? La scelta è stata quella di privilegiare il turismo e sprecare i mesi in cui il pendolarismo si riduce (gli interessati sono soprattutto insegnanti), per ritrovarci il prossimo autunno con enormi disagi, e soprattutto ogni giorno su una strada dove si può restarci secchi.

Ma chi si muove a queste latitudini è cresciuto assimilando una scena sempre uguale da tre generazioni. Questo abbiamo a disposizione e dobbiamo farcelo bastare. Restare senza niente sarebbe peggio, anche se così rischiamo la pelle. Dobbiamo costruire spirito e tempra per sfidare la furia del vento, distruggere automobili, perdere anni di vita e spesso affetti, fendere guardrail listati a lutto da mazzi di fiori, piangere morti di una lista infinita che quasi non ci fa effetto, appena un brivido leggero alla vista delle luci intermittenti delle ambulanze. A queste latitudini certi racconti non sono leggende, tra autisti di pullman che pregano all’inizio e alla fine di ogni viaggio e automobilisti che scoprono tragitti alternativi con spirito da Indiana Jones.

Sono cose del Sud e ne vedremo chissà quante con l’autonomia differenziata. Altrimenti non si spiegherebbe quello che è successo nella giornata festiva del 2 giugno in costiera amalfitana, dove lungo la statale sono apparsi i new jersey imprigionando Conca dei Marini e con un tratto di traffico alternato verso Positano e Sorrento.  

La Locride è un gioiello selvaggio, arroccato nella sua orgogliosa solitudine. La stazione più vicina è a Rosarno e per la Statale 682 è partita una petizione per chiedere al più presto un percorso alternativo e sicuro mentre si lavorerà nella Limina. Un nome che evoca il destino, nomen omen, come ha spiegato benissimo lo scrittore Gioacchino Criaco in un bel post: "Da qui il mondo è un fatto relativo. E da fuori, il nostro è un mondo relativo, qualcosa che non riguarda nessuno, un fatto di noialtri e basta. Che poi, la Locride manco esiste, è una presunzione tutta nostra, la periferia di un’area metropolitana che è altra da noi. Esistiamo poco, esistiamo quel poco che il budello della Limina ci sputa via e poi ci riingoia, che gli antichi, che la sapevano lunga, appunto la chiamarono così, per dire che era la fine del nostro mondo, e per dire al mondo di fuori che esso là finiva". Un'esperienza esistenziale dogmatica, vivere così è questo. Come guidare sulle nostre strade, guardare fuori dai finestrini dei nostri treni. Siamo filosofi, nostro malgrado, eterni figli della Magna Grecia. Ed è per questo stato atavico, forse, che non siamo mai riusciti a ribellarci, che continuiamo a subire questo trattamento. 

Il ponte come un'utopia nel deserto di chi continua a spogliare questo territorio

Abbiamo i treni più lenti d’Italia, un aeroporto che (no, non così inspiegabilmente come appare a un occhio profano) in pochi anni si è spento, ha perso traffico in un’emorragia inarrestabile, iniziata come uno choc. La prima volta in cui si parlò del rischio di chiusura sembrava uno scherzo dei soliti "tragediaturi". Non abbiamo voluto ascoltare il grido delle Cassandre: fino a ieri qui avevamo compagnie da tutto il mondo, low cost, voli a coefficiente pieno. Invece stava silenziosamente accadendo qualcosa e oggi quella profezia sta per avverarsi. Il ponte sullo Stretto è un'utopia seminata nell'avanzare di un deserto che sta facendo tabula rasa di quel poco che avevamo. Non si aggiunge, si continua a togliere, a denudare e chiudere il territorio con cinismo e incoscienza.

Dopo l’approvazione del decreto Ponte il ministro Salvini è passato da Messina ma per Reggio non ha trovato spazio nell’agenda ed è apparso da remoto come ospite dei geologi calabresi, ripetendo che la grande opera diventerà un’attrattiva pari alla Torre Eiffel. Su statale 106 e alta velocità è planato frettolosamente. State tranquilli, il governo se ne occuperà, i soldi già ci sono. Ma con calma, l’iter ha tempi lunghi e in fondo si può ancora aspettare. Ci sono questioni più urgenti, ad esempio il ponte.

In un fumetto del mitico settimanale "Topolino" zio Paperone, crepi l’avarizia, decideva di finanziare la grande opera. La storia di Elisa Penna (sceneggiata da Giorgio Pezzin e con i disegni del maestro Giorgio Cavazzano), pubblicata nel numero 1401 e in edicola il 3 ottobre 1982, faceva entrare a gamba tesa il ricchissimo papero disneyano nel dibattito che all'epoca era nella sua fase più rovente (e lusinghiera), tra le prime opposizioni ambientaliste e di lì a breve l'annuncio della grande opera da parte del governo Craxi. Il fallimento di un'avventurosa traversata dello Stretto in ferryboat convince zio Paperone a investire nell'attraversamento stabile tra Reggio e Messina, ma i saggi nipotini lo avvisano delle criticità climatiche e sismiche dell'area. Con un gruppo di esperti Paperone, che ormai ci si è fissato, studia tre distinti progetti, che non superano l'esame di fattibilità (il vecchio ci pensa bene a come spendere i suoi milioni), fino a quello giusto: un ponte di corallo. Scenografico, sicuro, integrato con la natura, rispettoso dell'ambiente e persino economico, perché la materia prima c'è già e si rigenera da sola. Sarebbe bellissimo e perfetto un ponte di corallo rosso, non da usare ma da ammirare e riempirsene l'anima, come il paesaggio dello Stretto.

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