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Paola Suraci

Giornalista

Stupro, il branco è punito ma non dichiariamo vittoria

La Cassazione ha definito le condanne per i cinque imputati di aver violentato una ragazzina a Melito Porto Salvo

“Il branco di Melito Porto Salvo” è stato condannato definitivamente, la Cassazione ha messo così la parola fine ad un lungo iter processuale che ha visto sul banco degli imputati i violentatori di una ragazzina, di appena tredici anni, prelevata regolarmente fuori da scuola, anche due volte alla settimana, per essere portata via e abusata sessualmente con la complicità del fidanzato.

Nelle carte processuali c’è riassunta tutta la loro crudeltà, violenza dopo violenza, dall’autunno del 2013 alla primavera del 2015, fino a quando una segnalazione è giunta ai carabinieri, grazie al disagio che traspariva tra le righe di un tema di italiano scritto dalla ragazzina a scuola. Poi scattarono gli arresti e di lì il lungo iter processuale fino ad oggi. 

Un caso nazionale, riportato sulle prime pagine dei giornali, e un paese, quello di Melito Porto Salvo, impaurito e muto anche perché tra gli stupratori c’era anche Giovanni Iamonte, figlio del boss Remingo, capo dell'omonimo clan della ‘ndrangheta. 

Sei anni di attesa per avere una condanna definitiva, sei anni in cui la ragazza, ormai diventata una donna, ha dovuto lasciare la sua terra per andare al Nord e cercare di dimenticare, aiutata dall'associazione Libera di don Luigi Ciotti. 
Sogna un futuro, si è diplomata con il massimo dei voti in una scuola professionale per diventare truccatrice nel teatro e nel cinema. 

Giustizia è fatta, ma il dolore e le ferite sono difficili da far guarire. E’ stata una storia di violenza criminale che ha distrutto la vita di una ragazzina e ha squarciato il velo di omertà e di paura a Melito. Quando all’indomani degli arresti ci fu una manifestazione di solidarietà per le vie del paese ci fu pochissima partecipazione, e si disse che fu solidale con i violentatori,  cosa a cui è difficile credere.

La Regione Calabria e il Comune di Melito Porto Salvo si costituirono parte civile nel processo ma serve, ancora, un grande patto tra le istituzioni per un modello educativo che contribuisca a formare una cultura refrattaria alla violenza.
C’è da sconfiggere una mentalità omertosa, che non è solo in alcuni ambienti, ma che si insinua in ogni dove, e occorre 
sconfiggere il “se l’è cercata” o quell’antropologia da bar del “sono cose che accadono solo in Calabria” . 

La violenza sulle donne, purtroppo, va oltre i confini geografici e il rango sociale. Sul corpo delle donne sono state combattute guerre, sul corpo delle donne si è perpetrato il potere maschile. E' tempo di dire basta! La sentenza della Cassazione non è certamente una vittoria, per nessuno. Lascia sul campo macerie e ci sono troppe vite da recuperare: il carcere deve avere, come prevede la legge, una funzione rieducativa. 

Qui, adesso, c’è da contribuire, tutti, ciascuno per il proprio ruolo, ad una educazione nei territori, educazione alla legalità, al rispetto, alla non violenza, al dialogo. Solo attraverso la cultura ed il confronto, solo offrendo occasioni di lavoro, “sporcandosi le mani” e “mettendosi in gioco” potranno nascere nuove coscienze, che stanno lontane da malaffare e dalla prevaricazione del forte sul più debole.  

La scuola, che deve essere aperta ed inclusiva, ha un ruolo chiave e può cambiare il percorso di una vita, così come è stato anche in questa brutta vicenda dove ha saputo cogliere il disagio della giovane vittima di stupro. 

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